“Lei che non credeva in nessuna specie di immortalità non potè fare a meno di sentire che la sua anima sarebbe andata e tornata in eterno fra i rossi dei pannelli e i verdi del divano.”
Virginia Woolf – Orlando
Mai come oggi queste parole di Virginia Woolf suonano malinconiche, ma anche vive come una promessa. Una promessa di eternità che la scrittrice ha realizzato con la letteratura, ma la sua anima cangiante, sfuggente, meravigliosa e sorprendente, continua ad attrarci e a farci desiderare di afferrarla, provando angolazioni sempre diverse.
Oggi, 28 marzo, sono 80 anni esatti da quel giorno in cui Woolf si tolse la vita nel fiume Ouse, meta di molte delle sue passeggiate attorno all’amata Monk’s House. Qui Woolf abitava con il marito Leonard, e qui aveva la sua stanza, quella “stanza tutta per sé” in cui aveva composto alcune delle sue opere più celebri, e che affacciava sul giardino che tanto amava. Ma Monk’s House fu anche un luogo di svago, una meta conviviale, un luogo studiato per essere comodo ma anche esibizione di carattere, in cui gli ospiti si lasciavano accogliere per condividere confidenze, racconti, pensieri, desideri. “Hai creato un’atmosfera diversa da tutto, forse non ne conosco di più belle”, disse il critico letterario Clive Bell a Woolf.
Questa testimonianza è raccolta nel libro “Stanze tutte per sé”, edito da L’Ippocampo e scritto e curato da Nino Strachey, traduzione di Claudia Valeria Letizia. Un libro che racconta in modo inedito quante e quali siano le implicazioni sottese all’idea di un luogo tutto per sé per creare e studiare. Ma non solo. Le stanze di Monk’s House sono luoghi in cui si realizza una ricerca di libertà, estetica e filosofica, luoghi in cui affiorano sulla superficie degli oggetti e degli arredi, i desideri di emancipazione dei loro abitanti.
Ma il racconto non si limita alla figura di Woolf, delineando invece la complicata geografia sentimentale di tre elementi del circolo di Bloomsbury, forse i più magnetici, capaci di attrarre storie intime d’amore e desiderio, di rapporti mutevoli e incontri erotici. Si tratta di Eddy Sackville-West, di sua cugina Vita Sackville-West, legata sentimentalmente a Virginia, oltre che della stessa Virginia Woolf. Il libro, che definire fotografico è riduttivo, racconta vividamente gli ambienti in cui si intrecciavano queste esistenze, fra il Kent e l’East Sussex, tre dimore che sfidavano le convenzioni dell’epoca. È un racconto attento, intimo ma allo stesso tempo oggettivo, e per questo amorevole, quasi fraterno. E infatti l’autrice è discendente diretta della famiglia di Lytton Strachey, uno dei fondatori del gruppo di Bloomsbury, biografo e amico di Virginia Woolf.
Scopriamo così come una dimora può diventare avamposto di libertà, come per Eddy Sackville-West, che in un’Inghilterra in cui l’omosessualità è stata reato fino al 1967, assume posizioni controculturali nel tinteggiare le pareti di rosa e decorarle con nudi maschili dipinti da Duncan Grant, altro membro del circolo. E anche la dimora di Vita e di suo marito Harold era in tutto originale e poco ortodossa, come il loro stesso legame: un castello dal sapore romantico e decadente dove si potevano cogliere qua è là le storie raccontate dai cimeli delle amanti di Vita. In questa cornice diventa più chiaro l’entusiasmo di Woolf quando finalmente trova un accordo con il marito per spendere i soldi guadagnati con i suoi libri, e tra il 1919 e il 1941 si sono susseguiti ben 16 interventi di ristrutturazione nella loro casa. “Per la prima volta da quando mi sono sposata ho speso dei soldi”, scrive Woolf in una lettera, e gli oggetti diventano subito simbolo di indipendenza, emancipazione e libera scelta.
Non sono ora più comprensibili e intense le parole citate all’inizio? Così come tutti i modi in cui Orlando conserva saldamente la sua dimora pur trasformandosi e vivendo attraverso quattro secoli. Gli oggetti sono simboli dell’anima, eppure “Possiedo la mia anima”, afferma la Woolf narrata da Nadia Fusini, studiosa e interprete della scrittrice. Il libro, pubblicato la prima volta nel 2006, è stato per un periodo introvabile e ripubblicato lo scorso febbraio sempre da Feltrinelli, ma sembra essere già in ristampa. Fusini ci ha restituito molto della vita di Woolf, sia con questo libro che con le traduzioni, spostando la scrittrice dalle ombre della malattia in cui veniva spesso relegata alla vitalità e all’incanto che emergono quando la si osservi con più attenzione e meno pregiudizi. Si può soffrire di depressione, ma avere anche un potente istinto per la vitalità e la bellezza: è questo che ci racconta Fusini, e la sua Woolf è proprio la donna che possiamo immaginare ad abitare le stanze testimoniate da Strachey.
Vitalità è un termine che leghiamo spesso alla giovinezza, e nel tentativo di afferrare l’anima di Woolf non possiamo non chiederci che bambina dev’essere stata, che adolescente, che ragazza. A queste domande prova a rispondere “Virginia” di Emmanuelle Favier, tradotta da Alba Bariffi ed edita da Guanda, che racconta un periodo di passioni vibranti, sentimenti controversi, insicurezze, malinconia e ribellioni. Il luogo di questa infanzia è elegante e austero, tende pesanti e carta da parati scura, dove Virginia cresce nella ricerca costante della sua propria identità.
Da sempre però la figura di Woolf ispira non solo studiosi e biografi, ma è punto di partenza e di arrivo per altri tipi di narrazione: così è “Gita al fiume” di Olivia Laing, tradotta da Francesca Mastruzzo per Il Saggiatore. Qui la figura di Woolf è un pretesto per immergersi in un fiume in piena, che è la depressione dell’autrice, ma anche il fiume Ouse di quel 28 marzo 1941. L’autrice vi si reca in un percorso pieno di fantasmi e storia, che diventa un viaggio sotto la superficie: il luogo che Woolf ha scelto come sua ultima dimora, l’ultimo luogo che ha abitato, è il territorio esplorato dall’autrice, alla ricerca di un disegno, di una mappa in cui orientare l’esistenza.
Ancora oggi, a 80 anni dalla sua scomparsa, Virginia Woolf non smette di ispirare, in un’autentica aspirazione alla libertà, canto e controcanto. “Per molti giorni Virginia non fu né viva né morta”, scrive Fusini. “Mancava. Era scomparsa. ‘Missing’ scrissero i giornali”.
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Titolo: “Stanze tutte per sé – Eddy Sackville-West, Virginia Woolf, Vita Sackville West”
Autrice: Nino Strachey
Traduttrice: Claudia Valeria Letizia
Editore: L’Ippocampo, 2018
Prezzo: 25 euro
Titolo: “Possiedo la mia anima”
Autrice: Nadia Fusini
Editore: Feltrinelli, 2021
Prezzo: 13 euro
Titolo: “Virginia”
Autrice: Emmanuelle Favier
Traduttrice: Alba Bariffi
Editore: Guanda, 2020
Prezzo: 19 euro
Titolo: “Gita al fiume”
Autrice: Olivia Laing
Traduttrici: Francesca Mastruzzo e Giulia Poerio
Editore: Il Saggiatore, 2020
Prezzo: 24 euro