Dopo quasi due mesi di lockdown da Covid-19 ci stiamo preparando alla ripartenza. Da quanto si legge negli ultimi giorni, appare chiaro come una particolare attenzione venga riposta nel ruolo dei leader; sembra che tutti si aspettino che, in ogni tipo di contesto lavorativo, economico o politico che sia, da loro e solo da loro possa arrivare una ipotetica rinascita.
Ma sono davvero i capofila alla guida di imprese, organizzazioni e istituzioni gli unici protagonisti nella risalita dal baratro creato dalla pandemia? E i loro follower? Sebbene il termine faccia subito pensare ai social network e ai loro frequentatori, faccio invece riferimento a quelle persone che con le proprie capacità e con la volontà di cooperare danno sostanza e sostegno al raggiungimento degli obiettivi definiti dai leader. Quale ruolo possono avere questi contributori all’interno del percorso?
Ricordo alcune delle partite di pallanuoto più belle che ho giocato, quelle piene di pubblico, quelle in cui in piscina c’era una confusione tale da far fatica a sentire anche lo schema che chiamava chi era al mio fianco. Ricordo quelle partite in cui la voce di chi da bordo vasca provava a guidare non arrivava quasi mai a noi giocatori, quelle partite chiave durante le quali a un certo punto tutto sembrava andare male e quasi per abitudine tutti cercavano un leader.
Ma è proprio quando non arriva all’orecchio la voce che può indirizzare le tue giocate, è proprio quando il tuo allenatore non ha i mezzi per farsi sentire e tenere il controllo della partita che ricominci a sentire le scelte di gioco nelle tue mani e ti ricordi che in campo sei tu e con la tua squadra a poter vincere; in quelle situazioni sono i giocatori che sanno essere nello stesso momento leader nel proprio ruolo e follower del team a poter fare la differenza.
Zygmunt Bauman, sociologo, filosofo e accademico polacco, sostiene che in una società liquida nessuno sia solo leader o solo follower, ma ognuno può essere l’uno e l’altro contemporaneamente. Robert Kelley, autore di “In praise of followers” (1988), rilancia dicendo che i percorsi di successo dipendono dal contributo del leader solo per il 25%, mentre il restante 75% è strettamente correlato alla forza e al lavoro di chi li segue e collabora con loro.
E allora come mai tutte le attenzioni per uscire dalla crisi poggiano sui leader? Sicuramente il tema della followership è stato analizzato più raramente di quello della leadership, anche perché la maggior parte delle persone sogna molto più spesso di guidare che di venir guidata; ma, come ci ricorda Kelley, nel funzionamento di un’organizzazione o di uno stato, i follower ricoprono un ruolo sempre più determinante e la followership è spesso identificata come una parte imprescindibile della leadership.
Ma quali caratteristiche debbono avere i follower per poter davvero essere il motore della ripresa? Il tema motivazionale è sicuramente il primo da prendere in considerazione per importanza. Fino a quando non ci si rende conto del ruolo attivo che si può avere nel percorso sarà assolutamente difficile trovare l’entusiasmo per avviare la ripartenza. Senso di responsabilità e senso di appartenenza sono sicuramente leve interiori che possono dar sostegno nell’auto-ingaggio verso la meta.
In secondo luogo, una buona followership racchiude la capacità di riconoscere i colleghi che sono in difficoltà e permette di avvicinarsi a loro per sostenerli verso la risalita. Empatia ed ascolto appaiono come caratteristiche chiave per poter spendere il giusto tempo con le emozioni degli altri e mobilitare tutti i potenziali attori verso la giusta direzione.
Sempre su indicazione di Robert Kelley possiamo prendere in considerazione altre due dimensioni che caratterizzano l’attitudine a seguire: la prima è l’autonomia nel pensiero critico e la seconda considera il livello di attività/passività che i follower stessi tendono ad esercitare. Le caratteristiche che cerchiamo per una followership efficace sono quindi la proattività, la partecipazione e la capacità di critica costruttiva; chi le possiede ha solitamente le qualità per confrontarsi alla pari e in modo trasparente con il leader e con i propri colleghi essendo capace di sostenere le proprie idee anche in situazioni complesse.
La chiave per essere un follower efficace risiede dunque in abilità molto vicine a quelle di un leader, quali ad esempio il possesso di un pensiero indipendente, la capacità di generare fiducia, quella di esercitare un controllo costruttivo e il saper lavorare senza una stretta supervisione. I collaboratori più validi sono persone alle quali un leader può delegare in modo sicuro le responsabilità, persone che sanno anticipare i bisogni al proprio livello di competenza.
La capacità di autogestirsi, di costruire le proprie competenze e di massimizzare i propri sforzi per generare il maggiore impatto verso l’obiettivo rende alcuni follower leader di se stessi proprio nella logica fluida del pensiero di Bauman. A questo punto l’invito ad ognuno di noi, che come persona, cittadino, lavoratore e manager riesce a sentirsi protagonista del rilancio collettivo, è quello di cercare dentro di sé le caratteristiche del buon follower, leader di se stesso, per evitare il rischio di inciampare in una modalità di partecipazione alla rinascita poco costruttiva o puramente passiva.