In un’epoca in cui si sente ancora troppo spesso usare la metafora militare per descrivere organizzazioni divise in due categorie – soldati e generali -, pare davvero fuoriluogo parlare di cultura dell’inclusione e di corporate citizenship. Figuriamoci se poi se si parla di favorire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate per stigma e pregiudizio! Eppure, ad essere fuoriluogo sono coloro che perseverano a guardare la realtà con stereotipi superati, perdendosi prospettive ben più generative e foriere di vantaggi competitivi incontestabili.
La stessa cosa vale a livello politico. La missione del dipartimento delle Pari opportunità e dell’UNAR-Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali – seppur in via di ridimensionamento – oltre a garantire il rispetto dei diritti umani e civili dell’intera popolazione, risponde anche all’esigenza di favorire lo sviluppo socio-economico, grazie alla valorizzazione di tutto il bacino di capitale umano nel paese e non solo di alcune parti. Ma la politica richiede sempre tempi lunghi. Il mercato, invece, dà risposte sempre più veloci alle policy aziendali e all’adozione o meno di pratiche di diversity management.
Le imprese che sanno leggere e cogliere i segnali deboli della società sanno con certezza che il rispetto e la valorizzazione delle diversità – o meglio delle varietà umane, a partire dal mix unico di talenti che ci distingue tutti l’uno dall’latro -, attraverso la costruzione di ambienti di lavoro inclusivi, sono fattori strategici in termini di reputation e attrattività. Le nuove generazioni – sia in qualità di lavoratori sia di consumatori – premiano aziende virtuose. Questo vale a livello globale ed è evidente soprattutto nelle multinazionali. Philips e IBM ne sono un esempio, come raccontano sul secondo numero del magazine “DiverCity”, interessante esperimento editoriale di Valentina Dolciotti dedicato all’inclusione all’innovazione.
Ma il principio vale anche per le medie imprese italiane. Ne sa qualcosa Marco Buemi, esperto in diritti umani che dalla Svezia è stato chiamato 12 anni fa in Italia a costituire proprio l’UNAR e che ora sta mettendo a frutto tutte la sue competenze nel programma di imprenditoria sociale Inclusive Mindset, lanciato nel settembre 2017 in collaborazione con la Fondazione Adecco per le Pari Opportunità, Fondazione Sodalitas e Interaction Farm. Un programma basato su una piattaforma digitale e social, a cui si affiancano incontri e iniziative mirate per l’inserimento lavorativo di persone con vulnerabilità legate alla disabilità, all’origine o all’identità di genere.
«Non c’è dubbio che oggi il tema della diversity&inclusion è presidio delle organizzazioni, che sono molto più avanti della politica. E – specifica Buemi – quando parlo di organizzazioni non mi riferisco solo ad aziende private, come la stessa natura di Inclusive Mindeset dimostra: si tratta una piattaforma multistakeholder che mette in contatto settore privato, settore pubblico e il Terzo settore». A poco più di un anno di attività, i risultati sono stati così incoraggianti – circa 140.000 persone coinvolte sul portale e oltre 1200 in colloqui, attività formative e contatti con le aziende – che Inclusive Mindset ha fatto un salto di qualità.
A gennaio 2019 ha siglato una partnership con LinkedIn Italia, da cui è nata “Brand Yourself!”, la prima Academy di personal branding dedicata alla valorizzazione delle competenze e dell’employability delle persone svantaggiate. Per Linkedin si tratta di arricchimento del programma di corporate responsibility internazionale, EnableIn. Per Inclusive Mindset di un servizio di grande valore per il suo target di riferimento, che va ad aggiungersi la ricca attività formativa che già svolge. Il primo workshop si è svolto a Milano lo scorso 15 febbraio, ma ne seguiranno altri in tutta Italia.
L’obiettivo è quello di preparare al meglio i candidati ai prossimi Job Day, eventi di incontro tra domanda e offerta di lavoro, già sperimentati con successo nel 2018. «Le aziende si possono iscrivere alla giornata solo se hanno delle posizioni aperte da ricoprire. Quindi, si tratta di un effettivo incontro di domande e offerta di lavoro, sulla base delle competenze e dell’emersione dei talenti, non sul passaparola come spesso capita in Italia». Per il 2019 sono al momento previsti tre Job day: il 13 maggio a Milano, presso l’Acquario civico, a fine maggio a Roma e poi a novembre a Torino.
Nel frattempo, l’attività di sensibilizzazione e diffusione di un nuovo mindset non si ferma e il 21 marzo, alle 9.30, a Palazzo Marino si terrà l’incontro promosso dalla presidenza della commissione Politiche sociali e servizi per la salute del comune di Milano “Includere e riconoscere il talento: diritti in Comune”, realizzato in partnership con Parks-Liberi e Uguali, associazione di datori di lavoro che aiuta le aziende a realizzare le potenzialità di business legate a strategie inclusive della diversità LGBT. Sarà l’occasione per ascoltare le best practices di alcune imprese virtuose: Air Liquide, Avio Aero e Carrefour.