Ma perché mi devo far dire cosa sia molestia e cosa no?

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“Avevo vent’anni, ero in stage. Il proprietario della ditta mi metteva la mano sulla spalla e mi diceva ‘come sei carina’, oppure si avvicinava un po’ troppo e mi diceva ‘che buon profumo che hai. Alla fine del mese i titolari, lui e la moglie, mi hanno offerto il contratto. Un posto a tempo indeterminato a 20 anni! Ho detto no e alla moglie ho detto ‘chieda a lui il perché'”.

Di storie come questa me ne sono state raccontate tante in questi ultimi mesi. Alcune finite così, altre meno “serenamente”. Perché non tutte hanno la prontezza, la forza, l’indipendenza per dire no e cambiare strada. Ed è lecito. Ci sta. Perché non tutti abbiamo avuto la stessa famiglia, la stessa educazione e abbiamo lo stesso carattere. Ma prima di analizzare nel dettaglio la reazione delle donne, perché non si parla invece del comportamento degli uomini.

“Cette justice expéditive a déjà ses victimes, des hommes sanctionnés dans l’exercice de leur métier, contraints à la démission, etc., alors qu’ils n’ont eu pour seul tort que d’avoir touché un genou, tenté de voler un baiser, parlé de choses « intimes » lors d’un dîner professionnel ou d’avoir envoyé des messages à connotation sexuelle à une femme chez qui l’attirance n’était pas réciproque” hanno scritto le 100 attrici francesi. Ma chi può decidere cosa sia molestia e cosa no? Non dovrebbe essere garantito il diritto di sentirsi importunate da uno qualsiasi di questi comportamenti? Perché qualcuno li deve elencare dando loro il benestare del lecito o quello dell’illecito?

A distanza di meno di un mese arriva la lettera delle attrici italiane. Di tono e posizione completamente diversa da quella francese. Non andava bene quella, dicevano sui social, e non piace nemmeno questa. Perché la questione è passata da “un uomo che usa il proprio potere per ottenere qualcosa da una donna non consenziente” a “ma tu ci sei stata, ma tu lo hai provocato, ma tu non hai reagito, ma tu come eri vestita, ma cosaparli tu che hai fatto carriera, ma chi ti sei fatta per arrivare lì, ma cosa parli da privilegiata strapagata, ma che ne sai tu delle molestie vere alle operaie, ma sei figlia di papà” e potrei continuare per ore.

A Bloomberg a Londra, dopo essere stata assunta, dovetti frequentare un corso di sexual harassment. Mi suonò così strano al momento. Poi al corso ci spiegarono che non sempre una pacca sulla spalla è per tutti una pacca sulla spalla; che dire “che bel vestito” può essere letto in diversi modi; che il salutarsi con un bacio sulla guancia, come facevamo noi latini, non era per tutti un gesto “neutro”. Sulle scale incontravo colleghi musulmani, in cucina indiani con il safa, nella sala trucco americane ortodosse e dopo il corso guardandoli iniziai a chiedermi cosa per loro fosse “troppo”. Iniziai così ad avere maggior coscienza dei miei gesti e di ciò che potevano significare per gli altri. Non misi mai in discussione se fosse esagerato prendersela per una battuta a doppio senso al bar o se fosse ridicolo trovare fastidioso stringere la mano ad un incontro.

Ognuno di noi sa quali sono i confini, i propri confini. E gli altri, tutti, dovrebbero imparare a rispettarli. Rispetto, non moralismo. Ognuno dovrebbe sapere quando sta passando il segno, uomini e donne. E se lo fa, sa che sta forzando la mano, invadendo confini. E non si parla di un mazzo di fiori, tre messaggini o un complimento al mattino. Suvvia, facciamo i seri. Di cosa stiamo parlando lo sappiamo tutti e tutte, anche quelli/e a cui non è mai capitato. Perché abbiamo un’amica, una collega, una vicina, una conoscente che prima o poi ci ha raccontato di quella volta in cui le è stato detto “Se sei gentile con me, poi penso io al contratto”, di quella volta che ha dovuto scollarsi delle mani di dosso, di quella volta che per fortuna è arrivata la collega. Che attrici, studentesse o operaie, non fa differenza. E allora cosa stiamo qui a fare della filosofia su potevi-fare o potevi-dire. E cosa ci scanniamo fra noi donne che fa solo ridere gli uomini che stanno a guardare, come fosse una lotta nel fango in perizoma.

Piantiamola un po’ e riconosciamo ad ognuna il diritto di considerare molestia ciò che la molesta, di aver sbagliato a non denunciare subito, il diritto di non aver avuto la forza di dire no, il diritto di aver subito il fascino del potere. Riconosciamo ad ognuna il diritto di essere ciò che è. Perché se non ce lo riconosciamo noi per pirme, nessun altro potrà farlo per noi.

Sul resto, scusate, faccio parlare i numeri, come nella migliore tradizione del Sole 24 Ore. Con l’accortezza di ricordare che gli episodi sono molti di più rispetto al numero denunciato. Può capitare all’attrice come alla disoccupata. E non esiste privilegio né miseria. Non c’è alcuna differenza e noi donne lo sappiamo. Allora ben venga che l’attrice famosa dica “io non ci sto”, se riesce anche solo a dare l’esempio e la forza a una ragazzina violentata da un pr in un locale alla moda di andare a denunciare.


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