Siti sessisti, la misoginia è un business: le denunce non bastano

In questi giorni l’opinione pubblica sta “scoprendo” una “nuova” e perversa forma di violenza digitale di genere: il piacere di esercitare un fittizio dominio sulle donne impegnate in politica e nelle istituzioni, dunque donne che prendono parola e che detengono una qualche forma di potere, diffondendo le loro foto su siti creati ad hoc con l’unico scopo di commentarle con frasi oscene. Foto assolutamente normali, che le ritraggono durante l’attività istituzionale, vengono trasformate in carne da macello per un branco digitale violento e senza freni.

Nel saggio “Come farfalle nella ragnatela. Storie di ordinaria violenza digitale sulle donne”, scritto insieme a Vanessa Isoppo, citiamo la ricerca “Monetizing Misogyny”, che evidenzia come le donne impegnate in politica siano vittime, più di altre, di campagne di disinformazione e di odio, soprattutto quando sostengono i diritti civili, la parità di genere o tematiche ambientaliste. In questi casi, più che in altri, vengono diffuse fake news al fine di screditarle.

Il fenomeno è molto più ampio di quanto si immagini. Anni fa, una mia foto davanti a un manifesto con un simbolo identitario della sinistra venne condivisa sulla pagina social di un movimento di destra radicale. Nella foto ero ritratta con un’altra persona, un uomo. I commenti rivolti a lui erano di carattere esclusivamente politico («sporco comunista», «zecca rossa»…), mentre quelli indirizzati a me erano talmente violenti e volgari da costringermi a smettere di leggerli per proteggere il mio equilibrio psicologico. Ero già dirigente della Cgil e quello fu il mio primo vero incontro con la violenza digitale di genere. Credo siano passati dieci anni, ma quei commenti li ricordo ancora.

Come tante, anzi forse come tutte le donne che prendono parola nello spazio pubblico, sono stata vittima di diverse forme di violenza digitale, incluso lo stalking, che mi ha portata a sporgere più denunce alla polizia postale. Ho scelto di scriverne perché so bene cosa si prova.

Oggi c’è clamore per i tanti siti dove si esercita violenza digitale sulle donne attraverso l’uso di immagini personali. Ma la violenza digitale non è un’emergenza passeggera: è un problema strutturale che nasce dalla stessa cultura del possesso e dallo squilibrio di potere che alimenta la violenza anche nella vita reale.

Per questo è fondamentale che quei siti vengano scoperti e chiusi: sono assolutamente d’accordo. Ma se non interveniamo in modo preventivo, con politiche capaci di determinare un reale riequilibrio di potere e di sradicare la cultura del possesso, non otterremo risultati duraturi. Continueremo soltanto a inseguire nuovi siti che umiliano le donne e che fungono da valvole di sfogo per la frustrazione di uomini che si sentono oggi, più che mai, messi in discussione.

Ciò che sta accadendo in queste settimane sul web ci obbliga, ancora di più, a intervenire alla radice, con azioni preventive volte a smantellare la cultura patriarcale del possesso e dell’oggettivazione delle donne. È necessario educare alla cultura del rispetto e riequilibrare i rapporti di potere tra i generi, garantendo la piena partecipazione delle donne alla vita politica, economica e sociale del Paese. Per questo servono investimenti specifici.

Il resto – le denunce ex post, pur giuste e doverose – non è sufficiente a cambiare davvero la condizione delle donne.

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