Cara@Alley,
ti scrivo per attirare l’attenzione sugli effetti combinati di sessismo e ageismo (la discriminazione basata sull’età) che colpiscono le donne over-50 e proporre alcune semplici azioni che contribuirebbero a contrastare il fenomeno.
Rapido inquadramento. Le donne in Italia guadagnano mediamente il 20% in meno dei loro colleghi. Pur riponendo molte speranze nella direttiva Ue 2023/970 (che obbligherà i datori di lavoro a garantire maggiore trasparenza nelle retribuzioni), questa non potrà comunque sanare il passato: le donne che lavorano da anni hanno uno svantaggio non colmabile, con conseguenze anche sulle loro future pensioni. Questo va ad aggiungersi al fatto che molte di loro, pur non essendo uscite definitivamente dal mercato del lavoro in corrispondenza delle maternità (già un successo), hanno comunque spesso perso opportunità dal punto di vista della carriera (la child penalty).
Come non bastasse, le donne sono anche le principali caregiver e a volte si trovano a chiedere il part-time o a uscire dal mercato del lavoro per accudire qualcuno. Infine, le donne hanno contratti più precari di quelli degli uomini e, quando c’è una crisi (anche di entità minore di una pandemia), fanno la fine dei vasi di coccio tra i vasi di ferro. Altre uscite dal mercato del lavoro che, soprattuto dopo i 50 anni, rischiano di essere strade senza ritorno.
Ageismo rafforzato. A tutto questo, si aggiunge l’ageismo. Pur non risparmiando nessuno in una società paradossamente sempre più giovanilsta nell’era della longevità, l’ageismo risulta “rafforzato” dal sessismo, penalizzando enormemente le donne che si trovano a dover cercare lavoro oltre i 50 anni.
Mi confronto con questo fenomeno su vari fronti, incluso nel mio ruolo di presidente di Dress for success Milan (un’associazione che aiuta gratuitamente le donne a cercare e trovare lavoro) e devo constatare che le donne over 50 sembra non le voglia nessuno, anche se sono preparate, volonterose e disposte a fare passi indietro retributivi e di carriera pur di trovare un impiego. L’associazione mette a disposizione una quarantina di coach ed esperte HR che lavorano fianco a fianco con le donne per aiutarle a prepararsi ai colloqui e cercare le aziende più adatte al loro profilo. Doniamo anche un abito professionale per sostenere i colloqui con maggiore sicurezza. Quasi tutte che arrivano da noi ci dicono la stessa cosa: «Non riesco nemmeno a fare il colloquio, mi scartano in partenza».
Molte delle donne che arrivano a noi sono rimaste senza lavoro per lunghi mesi, a volte per anni, con una penalizzazione immediata, ma anche una a “scoppio ritardato” sulla pensione. Nell’era della longevità, in cui la vita da pensionati potrà durare facilmente oltre vent’anni, per integrare le pensioni femminili insufficienti a causa di tutto ciò di cui ho scritto occorrerebbero risparmi cospicui, ma ma molte donne, per le ragioni elencate, hanno risparmiato ben poco (e a volte usato i risparmi per tirare avanti nei periodi in cui non avevano lavoro).
Sembra proprio che l’”età giusta” per noi donne sia un intervallo molto stretto, schiacciato tra l’età in cui non siamo credibili perché giovani e magari pure graziose, l’’età in cui siamo pericolose perché potenziali madri e madri e l’età in cui siamo troppo senior ma senza che questo si traduca in gravitas percepita.
L’ageismo è rimasto forse l’unico -ismo su cui le organizzazioni “chiudono un occhio” e l’ intersezionalità tra sessismo e ageismo sembra sia addirittura invisibile. E’ per questo che ho pensato di scrivere questa lettera, perché vorrei che le organizzazioni si occupassero di più di questo tema.
Ecco alcune azioni da cui possono cominciare:
Eliminare l’”ageismo algoritmico” che è presente nei software di recruiting. Questi scartano cv con “troppa” esperienza o date remote, sbarrando la strada a chiunque abbia passato una certa età. Occorre anche anonimizzare i cv in modo da non permettere di riconoscere il genere.
Formare i recruiter e i manager su tre fronti. Primo, nel nel riconoscere i bias impliciti legati all’età, al genere e all’intersezione tra i due. Secondo, nel selezionare sulla base delle competenze variamente acquisite per evitare di penalizzare chi non ha avuto una carriera lineare. Infine, formarli anche sui benefici di una forza lavoro diversificata per età: nei team composti da giovani può essere utile inserire una persona più senior anche come team member, non necessariamente come manager.
Se il colloquio ha esito negativo, spendere tempo nel dare un feed-back fattuale e suggerire aree di miglioramento (questo andrebbe fatto sempre, ma è ancora più importante per chi fronteggia più difficoltà).
Misurare l’intersezionalità nel reporting Dei e inserire kpi di età e genere. Se misuriamo e diamo obiettivi sulle discriminazioni di genere e di età separatamente, non abbiamo controllo su ciò che succede all’intersezione, mentre tutta l’evidenza indica che lì il problema si acuisce.
Dare la chance di accedere ai colloqui di selezione a candidate over-50, anche se non rispondono perfettamente all’identikit del candidato ideale. Questo è importante per contrastare gli stereotipi nei selezionatori (questi fioriscono dove non c’è conoscenza di prima mano) e per poter dare feed-back alle candidate su cosa migliorare.
Se le aziende conoscessero di più la popolazione femminile over-50, credo potrebbero restare stupite di quanto talento, voglia di fare e di contribuire ci sia in questo pool di candidate.
Odile Robotti, amministratrice unica di Learning edge e presidente di Dress for success Milan
***
La newsletter di Alley Oop
Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.
Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com