Gentile Presidente Meloni,
Mi chiamo Ale.
Le scrivo perché è una donna, ma soprattutto una madre.
Le scrivo perché sono stanca di vedere notizie di femminicidi alla televisione e sui giornali.
Ma sono ancora più stanca perché, dopo tutte queste notizie, di concreto non si fa nulla.
Io faccio parte di quelle donne che hanno denunciato.
Faccio parte di quelle donne che aspettano giustizia. Io aspetto da sei mesi. Altre da anni.
Faccio parte di quelle donne che ormai non vivono più tranquille.
Faccio parte di quelle che aspettano mesi prima che vengano verificate le problematiche degli ex compagni (non credo sia così difficile strappare un capello ed analizzarlo).
Faccio parte di quelle che non hanno ottenuto l’allontanamento, perché dopo minacce di morte e denuncia, lui “si è comportato bene”.
Faccio parte di quelle che «potevano aprire gli occhi prima», perché giustamente un manipolatore e narcisista si presenta con la targhetta al collo dove sono elencate tutte le sue problematiche e dipendenze.
Faccio parte di quelle che hanno lottato contro l’alcolismo e le dipendenze pur non essendo coinvolte direttamente.
Faccio parte di quelle che prendono i figli e si chiudono a chiave in una stanza per dormire tranquille.
E tutto questo lo fanno mentre cercano di decidere quale sia la soluzione meno pericolosa per non subire ulteriori maltrattamenti.
Perché oltre a venire maltrattate, dobbiamo anche cercare una soluzione “accomodante” per non rischiare la vita.
Faccio parte di quelle donne che sono dovute andare via con quattro vestiti nello zaino.
Faccio parte di quelle che hanno abbandonato tutta la loro vita per salvare sé stesse e i propri figli.
Faccio parte di quelle che non hanno saputo subito come comportarsi e se lo sono sentite anche rinfacciare.
Faccio parte di quelle che hanno dovuto spiegare ai propri bambini perché non possono riavere la loro casa, i loro giocattoli, la loro vita.
Faccio parte di quelle che dormono su un divano, in attesa che un giudice decida se restituire loro la casa, dove nel frattempo vive ancora chi è stato denunciato.
Faccio parte di quelle che, quando rientreranno, troveranno una casa devastata, con utenze staccate e spese arretrate. Perché i denunciati, sapendo che prima o poi dovranno andarsene, “si divertono” a distruggere.
Faccio parte di quelle donne a cui viene detto: «L’unico modo per tutelarvi è abbandonare tutto e andare in una casa protetta».
Ma davvero l’unico modo per proteggerci è punire noi e i nostri figli?
Vi siete mai messi nei panni di un bambino che, dopo un trauma, deve lasciare tutto, anche gli amici?
Nei panni di una madre che deve abbandonare il suo lavoro conquistato con fatica?
Di una famiglia che, dopo maltrattamenti, ha bisogno degli affetti e invece viene isolata?
E il denunciato, nel frattempo, cosa perde?
A cosa rinuncia?
Cosa gli viene tolto?
Niente.
Continua la sua vita tranquillamente, in attesa (forse) di essere punito.
Faccio parte di quelle donne che non possono accedere agli assegni familiari perché il padre non fornisce i documenti necessari.
Faccio parte di quelle che non ricevono un euro e si sentono dire: «Hai voluto crearmi problemi, adesso ne paghi le conseguenze».
Faccio parte di quelle che soffrono di attacchi d’ansia, che dormono male, che hanno paura ogni giorno.
Faccio parte di quelle che sono obbligate a far vedere i figli a genitori violenti o tossicodipendenti, se no rischiano loro stesse conseguenze legali.
Però attenzione: se succede qualcosa al bambino mentre è col padre, e noi eravamo a conoscenza dei suoi problemi, potremmo essere comunque accusate.
Fino a quando il giudice non si pronuncia, non abbiamo alcuna tutela.
Vorrei solo sapere una cosa. Io, che non ho studiato molto.
È così difficile, dopo una denuncia supportata da prove, prendere provvedimenti immediati?
È così difficile fare subito un’analisi del capello a chi è accusato di abuso di alcol o droghe? (Perché con l’urina si può facilmente barare).
È così difficile tutelare madri e bambini da chi gira tranquillo per mesi, o anni, vantandosi della propria impunità?
È così difficile affidare subito le case ai minori e semplificare l’affido per chi ha già sofferto abbastanza?
È così difficile emettere ordini di allontanamento urgenti, così che questi padri non possano avvicinarsi alle scuole dei figli o prelevarli legalmente?
È così difficile garantire sicurezza immediata a chi ha già sopportato troppo?
È così difficile impegnarsi davvero per studiare un metodo giusto, coerente, efficace per combattere questa emergenza?
È così difficile prevedere punizioni esemplari, affinché la violenza non venga percepita come qualcosa di “normale”?
La violenza domestica non è ancora omicidio.
Ma noi denunciamo e lo Stato mette nelle mani dei colpevoli lo strumento per commetterlo: la libertà di farlo.
Spero di non diventare anch’io un paio di scarpette rosse.
Per ora vivo con la magra consolazione che il mio ex ha trovato una nuova vittima e quindi, forse, lascia in pace me e i miei figli.
Ma so anche che quella ragazza potrebbe subire ciò che ho subito io.
Si immagini se tutto questo fosse successo a lei o a sua figlia.
Si sarebbe sentita tutelata? Aiutata? Ascoltata?
Si sentirebbe tranquilla, oggi, sapendo che sua figlia non è al sicuro?
Non credo.
Per questo le chiedo di agire in fretta, di colmare questa vergognosa falla della giustizia italiana.
Perché un giorno ciò che oggi subiscono tante donne, potrebbe accadere anche a mia figlia.
O alla sua.
Nessuno è esente.
Nessuno è al sicuro.
Questa è la mia storia.
Ma come la mia, ce ne sono tante.
Alcune ancora hanno voce per raccontarla.
Altre sono diventate nomi scritti sulle lapidi e sulle pagine di cronaca.
E a chi dice «ve la siete cercata», rispondo:
Auguro di non passare mai quello che abbiamo passato noi.
Perché parlare è facile. Quando i problemi sono degli altri.
Grazie se vorrà dedicarmi due minuti del suo tempo.
Con affetto,
Una mamma e una donna forte, ma stanca.
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