Usa: una proposta di legge per rendere difficile il voto per le donne

Chi si occupa di diritto impara presto che per valutare la qualità e la portata di una norma non ci si può limitare a considerare gli obiettivi e le conseguenze dichiarate, ma occorre leggere tra le righe gli effetti indiretti che, involontariamente o con cognizione di causa, si produrranno nella realtà.

Questa premessa è necessaria nel momento in cui si considera la proposta di legge promossa dalla maggioranza trumpiana al Congresso: Safeguard American Voter Eligibility Act (SAVE Act), volta a introdurre l’obbligatorietà di una prova documentale di cittadinanza per poter esercitare i diritti elettorali. Niente di strano fino a qui, per noi cittadini europei è del tutto ragionevole e scontato essere in possesso di documenti che certifichino cittadinanza e maggiore età per poter verificare l’iscrizione nei registri elettorali e votare.

Il voto negli Usa

Non così negli Stati Uniti, però, dove l’accesso al voto esclude ogni automatismo e richiede l’adempimento di procedure di registrazione complesse, che possono risultare respingenti, soprattutto per determinate categorie di persone. In Italia siamo abituati ad avere un unico documento che attesta tutti gli elementi necessari ad accedere a diritti e servizi, ma dobbiamo considerare che la realtà amministrativa statunitense è profondamente diversa, frammentata in ragione della miriade di regole diverse vigenti a livello statale e territoriale, che rendono – per esempio – difficile a chi viva in uno Stato diverso da quello di origine ottenere in tempi rapidi un certificato di identità.

Ebbene l’attuazione del SAVE Act, più che conseguire il fine comprensibile di verificare che chi voti sia effettivamente in possesso della cittadinanza (controllo che, peraltro, avviene già ora, secondo sistemi differenziati nei vari Stati), comporterebbe una complicazione esponenziale degli adempimenti burocratici che ostacolerebbe la registrazione anche delle persone in possesso dei requisiti per votare. Si conta che 21milioni di cittadini americani maggiorenni, per ragioni meramente tecniche e amministrative, non hanno possibilità di accedere tempestivamente a documenti necessari a dimostrare ufficialmente la loro cittadinanza (fonte Brennan Center for Justice).

Tra l’altro il SAVE Act interviene in senso restrittivo sui metodi ammessi per la registrazione elettorale, escludendo le modalità online, via posta o presso uffici locali assimilabili alla nostra motorizzazione, che nel tempo hanno consentito ad ampie fasce di persone di accedere al voto.

I rischi per il voto delle donne

Tra gli effetti collaterali (indesiderati?) della proposta vi è la difficoltà a iscriversi nei registri elettorali per persone che assumono il cognome del coniuge a seguito del matrimonio. Negli Usa vige la più ampia libertà nella scelta del cognome ma, in virtù di una tradizione radicata, la maggior parte delle statunitensi assume il cognome del marito, che naturalmente non corrisponde a quello che risulta sul certificato di nascita o sul passaporto (documento di cui dispone meno della metà degli americani). Va da sé che con il SAVE ACT in vigore, una donna sposata che non ha un passaporto valido e dispone solo del certificato di nascita in cui figura un cognome diverso da quello coniugale non potrà votare.

Ora, si può eccepire che c’è sempre la possibilità di muoversi per tempo, mettere da parte quanto necessario a recarsi nello Stato di origine per ottenere certificati aggiornati, o evitare semplicemente di scegliere di sostituire al proprio il cognome del marito. Tutto ciò è possibile ma implica una forte volontà e disponibilità economica.

Quel che qui preme sottolineare è la ratio di una legge che è manifestamente rivolta a migliorare il sistema di controllo dei requisiti dei votanti ma di fatto aggiunge ostacoli a una procedura già complessa e farraginosa, restringendo fino a precludere nei fatti l’accesso al voto a categorie precise di persone: minoranze emarginate, che pur in possesso della cittadinanza possono avere difficoltà a ottenere certificazioni idonee ai requisiti rigidi richiesti dalla norma, e alle donne.

L’ennesimo, malcelato attacco ai diritti delle minoranze e delle donne che non sono minoranza, rappresentando circa la metà della popolazione, ma sono bersaglio, anche nelle democrazie costituzionali, di abusi e tentativi di compressione della libertà di fronte ai quali occorre tenere la guardia alta e non restare in silenzio.

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