Vulnerabilità al lavoro, una risorsa incompresa

«Che può essere ferito». Se si cerca ‘vulnerabile’ sul dizionario, si trova questa definizione.
Sorge allora spontanea una domanda: chi avrebbe il coraggio di accostare “vulnerabilità” a “lavoro”? Probabilmente nessuno. Soprattutto dal momento che questo lemma viene riportato come sinonimo di debolezza e fragilità.

Se ci si ferma a questa idea di vulnerabilità, è dunque comprensibile rifuggirla e vergognarsene. L’essere umano non ama sentirsi debole e tanto meno fragile. Specialmente al lavoro.
Eppure, a uno sguardo più attento, si nascondono alcuni elementi che potrebbero ribaltare la prospettiva.

Rischio, incertezza e apertura emotiva

Uno studio condotto su più di 3500 persone provenienti da oltre 800 aziende nel mondo, rivela che la vulnerabilità al lavoro assume prevalentemente la forma di commettere un errore, condividere le proprie emozioni ed esprimere disaccordo.

Tutti esempi che rimandano alla definizione di vulnerabilità di Brené Brown, ricercatrice americana che l’ha studiata a fondo e che la definisce come la capacità di aprirsi al rischio, all’incertezza e ai propri vissuti emotivi. Esporsi comporta infatti uscire dalla propria zona di comfort, senza sapere cosa avverrà dopo la propria dichiarazione o il proprio gesto, sperimentando emozioni come vergogna, imbarazzo, ansia e paura. 

Ecco dunque che sorge spontanea una seconda domanda: chi considererebbe fronteggiare rischi e incertezza come una debolezza? Vista da questo punto di vista, la vulnerabilità si rivela molto più vicina a concetti come “forza” e “coraggio”, allontanandosi di molto da “fragilità” e “incertezza”.

I vantaggi della vulnerabilità al lavoro

Mostrarsi vulnerabili richiede coraggio e può essere dimostrazione di forza. Specialmente al lavoro, luogo in cui spesso è difficile trovare sufficienti condizioni di sicurezza psicologica, tali da consentire a una persona di esporsi. A titolo d’esempio, basti pensare che secondo i dati 2023 dell’Osservatorio BVA Doxa-Mindwork sul benessere psicologico nelle aziende italiane, solamente il 23% delle persone si sente libero di parlare del proprio malessere psicologico con colleghe e colleghi.

Tuttavia, la vulnerabilità portata nella propria sfera professionale comporta importanti vantaggi. Riprendendo gli esempi sopra citati – legati al commettere errori, condividere emozioni ed esprimere disaccordo – lo si può intuire. Sbagliare permette infatti di imparare, essere trasparenti rispetto ai propri vissuti emotivi consente di costruire relazioni sane e che funzionano, mentre le divergenze sono un ingrediente essenziale per innovare.
Ecco allora che la vulnerabilità si fa alleata non solo del benessere individuale e organizzativo, ma anche della performance.  

Vulnerabilità come strumento

Alla luce di quanto raccontato, la vulnerabilità può essere pensata come una competenza, uno strumento che consente alle persone di fronteggiare non solo rischio e incertezza, ma anche di trovare il coraggio per condividere le proprie idee e riportare i propri errori, in ottica di crescita e miglioramento continuo. 

Da questo punto di vista – come anticipato – la vulnerabilità non va intesa come antitetica ai risultati, ma va invece (ri)scoperta come alleata di quest’ultimi. Per essere tale, tuttavia, è essenziale che sia compresa a fondo. Va spiegata e illustrata: serve non solo superarne falsi miti e pregiudizi, ma anche comprendere i contesti e le situazioni in cui può essere utile esporsi e quelli in cui invece diventa controproducente. Come ogni competenza che si rispetti, anche la vulnerabilità non può essere intesa in una logica bianco/nero. Il segreto è impare a dosarla. Non esiste solamente la scelta tra mostrarsi vulnerabili oppure non farlo: una volta che si padroneggia la propria vulnerabilità, si è in grado di decidere quanto e in che modalità esporsi. Perché è vero: non sempre è vantaggioso farlo. Tuttavia, nel momento in cui si rivela conveniente, i benefici che ne derivano sono inconfutabili. 

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