Il coraggio delle donne, di ieri e di oggi. Se l’estate è il tempo ideale per rilassarsi senza pensieri, la ripresa è un momento duro, che a volte ci appare insormontabile. Ma quando sembra mancare l’aria i libri arrivano in soccorso, sempre, come una boccata d’ossigeno. Ecco qualche suggerimento per un’esperienza di lettura da intraprendere con i primi freddi, accucciate e accucciati sul divano con una coperta sulle gambe e una tisana calda. Per ricaricare le energie e lasciarsi ispirare.
Un classico da recuperare: Alba de Céspedes, “Nessuno torna indietro” (1938; Mondadori 2022)
Per capire da dove siamo partite, chi eravamo noi donne quasi cento anni fa (sembra un’eternità, ma è la storia appena dietro le nostre spalle) possiamo camminare accanto a Silvia, Xenia, Anna, Valentina, Augusta, Vinca, Milly ed Emanuela, otto ventenni che trascorrono quasi due anni (dal 1934 al 1936) in un collegio di suore a Roma. Ognuna per un motivo (chi studia, chi lavora, chi fugge da un passato ingombrante) e tutte con il desiderio di affacciarsi al futuro a modo proprio. Le ragazze sognano di poter essere loro stesse, emanciparsi, ognuna a modo suo, a differenza di come accadeva in un’epoca nella quale il modello di donna era ben chiaro (la “regina del focolare”, sottomessa e servile). L’autrice racconta le storie in equilibrio tra la cronaca degli avvenimenti che riguardano le ragazze e il percorso verso un’educazione sentimentale delle stesse, senza mai giudicarne le scelte, ma raccontando i momenti salienti e come questi venivano vissuti con l’emotività, i sogni e le illusioni dei vent’anni. Ammirevole come Alba De Céspedes non cada nella trappola moralistica quando tratta temi importanti (la ricerca di un “buon partito”, i compromessi accettati per ambizione, la maternità da nascondere perché fuori dai canoni convenzionali) e si spinga in ragionamenti cinici, affidati ad alcune delle protagoniste, che mettono di fronte a temi importanti senza falsi moralismi.
L’uscire dal terreno familiare, confrontarsi con sé stesse, liberarsi da ogni etichetta che il paese, lo sguardo degli adulti, la società ci attacca addosso, è una conquista, ma la consapevolezza, in un mondo ancora fermo e conservatore, ha un prezzo:
«Ma, tu, fino a quando rimarrai qui dentro?
– Fino a quando avrò concluso qualcosa.
Tornerò in Sardegna soltanto un mese o due, l’estate.
A casa, ormai, non si può più tornare.
I genitori non dovrebbero mandarci in città.
Dopo, anche se torniamo, siamo cattive figlie, cattive mogli.
Chi può dimenticare di essere stata padrona di se stessa?
E, per i nostri paesi, aver vissuto sole in città vuol dire essere donne perdute.
Quelle che sono rimaste, che sono passate dall’autorità del padre a quella del marito, non ci perdonano di aver avuto la chiave della nostra camera, di uscire e di entrare all’ora che vogliamo.
E gli uomini non ci perdonano di aver studiato, di saperne quanto loro».
Pensato per ragazzi, consigliato a tutti: Karoline Kan, “Sotto cieli rossi. Diario di una millennial cinese”, traduzione di Benedetta Gallo, Bollati Boringhieri 2020
«In me è sorto il sogno di scrivere le storie della gente che conosco e amo, ma anche di condividere la mia esperienza senza sottostare alla censura del governo e delle narrazioni del Partito. Credo che queste vite meritino di essere raccontate, e mi reputo fortunata ad aver trovato il modo per farlo; molti cinesi non hanno avuto l’opportunità di far sentire la propria voce». Questa la missione di Karoline Kan, nata nel 1989, poco dopo il massacro di Tienanmen. Lei è la prova vivente di una donna (la madre) che attraverso sotterfugi si è ribellata al regime: secondogenita e per giunta femmina, non sarebbe dovuta nascere, secondo la legge del figlio unico in vigore fino al 2013: pene e sanzioni a chi metteva al mondo più di un figlio. Secondo le stime del ministero della Salute, dal 1983 al 2015, ogni anno più di un milione di cinesi vennero sterilizzate. Solo nel 1983, quando entrò in vigore la politica del figlio unico, a oltre sedici milioni di donne furono chiuse le tube.
Il racconto in prima persona della vita di una teenager in un mondo che non concede libertà di parola e di espressione, nel quale i genitori decidono per i loro figli anche adolescenti; un mondo al quale Karoline non si sente di appartenere e osserva con spirito critico, anche se sa che i cambiamenti derivano da processi lunghi e lenti:
«…mi sentivo delusa dall’atteggiamento della nonna. Mi chiedevo perché lei e le altre della sua generazione avessero protetto un sistema sociale maschilista. Come avevano potuto essere così rigide su scelte importanti come l’educazione e la carriera delle loro figlie?
Tanto più che le amavano, di questo ero sicura.
Se Laolao aveva delle caramelle, aspettava che i maschi se ne andassero e le distribuiva solo alle nipoti».
Un romanzo interessante per ascoltare, dalla voce chi ha vissuto, fin dalla fine degli anni Ottanta, una Cina che ha faticato a scrollarsi di dosso le sovrastrutture di un regime totalitario e maschilista, del quale ancora oggi rimane una imponente eredità.
Donne celebri viste sotto un’altra luce: Matilde di Canossa nel romanzo “Io sono la contessa” di Cinzia Giorgio, Newton Compton 2024
Lo spunto per questo appassionante racconto è un manoscritto realmente custodito presso la Biblioteca Apostolica Vaticana: la biografia di Matilde di Canossa raccontata da Donizone. Cinzia Giorgio immagina che la professoressa Demetra Fusselman sia chiamata a studiare il manoscritto, e scopra, fra le pagine, un in folio con un memoriale della stessa contessa. L’autrice è docente di Storia delle donne e Storia dell’arte e questo suo punto di vista privilegiato sugli aspetti storici e sociali delle vicende che racconta (Maddalena, Cassandra, altre figure che ha preso in esame in pubblicazioni precedenti) offre una visione appassionante e nuova.
Matilde in questo romanzo è una donna che inizia la sua vita nella maniera peggiore possibile, finendo in carcere con la madre e ritrovandosi poi costretta a sposare un odioso fratellastro. La sua prima figlia muore subito dopo il parto e sarà questa la molla che farà scattare il suo desiderio di rivalsa, di affermazione. Da quel momento, riesce a trovare la sua strada e ad affermarsi in un mondo di uomini assetati di potere.
«Ai loro occhi dovevo apparire come una donnetta fragile e indifesa. Parlavano pensando che io non fossi in grado di comprendere le loro parole. Mi credevano, a torto, non solo troppo debole, ma anche sciocca. Ero invece sì devastata dal dolore, ma anche dal risentimento, che pian piano andava insinuandosi nel mio animo come un morbo mortale».
Sulle orme del padre, che le aveva insegnato «a cavalcare, a brandire una spada, a tirare con l’arco» e in ricordo dei tempi in cui giocava alla guerra con i figli dei vassalli, diventa contessa e una potente feudataria finendo per rappresentare una figura chiave nella lotta per le investiture fra papa e imperatore.
Una donna vissuta in un’epoca di oscurantismo, governata dagli uomini, unici detentori di qualunque potere (economico, politico, familiare) che diventa potentissima, ma che soprattutto si mette in discussione, in gioco e riconosce in sé stessa un potenziale da mettere al servizio del suo popolo.
(Il manoscritto di Donizone, digitalizzato, si può visionare al link: https://digi.vatlib.it/view/MSS_Vat.lat.4922)
Un libro di donne, partendo dalla Grande Madre: Eliana Camaioni, “Nostra Signora da Messina”, Algra editore 2024
Messina, città dello Stretto, nota alle cronache negli ultimi tempi per la questione del Ponte. Messina è anche terra di misteri, di culti sommersi, Madonne Nere. Uno dei simboli della città, che accoglie appena si arriva dal Continente è la Madonna della Lettera, colei che – si crede – consegnò una benedizione ai cittadini nel 42 d.C. Eliana Camaioni, studiosa delle tradizioni cittadine, riporta, in forma di romanzo gestito su vari piani narrativi, un ulteriore passaggio che lega la patrona della città alla figura esoterica della Grande Madre attraverso il ritrovamento di un manoscritto che Cervantes produsse durante la convalescenza messinese.
A guidare il plot intricato e appassionante, Alianna Braschi, una donna forte, direttrice di uno dei più importanti musei del mondo (il Louvre) che viene chiamata a indagare sul furto della statuetta di una Madonna Nera in Francia e un omicidio a Messina. Una donna che deve mettersi in discussione per arrivare alla soluzione del caso, deve fare i conti con i confini del suo pensiero e imparare ad ascoltare sé stessa, oltre che raccogliere indizi in giro per il mondo:
« …come un vaso che si scheggia e perde frammenti. Accade in seguito a tutto ciò che nella vita, ogni giorno, ci far star male: a ogni scossone, ci sono pezzi di anima che si frammentano e ci abbandonano. Finché ci ritroviamo con un vaso scheggiato e pieno di buchi, fragile e vulnerabile, e permeabile da tutto ciò che non vorremmo entrasse mai in noi: la tristezza, la rabbia, il senso di fallimento.
– E come si fa a riparare quel vaso?
– Entrandoci dentro, ascoltando il corpo. O guardandolo da fuori, imparando a dialogare con l’anima. E l’una cosa non esclude l’altra.
– È un bel cambio di rotta, Lea, per una razionale come me. E non so se ho il tempo di metterlo in atto: ho più di una verità da trovare, e anche in fretta».
Un romanzo dal ritmo serrato, che ci presenta i personaggi impegnati in un’avventura rocambolesca che fa da filo conduttore, mostrando con mestiere e cura il bagaglio di esperienze, ricordi (è il terzo di una trilogia, anche se procede anche in maniera autonoma), debolezze che permettono di empatizzare con l'”investigatrice” e tutte le donne che ha attorno, forti e determinate, nel bene e nel male, e che costituiscono, insieme, il fulcro del romanzo.
Avventura, romance, storia, mistero tengono viva l’attenzione dei lettori di ogni età e gusti.
Una figura di donna, ancora prima che di madre, che spiazza: Antonio Franchini, “Il fuoco che ti porti dentro”, Marsilio 2024
Uno dei libri più letti degli ultimi mesi, accolto con curiosità ed entusiasmo, in cinquina al Premio Campiello. È raro che un figlio riesca a guardare la madre con la lucidità di Antonio Franchini. Ne viene fuori il ritratto di una donna del Sud, trapiantata al Nord, che rifiuta con tutto il cinismo possibile la sua vita, le persone che ha attorno, perfino la figlia, che appella nelle maniere più becere e cattive. Aspra, dura, razzista, spiacevole, distante, intollerante, frustrata: questa è Angela, in contrasto perfino con il suo nome. La figura del padre sempre sullo sfondo, come se ci si dimenticasse di lui:
«Già, mio padre. L’uomo che ha portato con sé la risposta all’interrogativo più ovvio e che però io formulo solo da adulto: ma perché? perché ha sposato questa donna?».
Da figli arriva il momento nel quale i genitori diventano uomo e donna, con il loro carico di difetti (oltre che luminosi pregi che hanno sempre mamma e papà), incongruenze, debolezze. Una delle maniere per venirne a capo, per un figlio, è ripercorrere la vita, le scelte, come se si riavvolgesse il nastro e si ripartisse da capo. Vedere i genitori anche in relazione agli altri, a chi li circonda e li ha accompagnati in una parte del cammino, può essere utile. E a un certo punto spogliarsi dai pregiudizi, anzi, dalle aspettative e accorgersi che sono uomini e donne. Angela nella foto con i pantaloni scampanati, prendisole a fiori, sorprende a un certo punto Antonio, che la guarda come se non la avesse mai vista, non la ricorda felice. Nonostante abbia cercato, per tutto il romanzo, una ragione per amarla incondizionatamente come si ama una madre, senza forse riuscirci, respinto da ciò che è diventata.
Forse si può trovare la pace in una risposta, semplice, che è essa stessa una domanda:
«È forse questo tempo della nostra pienezza, il momento buono che è sparito e non può tornare, ciò che ci fa soffrire perché ci lascia dentro la nostalgia della sua scomparsa e ci avvelena il presente con la rabbiosa rimembranza della nostra vita migliore?».
Un libro curato nei toni, mai troppo drammatici e che anzi prendono prestiti dalla commedia, e nello stile, che mescola l’italiano a un dialetto del Sud funzionale alla caratterizzazione del personaggio e non solo “nota di colore”.
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