Lavoro, vantarsi di essere sempre impegnati è ancora di moda?

Vantarsi di essere (super) impegnati è un atteggiamento che chi lavora ha agito o subito ben più di una volta nella propria carriera. Gli inglesi lo chiamano “busy bragging” e si verifica quando si ha l’idea che l’essere costantemente occupati renda migliori. Il tempo dedicato al lavoro diventa più importante di quello dedicato a sé e al proprio benessere, tanto da fagocitare quest’ultimo.
Un atteggiamento diffuso, che per anni ha fatto sentire le persone “importanti” proprio in virtù di una vita professionale piena e di ritmi di lavoro serrati. Oggi, le cose sembrano cambiare.

Le persone continuano a lamentarsi dell’elevato livello di stress che percepiscono, ma l’impressione è che si sia persa quella componente di orgoglio nel farlo. Al suo posto, è subentrata una sensazione più che altro di esaurimento. Ad emergere è la stanchezza e spesso la rassegnazione. Tanto che è frequente ascoltare conversazioni in cui le persone trovano una momentanea sensazione di sollievo nello scoprirsi “tutti sulla stessa barca”.

L’orgoglio nei confronti di stress e impegni sembra quindi non essere più di moda. Secondo una recente ricerca del Terry College of Business dell’Università della Georgia chi lo manifesta è visto addirittura come meno competente e simpatico.
Il clima di rassegnazione alla stanchezza che si è diffuso al suo posto sta tuttavia producendo un nuovo fenomeno di pressione sociale. Se non si è stanchi e tutti intorno a sé accusano di esserlo – trovando in questo destino comune una ragione di sostegno e appartenenza – si finisce con il sentirsi outsider. E di conseguenza, ci si sente spinti ad adeguarsi al sentiment generale, verso il quale si percepisce la pressione sociale sopra menzionata. Così facendo, ci si livella verso il basso, percependosi magari più stanchi di quanto effettivamente si è.

Con questo, l’intenzione non è negare le evidenze. La fatica e l’esaurimento sono diffusi. Nella maggioranza dei casi anche più di quanto il nostro benessere psicofisico riesce a tollerare.
Secondo i dati 2023 dell’Osservatorio BVA Doxa-Mindwork sul benessere psicologico nelle aziende italiane, ad esempio, una persona su due sperimenta livelli di stress elevati. Mentre una revisione della letteratura degli ultimi anni riporta che a livello globale il 20% circa delle persone adulte avverte un affaticamento generale.

È come se le conseguenze di anni di busy bragging si facessero sentire. Abbiamo sì capito che essere iper impegnati non equivale a sentirsi – o essere – importanti, ma non abbiamo ancora fatto il passo successivo. Non siamo riusciti a liberarci dall’over working. Complice anche un mercato del lavoro che sembra accelerare costantemente e inesorabilmente.
Le nostre agende rimangono terribilmente piene e se possibile si riempiono ancora di più. Non abbiamo ancora compreso l’importanza di riappropriarci del tempo libero, che in qualche misura abbiamo spesso di “saper usare”. Non riusciamo a sintonizzarci su ritmi più lenti e fatichiamo a godere dei momenti vuoti. Tanto che, anche quando presenti, li saturiamo con attività e appuntamenti.
Forse non ci si vanta più così frequentemente dei propri impegni, ma li si continua comunque a subire. Senza riuscire a disinnescare il circolo vizioso che ci illude che il tempo vuoto sia tempo perso. Quando invece è tempo nostro.

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  • Cartisano Pier Paolo |

    L’analisi non tocca un aspetto importantissimo della stortura dell’ ower working: le conseguenze sul piano familiare e della vita privata. Una devastazione. Ma spesso e volentieri le persone in questa condizione sono single, non potendo reggere la super occupazione in presenza di famiglia e vita di coppia. Per la donna, l’occupazione full è una bandiera dell’ideologia femminista che l’ha spinta e l’ha pretesa ower working o busy bragging in modo da allontanarla sempre di più dal ruolo di madre e dal ruolo di moglie. E i risultati li vediamo ogni giorno: natalità bassissima e vita di coppia difficilissima.

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