Lgbtq+, l’Europa è la meta di chi fugge dalle discriminazioni

La violenza, gli attacchi e la criminalizzazione nei confronti della comunità Lgbtq+ innesca da tempo fenomeni migratori verso Paesi più inclusivi, dove sono in atto politiche antidiscriminatorie dal punto di vista sociale, legislativo e sanitario. Non mancano, però, le reazioni a questo fenomeno. Nel Regno Unito assistiamo ad una preoccupante regressione con la stretta sull’Illegal Migration Act, che prevede anche misure per rinviare i richiedenti asilo in Ruanda, un Paese non sicuro per le persone Lgbtq+. In seguito a un’ondata di nuove leggi anti-Lgbtq+ in Russia, invece, le persone e gli attivisti stanno fuggendo, incontrando difficoltà nell’ottenere i visti, come denunciato da ILGA-Europe (International Lesbian and Gay Association) nel report 2024 sulla situazione dei diritti umani di lesbiche, gay, bisessuali, trans e intersessuali in Europa e Asia Centrale.

Emigrare diventa l’unica prospettiva di sopravvivenza di fronte all’impossibilità di affermare ed esprimere il proprio genere, ma cosa succede se non si riesce ad ottenere un visto? Nel caso della Svezia, per esempio, il 96% delle richieste respinte ha previsto il rinvio dei migranti nei Paesi d’origine, andando incontro all’arresto o alla pena di morte. Sempre nel report, viene evidenziato invece il progresso in Repubblica Ceca, dove la nuova legge per le richieste d’asilo include “motivazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere”. E ancora, in Germania, sono in atto finanziamenti dedicati alle persone queer.

Il riconoscimento dei diritti Lgbtq+ in Europa

Una cultura capace di riconoscere i diritti della comunità Lgbtq+ non è sufficiente, servono leggi e sistemi di processi integrativi, come dimostra una gran parte dell’Europa occidentale. Nel 2022, la segretaria di Stato per l’uguaglianza di genere, le pari opportunità e la diversità, Sarah Schlitz, annunciava in Belgio il divieto delle pratiche di conversione, ovvero violente pratiche mentali e fisiche mirate a “ripristinare” l’orientamento sessuale di un individuo. Lo scorso anno è successo in Islanda, dove tutti i partiti in parlamento hanno votato l’abolizione delle pratiche con 53 voti favorevoli e 2 astenuti. 

«In un momento in cui alcune regioni italiane revocano i diritti di genitorialità alle coppie omosessuali, in cui si cerca di riscrivere le linee guida per limitare l’accesso all’assistenza sanitaria specifica per le persone trans in Slovacchia, Croazia, Francia e Regno Unito, e in cui assistiamo alla mossa della Russia di criminalizzare il movimento internazionale Lgbtq+ come organizzazione estremista, i risultati di quest’anno rendono più chiaro che mai che solo le tutele legali possono garantire i diritti fondamentali» dichiara il direttore esecutivo Chaber di ILGA-Europe, a fronte della pubblicazione dell’annuale Rainbow Map, rilasciata il 15 maggio. 

La mappa mostra una classifica di 49 Paesi tenendo conto delle rispettive pratiche legislative e politiche in una scala da 0 a 100% (violazioni più o meno gravi dei diritti umani che includono l’emergenza migratoria). Per il nono anno consecutivo, Malta occupa il primo posto (88%). Segue l’Islanda che introduce l’assistenza sanitaria trans-specifica basata sulla depatologizzazione (le persone trans non vengono quindi più considerate affette da un disturbo mentale). L’Italia mantiene la sua percentuale di 24,76% con uno 0% per quanto riguarda la tutela delle persone intersessuali e la tutela dai crimini d’odio, tema invece associato al progresso in Germania nel 2024.

La Polonia si trova ancora in fondo alla classifica dell’UE con il 18% seguita da Romania (19%) e Bulgaria (23%).

Emergenza esodo dall’Ucraina

ILGA-Europe classifica l’Ucraina al 40° posto, con un ranking del 18,76%. In merito alla fuga della comunità Lgbtq+, l’organizzazione ucraina Insight denuncia la difficoltà di chi è considerato vulnerabile, e in particolare le persone trans, nel fuggire e anche nel restare in Ucraina a causa della guerra.

Chi ha deciso di trasferirsi all’estero infatti, deve fare i conti con l’attuale legislazione per cui è vietato lasciare il Paese durante la legge marziale imposta nel febbraio 2022 per gli uomini dai 18 ai 60 anni, con sole alcune eccezioni. Persone che dall’Ucraina emigrano in Polonia, ad esempio, si scontrano con il clima di omofobia ancora presente in loco, dove intervengono associazioni a supporto della protezione come Lambda Warsaw Association, attiva a Varsavia.

Cosa rappresenta l’Europa per la comunità Lgbtq+?

La maggior parte dei Paesi europei non include ancora l’orientamento sessuale, l’identità di genere o le caratteristiche sessuali come criteri di qualificazione per l’accoglienza. La versione aggiornata del “Manuale sulle procedure e i criteri per la determinazione dello status di rifugiato” elaborata in occasione della Convenzione sui Rifugiati del 1951, ha incluso solo nel 1992 la persecuzione basata sull’orientamento sessuale (Rainbow Welcome). 

Nel 2008, l’UNCHR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) ha pubblicato una Nota di Orientamento sui casi delle richieste d’asilo basati sulla SOGI (Sexual orientation and gender identity), sostituita poi dalle più specifiche Nove Linee Guida del 2012. La disciplina della tutela giuridica rimane ad oggi a discrezione dei singoli Stati. Alcuni Paesi all’interno dei confini europei propongono prospettive di vita (sociali, lavorative, famigliari) migliori a chi è oggetto di discriminazione intersezionale, al contrario di realtà che rifiutano costantemente l’introduzione dei gender studies.

Una parte dell’Europa, in particolare quella occidentale, permette il matrimonio tra persone omosessuali (34 Paesi ad oggi, dopo l’esempio della Danimarca nel 1989) e riconosce l’adozione congiunta di due persone dello stesso sesso (14 Paesi). Crimini d’odio e discorsi d’odio legati all’orientamento sessuale, l’identità di genere e il sesso biologico sono condannati in Belgio, Danimarca, Islanda, Malta e alcune regioni della Spagna e del Regno Unito.

Paesi che criminalizzano la comunità Lgbtq+: dall’arresto alla condanna a morte

Nel 2023 decine di persone in Burundi, Egitto, Libia, Tunisia e Nigeria sono state arrestate ai sensi di disposizioni che criminalizzano le relazioni tra persone dello stesso stesso, come denunciato nell’ultimo rapporto 2023-2024 di Amnesty International sulla situazione dei diritti umani nel mondo.

Il lavoro dell’associazione pone l’attenzione sulle richieste d’asilo in Europa delle persone provenienti da Uganda, Nigeria, Honduras, Romania e Brasile. Precedentemente, in uno dei primi documenti pubblicato da Amnesty International sulla condizione della comunità Lgbtq+ No Safe Place, veniva preso in esame il triangolo nord dell’America Centrale (El Salvador, Guatemala e Honduras) denunciando le storie di chi voleva fuggire poiché emarginato, aggredito fisicamente e discriminato. 

Nel 2024 l’omosessualità è reato in 65 paesi, di cui 7 che prevedono anche la pena di morte.  L’ultima analisi dell’associazione WorldPopulationReview LGBT Rights by Country / Best and Worst Countries for LGBTQI+ Rights 2024 cita i paesi che criminalizzano maggiormente la comunità Lgbtq+: Nigeria, Qatar, Yemen, Arabia Saudita, Tanzania, Iran, Sudan, Barbados, Malaysia e Malawi. Iraq ed Egitto condannano l’omosessualità de facto, ovvero al di fuori dell’ordinamento giuridico. 

Il caso dell’Albania verso l’adesione all’Unione europea

Cosa succede se la legislazione opera a favore della comunità Lgbtq+, ma le discriminazioni e gli attacchi persistono? In Albania, ad esempio, le politiche mirate al progresso in previsione dell’entrata nell’UE vengono denunciate da alcuni cittadini della comunità Lgbtq+ come un pretesto per l’adesione ufficiale.  Nel 2021, il ministero per la Salute e la Protezione Sociale ha presentato il Piano Nazionale per le Persone LGBTI 2021-2027: all’interno del documento, è nero su bianco l’impegno dell’Albania nella lotta per i diritti della comunità Lgbtq+, nella consapevolezza che “nella vita di tutti i giorni le persone Lgbtq+ si trovano ad affrontare situazioni discriminatorie, accompagnate da un linguaggio di odio e di violenza”. 

Anche in un Paese che propone un cambiamento, e che adotta legislazioni a favore della comunità Lgbtq+, aspetti culturali e stereotipi sociali continuano ad alimentare il fenomeno dell’omotransfobia, spostando l’attenzione verso un’ingiustificata intolleranza nei confronti di chi non rientra in un sistema eteronormativo o binario. Lasciare il proprio paese di origine diventa l’unico mezzo di sopravvivenza per alcuni, ed è proprio per questo che il fenomeno migratorio si fa portatore di un tema altrettanto urgente ovvero il riconoscimento dei diritti umani.

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