Profondo. Inarrestabile. Giovane. È questo il cambiamento che è in corso in Africa e, a guidarlo, sono soprattutto le nuove generazioni. Ciò nonostante, i media italiani continuano a perpetrare un racconto che si muove in direzione opposta concentrandosi unicamente su temi come guerra, povertà e immigrazione. Ma “una” storia non è mai “l’unica” storia possibile e reale.
A confermarlo è la quinta edizione del rapporto “L’Africa MEDIAta”, presentato lo scorso 23 maggio a Roma da Amref Health Africa-Italia: «dal 2019 abbiamo deciso di pubblicare e diffondere, il 25 maggio di ogni anno, giornata internazionale dell’Africa, il rapporto realizzato con l’Osservatorio di Pavia attraverso il quale monitoriamo la presenza di notizie africane nel mondo dell’informazione» si legge nell’introduzione dello studio, che continua riferendosi agli obiettivi: «contrapponiamo a una narrazione quasi esclusivamente concentrata su specifici temi il volto di un’Africa diversa, dinamica, protesa in avanti. Un’Africa impegnata a cambiare dal di dentro, e il più delle volte dal basso, grazie soprattutto alle nuove generazioni».
Attivismo giovanile al centro
Sin dalla prima edizione del dossier, i protagonisti sono stati proprio i giovani: dall’analisi delle fiction seriali e dei prodotti televisivi destinati ai minori, a quella sullo sport, fino all’indagine – lo scorso anno – nel vasto campo dell’innovazione.
La quinta edizione compie un ulteriore passo in avanti e mette al centro dello sguardo l’attivismo africano, una leva cruciale per lo sviluppo del continente che porta con sé un ribaltamento di prospettiva e narrazione: l’Africa non viene più vista come destinataria passiva di aiuti che arrivano all’esterno, ma diventa soggetto protagonista e autonomo nella ricerca indipendente di risposte a problemi locali specifici e a preoccupazioni condivise a livello globale come la crisi ambientale e climatica.
Ne emerge un profondo impegno civile, declinato attraverso la capacità di fare rete e di nutrire la vita associativa per favorire il cambiamento. Inoltre, l’attenzione privilegiata alla componente femminile, mette in evidenza il ruolo fondamentale delle donne nelle battaglie per i diritti e nel fermento culturale che attraversa le società africane.
Un aspetto che non emerge nei media italiani e che invece il rapporto sottolinea a pochi giorni dall’inizio del vertice della presidenza italiana del G7 (13-15 giugno): «Esiste un’altra Africa oltre la cronaca, gli sbarchi e le emergenze. Un’Africa di giovani che vede in cima alle sfide più importanti la disoccupazione, l’economia e la salute, ma che ha più strumenti rispetto alle generazioni precedenti – afferma Guglielmo Micucci, direttore generale di Amref Health Africa in Italia – Chiediamo al prossimo G7, ai responsabili del Piano Mattei, di ascoltare l’Africa. Un continente impegnato a cambiare, il più delle volte dal basso, grazie alle nuove generazioni, che rappresentano la maggioranza della popolazione del continente».
Per far sì che ciò accada, è necessario avere memoria: «In generale non sembra che l’Europa abbia mai fatto i conti con la storia colonialista e questa condizione si applica anche all’Italia dove c’è una percezione di estraneità rispetto alla brutalità e la violenza che ha caratterizzato l’esperienza coloniale europea» spiega ad Alley Oop Roberta Rughetti, vicedirettrice di Amref Health Africa in Italia, che aggiunge: «In realtà pochi sanno che le spedizioni coloniali italiane sono andate avanti per oltre 80 anni. Non sono argomenti che si studiano a scuola, che si documentano e questo vuoto contribuisce paradossalmente a creare un’idea di un fatto mai accaduto, che sposta su altri paesi europei la responsabilità e l’atrocità del colonialismo».
Un’attivista africana ogni 4.200 intervistati
Ascoltare l’Africa: la strada è ancora in salita. La copertura mediatica riguardante il continente africano è quasi totalmente focalizzata su immigrazione e politica. Uno spazio esiguo, quasi nullo, è riservato alle voci di attiviste e attivisti africane. È quanto emerge dal dossier 2024 che articola l’analisi in due parti: la prima dedicata all’informazione complessiva su Africa, persone africane e afrodiscendenti nei media tradizionali; la seconda rivolta alla rappresentazione mediatica e alla presenza nei social network dell’attivismo giovanile africano.
Del totale degli intervistati nei telegiornali di prima serata (50.573), compare un attivista africano ogni 919 persone. Si tratta dello 0,1% di presenza complessiva, «un numero evidentemente ai confini dell’invisibilità» specifica il rapporto. La proporzione femminile corrisponde al 21,8% degli attivisti africani intervistati: proiettando il numero di attiviste africane sul totale dei soggetti interpellati nei tg del prime time, chiarisce l’analisi, «in media compare una attivista africana ogni 4200 intervistati». A essere penalizzate, oltre le voci di attiviste e attivisti, lo stesso racconto che arriva al pubblico: appiattita la narrazione, diventa altrettanto monodimensionale la percezione che dell’Africa si ha. Eppure, come emerge dallo studio attraverso l’approfondimento di casi specifici, ogni qualvolta che è stata data agli africani la possibilità di raccontare e di raccontarsi all’interno di alcuni programmi di dibattito o di divulgazione, le loro voci hanno tolto il velo sulle molteplici e variegate sfumature che compongono anche le realtà più critiche e drammatiche.
Più notizie sull’Africa, meno attenzione
Sulle pagine dei quotidiani, rispetto alla tv, la situazione migliora a livello numerico ma non qualitativo: il 2023 registra il maggior numero di notizie sull’Africa degli ultimi 5 anni con la presenza nei 6 principali quotidiani di 16 notizie in media al mese. Tuttavia, l’aumento di notizie non si traduce in una maggiore attenzione ai contesti africani: due notizie su tre sono ambientate in Italia o in Occidente e riguardano cronaca e migrazioni (80,2%, dato in aumento). Le migrazioni sono il tema principale anche delle notizie ambientante in Africa (42% dei titoli), una novità rispetto agli scorsi anni in cui erano predominanti news su guerra e terrorismo.
Una tendenza analoga si registra per i tg. Sono state rilevate 3.457 notizie sull’Africa (numero più alto dopo il 2019) ma, anche in questo caso, si conferma una prevalenza della copertura su migrazioni e fatti di cronaca nel contesto occidentale, oltre che sull’attività istituzionale della presidente del consiglio Giorgia Meloni e iniziative come il piano Mattei. L’attenzione verso notizie direttamente legate a persone, temi e fatti del continente africano rimane decisamente bassa con una media dell’1,9% rispetto alle notizie sull’Africa e una prevalenza di informazioni su guerra, terrorismo e cronaca.
L’attivismo femminile africano sui social
I social, invece, riescono a far emergere la narrazione dal “basso”? Per rispondere il report ha preso in esame trentasei attiviste africane, dodici per tre ambiti di interesse: ambiente, salute, arte e cultura. Soltanto sette di loro raggiungono su Facebook una visibilità che supera i 50 post.
I loro nomi circolano soprattutto all’interno dei gruppi tematici che condividono le stesse battaglie. Ad esempio, l’ambito ambientalista per Vanessa Nakate, le istituzioni e i soggetti della sfera artistica per Lesley Lokko, Laetitia Ky e Zanele Muholi, i gruppi di lettura e scrittura per Chimamanda Ngozi Adechie o nel caso delle musiciste Fatoumata Diawara e Angélique Kidjo, i post di promozione dei concerti.
Queste personalità riescono occasionalmente a catturare l’attenzione delle grandi testate nazionali, quando per esempio sono protagoniste di grandi eventi in Italia o partecipano a iniziative internazionali che hanno considerevole eco mediatica o, ancor di più, quando il loro percorso si intreccia a polemiche socio-politiche italiane, come nel caso di Lesley Lokko che aveva denunciato pubblicamente che tre dei suoi collaboratori ghanesi non avevano ottenuto il visto dall’ambasciata italiana in Ghana per partecipare alla Biennale di Venezia.
Più diritti, più partecipazione
Il 70% degli 1,8 miliardi di giovani di tutto il mondo vive nei territori dell’Africa subsahariana. Una proporzione che, come indica lo studio, nei prossimi decenni crescerà: le proiezioni al 2050 prevedono che la popolazione del continente africano sarà la più grande e la più giovane del mondo e si presume che il numero di giovani in Africa sarà dieci volte più grande rispetto a quello dell’Unione Europea. In un futuro così vigorosamente spinto delle nuove generazioni, c’è un gruppo in particolare che sta lottando con maggiore tenacia e determinazione: le ragazze. «Le barriere contro le quali si stanno ancora scontrando sono di tipo sociale, economico e politico, e sono radicate nel tempo, nella tradizione, nelle famiglie» specifica il rapporto: le giovani donne africane devono fronteggiare abusi domestici, molestie sessuali e pratiche altamente lesive come le mutilazioni genitali femminili.
Per molte l’emancipazione e l’indipendenza economica sono ancora chimere, obiettivi lontani e difficili da raggiungere a causa delle disparità salariali, dell’accesso limitato al credito e delle varie forme di discriminazione che subiscono sul posto di lavoro. Le diseguaglianze di genere si riscontrano anche in politica: il diritto al voto, attivo e passivo, risente fortemente dell’impostazione patriarcale e l’opportunità di partecipare alla vita politica rimane spesso solo sulla carta.
A invertire la rotta, l’attivismo delle giovani e i programmi sviluppati da Amref: Heroes, ad esempio, è il programma inaugurato nel 2020 in Uganda per migliorare la salute e l’autodeterminazione sessuale e riproduttiva, contrastando la violenza di genere e sessuale in tutte le variegate forme in cui si manifesta.
In Senegal la lotta contro le mutilazioni genitali femminili ha raggiunto un punto di svolta cruciale grazie a The Girl Generation, iniziativa implementata da un consorzio di organizzazioni tra cui Amref Health Africa. Ne è testimonianza diretta Coumba Aw, 20 anni, attivista per i diritti delle donne e delle ragazze: quando cresceva a Kolda, nel sud del Senegal, i parenti volevano che si sottoponesse alla mutilazione genitale. È riuscita a evitarlo, a differenze delle sue sorelle e amiche: «Questo mi ha motivata – racconta l’attivista – per questo ora aiuto le donne e le ragazze della mia comunità, per garantire loro i diritti».
Lo stesso impegno, sul tema della malnutrizione, lo porta avanti in Sudan Nyadhier Ruop, parte del gruppo di sostegno “Mother-to-Mother”: «È arrivata l’alluvione che ha distrutto i raccolti e ucciso il nostro bestiame. Non avevamo nulla da mangiare per i nostri figli e non avevamo cibo da cucinare – spiega Ruop – Attraverso la creazione di gruppo di sostegno tra madri e la creazione di orti domestici, le madri del villaggio di Mapara hanno potuto ricevere e condividere il sostengo reciproco e la risoluzione di problemi relativi alla malnutrizione e alla salute di donne e bambini». Donne che aiutano altre donne, ribaltandone la posizione: mai passiva e sempre protagonista rispetto alla vita. Battaglie incluse.
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