Il malessere, il racconto della GenZ napoletana tra stereotipi sessisti e violenti

Oltre 79 milioni di post con l’hashtag #malessere su TikTok, un fenomeno nato con una canzone neomelodica napoletana a fine 2023 che ha aperto una serie di interrogativi sui modelli di relazione prevalenti nella Generazione Z napoletana, sul loro significato e sugli effetti che fenomeni come questo possono avere nel confermare stereotipi sessisti e violenti nelle relazioni.  “Il fenomeno ‘malessere’ è ovunque: è il malessere in senso psicofisico, che contraddistingue la nostra società, ed è ‘il malessere’ inteso come ideal-tipo di ragazzo che si fa notare per il suo look, ascoltatore seriale di musica trap, retrogrado, maschilista e omofobo. E che però, proprio per questo, piace alle ragazze“. Roberto Graziano, dottorando in Sociologia all’Università Federico II di Napoli, ha descritto così sinteticamente il fenomeno, in apertura dell’incontro Il MalEssere: Università e Industria culturale in dialogo, che si è svolto l’8 maggio, a La Buvette di EVA nel foyer del Teatro Mercadante di Napoli.

Il ruolo delle ragazze

Così ì “malesseri” dalla canzone neomelodica sono quelli che erano i bad boys, cattivi ragazzi muscolosi e tatuati, gelosi e possessivi, che fanno del controllo il centro della relazione con le “loro” donne, prototipi di quella mascolinità tossica di cui tanto si discute. Ma non c’è solo questo: “Di rimando – prosegue Graziano – c’è anche ‘la malessere’, ovvero la ragazza che assume gli stessi atteggiamenti e comportamenti controllanti, maltrattanti e violenti pur dentro una divisione di ruoli tradizionalista. E ora ‘il malessere’ esce dalla cornice social di TikTok per farsi vero e proprio brand, ispira la moda, l’abbigliamento, i consumi”. Ed è questo che deve far riflettere. Si tratta, online, di un fenomeno che racconta la realtà napoletana ma che, con accenni e coloriture di poco differenti, può essere esteso a tutta la penisola e che diventa, appunto, moda.

Una legittimazione dei maltrattamenti sulle donne?

Perché il fenomeno del malessere è stato così d’impatto per la Generazione Z e quali potrebbero essere le conseguenze? Cosa succede se codici e norme in genere rifiutati dalla componente progressistà della società, nella vita sociale diventano brand? A queste domande si è cercato di rispondere nel corso dell’incontro. “Il fatto che, proprio per queste sue caratteristiche, ‘il malessere’ sia diventato l’oggetto del desiderio delle ragazze ci interroga rispetto al possibile impatto sulla legittimazione del maltrattamento delle donne. E chiede ai centri antiviolenza, che da sempre lavorano sulla decostruzione di stereotipi e pregiudizi sessisti, di mettersi in ascolto di chi fa ricerca sociale e degli artisti e delle artiste che nel loro lavoro si interrogano su certi modelli culturali”, ha affermato Daniela Santarpia, presidente della cooperativa sociale Eva, che ha co-organizzato l’incontro insieme al Centro studi digitali Il malessere dell’Università Federico II e alla Fondazione Una Nessuna Centomila.

Da sinistra a destra: Carmen Festa, psicologa di Eva; Daniela D’Addio e Daniela Santarpia, vicepresidente e presidente di Eva; Romana Maggiora Vergano, attrice di “C’è ancora domani”; Lella Palladino, vice presidente della Fondazione Una Nessuna Centomila; Manuela Della Corte, coordinatrice de La Buvette di Eva e Giovanna Sannino, attrice, interprete di MareFuori

Carmen Festa, Daniela D’Addio, Daniela Santarpia, Romana Maggiora Vergano, Lella Palladino, Manuela Della Corte, Giovanna Sannino.

Le voci contro la violenza e i passi indietro

“È vero che c’è una cultura che cambia, non avremmo mai immaginato tutta la coralità del contrasto alla violenza di sabato e domenica 5 maggio a Verona, con il concerto Una Nessuna Centomila in Arena, una grande emozione”, ha sottolineato Lella Palladino, vice presidente della Fondazione Una Nessuna Centomila, “ma sappiamo che c’è anche un grande ritorno indietro, uno sdoganamento di modelli culturali che pensavamo ormai archiviati, e ‘il malessere’ ce lo conferma. Per questo è nato il Laboratorio artistico della Fondazione, che vede qui oggi Giovanna Sannino, Gaetano Migliaccio, Lucariello, Romana Maggiora Vergano: perché è dalla cultura che bisogna ripartire, se si vuole davvero prevenire la violenza”.

Alla Federico II un centro studi dedicato

“Abbiamo intitolato il centro studi digitali Il malessere perché questo è senz’altro il fenomeno più rilevante della cultura napoletana sui social, ma non è l’unico che stiamo studiando, e saremo presto presenti su TikTok con un nostro canale”, ha annunciato Adam Arvidsson, professore ordinario di Sociologia all’Università Federico II di Napoli. Nel tracciare le caratteristiche del ‘malessere’, Arvidsson ha sottolineato come “proprio per come funziona TikTok, questo fenomeno ha a che fare con una vera auto-rappresentazione popolare delle relazioni e dell’identità di genere, che da un lato riflette una condizione genuina, in cui prevalgono ruoli di genere fortemente contrassegnati dalla cultura patriarcale, con il confinamento delle donne nello spazio domestico, in situazioni spesso di maltrattamento. Dall’altro si colloca in una dinamica di antagonismo Nord-Sud e di classe, che rifiuta la cultura borghese come modello a cui ispirarsi, riaffermando con forza la propria identità e il radicamento nel territorio e nel contesto sociale di provenienza”.

I modelli di Mare fuori e C’è ancora domani

Nel confronto tra Giovanna Sannino, che in MareFuori interpreta il ruolo di Carmela, moglie dell’aspirante boss Eduardo Conte, e Romana Maggiora Vergano, che in C’è ancora domani interpreta Marcella, la figlia della protagonista che spinge la madre, Paola Cortellesi, a ribellarsi alle violenze del marito, “emergono due modelli culturali che hanno entrambi spazio su TikTok, dove accanto al ‘malessere’ assistiamo all’affermazione della quarta ondata del femminismo”, ha ricordato Brigida Orria, dottoranda del Centro studi digitali Il malessere. “Se una ragazza mi dice ‘vorrei un amore come Eduardo’, che in MareFuori è davvero ‘o malessere’ in tutto e per tutto, significa che è mancata una educazione al bello, al rispetto, che ti faccia sentire che il maltrattamento non è una dimostrazione di amore”, ha detto Giovanna Sannino. “Parlare di questi temi nelle scuole, come sto facendo con la Fondazione, si è rivelato importantissimo, perché si possono innescare riflessioni che altrimenti non si avrebbe mai occasione di fare”.  “Quanto il film C’è ancora domani abbia avuto un impatto in tal senso l’ho capito il 25 novembre al Circo Massimo… D’altro canto, anche io da ragazzina ho avuto il mio ‘malessere’, da cui poi sono riuscita a liberarmi”, ha ricordato Romana Maggiora Vergano, “ma all’epoca quando per le prime volte andavamo in discoteca, quel controllo costante mi faceva sentire sicura, una principessa. Ed è su questo che bisogna lavorare, sul bisogno di sicurezza, di emozioni forti, di avere dei riferimenti chiari, netti, tipico dell’adolescenza”.

Roberto Graziano,, Tano Migliaccio e Lucariello

Roberto Graziano,, Tano Migliaccio e Lucariello

L’importanza del contesto

Per Carmen Festa, psicologa e responsabile dei programmi della cooperativa Eva con i/le minorenni, “dobbiamo sempre ricordarci che a 15 anni, quando si affacciano all’amore, le ragazze non hanno quella consapevolezza di sé che permette di riconoscere una situazione maltrattante, anche perché in moltissimi casi queste sono le modalità di relazione con cui sono cresciute. Perciò lavoriamo sul contesto, con le famiglie, i genitori, la scuola, non solo con le ragazze che incontriamo quando hanno subito violenza, sia in rete che fuori”. Lucariello, artista che da oltre 10 anni forma al rap i ragazzi dell’Istituto penale minorile di Airola, in provincia di Benevento, ha evidenziato come “TikTok ha smosso una serie di compartimenti stagni, che sono le nostre relazioni sociali, facendo arrivare direttamente al nostro inconscio qualcosa, come ‘o malessere’ per esempio, che molti di noi avrebbero preferito tenere fuori”. Ciononostante “i social non vanno demonizzati, come non va demonizzata la musica trap, che va invece ascoltata perché racconta il vissuto di chi la fa e di chi la ascolta, un vissuto che ci interroga sulle reali opportunità e alternative per questi ragazzi”.

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