Dal Gruppo Trasgressione a InGalera come creare ponti con le carceri

Maltrattamenti in danno di minori, aggravati dalla minorata difesa e dall’abuso di potere; concorso nel reato di tortura, anche mediante omissione; concorso nel reato di lesioni in danno di minori, anche mediante omissione, aggravate dai motivi abietti e futili, dalla minorata difesa e dall’abuso di potere; concorso nel reato di falso ideologico e infine una tentata violenza sessuale a opera di un agente nei confronti di un detenuto. Questi alcuni dei reati contestati a 13 agenti della polizia penitenziaria dell’Istituto penale minorile Cesare Beccaria.

La cronaca dei giornali degli ultimi giorni ci riporta un quadro non dignitoso delle carceri italiane, che farebbe rivoltare nella tomba Voltaire, cui si attribuisce la famosa citazione : “Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”.

Il carcere quindi come lo specchio della salute morale di un Paese. Quanto agli atti, mette in evidenza che il ponte tra società e carcere è tuttavia lungi dall’essere pronto. Difficile che la società dei cittadini guardi ai detenuti con empatia, se gli stessi addetti ai lavori si macchiano di violenze nei loro confronti.

La necessità di un sistema che ripari lo strappo sociale

Ciò nonostante tanti lavorano proprio per costruire un ponte, perché le carceri non siano isole irraggiungibili. La giustizia riparativa ha proprio questo scopo ambizioso. Certo un percorso non semplice e lastricato di fatiche. Probabilmente la giustizia retributiva è meno esigente dal punto di vista del coinvolgimento emotivo.

La rieducazione che sta alla base della giustizia riparativa prevede invece un lavoro su di sé del reo. È necessario guardarsi dentro, guardarsi indietro e prendere in considerazione, forse per la prima volta, chi, suo malgrado, è coinvolto nello strappo sociale del crimine: tutte le vittime coinvolte. Dirette e indirette.

I ponti del Gruppo Trasgressione grazie a Dostoevskij

Il Gruppo Trasgressione continua a lavorare in questo senso. Durante gli incontri in carcere con i detenuti, partecipano anche familiari, vittime della criminalità organizzata, magistrati, psicologi e studenti universitari. A febbraio il pretesto di dialogo al carcere di Bollate è stato il romanzo di Dostoevskij’I fratelli Karamazov’, lo scorso anno invece era ‘Delitto e castigo’.

“In verità, in verità vi dico: se il grano di frumento cadendo in terra non morrà rimarrà esso solo; ma se morrà, apporterà gran frutto.” (Vangelo secondo Giovanni XII, 24).

Questa citazione dal Vangelo apre l’ultimo capolavoro di Dostoevskij ‘I fratelli Karamazov’ e anticipa il percorso spirituale che i fratelli dovranno vivere a seguito del parricidio, commesso dal più giovane e illegittimo. Un’evoluzione dell’anima, morirà la vecchia anima per lasciar spazio a un nuovo io più consapevole. Una sintesi perfetta per definire la giustizia riparativa, dove si dà modo a chi è stato ‘ingiusto’ di essere nel ‘giusto’.

Prestare ascolto all’umanità sorprendente

Sabato 4 maggio il Gruppo Trasgressione si è raccontato a Rho nell’hinterland milanese, in un incontro non a caso definito “l’umanità sorprendente”. Sorprendente è stata infatti la testimonianza di alcuni detenuti. Disposti, dopo un percorso riabilitativo a calarsi in una nuova funzione nel tessuto sociale. «Prima cercavo banche da rapinare, ora quando vado in giro, cerco statue da spazzolare. Perché quando restauro una statua, sto spazzolando la mia anima» racconta un ex detenuto, ringraziando chi gli ha dato la possibilità di sistemare la fontana di Villa Burba a Rho.

Il percorso di ricostruzione di se stessi non è semplice, è necessario mettersi in discussione e sfatare ciò in cui si è ciecamente creduto fino a quel momento, come conferma Angelo Aparo, psicoterapeuta e fondatore del Gruppo Trasgressione: «Quando non c’è una guida credibile, l’essere umano, a partire dall’adolescenza, si trova in difficoltà. Prova rancore, prima verso la guida e poi nei confronti delle persone che ne derivano. Prova la sensazione di avere un credito insanabile, sviluppa la sensazione che qualcuno lo ha abbandonato. Spesso vive con la convinzione, che il credito non sarà mai saldato».

Questo muro va abbattuto, riunione dopo riunione, finché il detenuto non si rende conto di essere in debito con la società e cerca di trovare una funzione che lo accolga nel tessuto sociale.

Il reato come lesione nella società di tutti

L’umanità è parimenti sorprendente, perché seduti nell’auditorium Maggiolini di Rho si ha la sensazione di non trovare dei mostri, perché come dice Giacomo, studente di giurisprudenza: «Chi commette un crimine non è un mostro, ma un uomo che commette mostruosità». Solo con questo sguardo non giudicante si possono vedere le persone dietro al crimine e la loro voglia di rivalsa. «Il carcere – aggiunge il pubblico ministero Francesco Cajani- è un male necessario. La giustizia riparativa, tuttavia, ambisce a vedere il reato come una lesione che riguarda la società, di cui tutti facciamo parte. Un conto è attraversare un luogo, altrimenti è farsi attraversare da quel luogo. Prendiamoci per mano e diamo un senso al sangue versato».

Il primo passo è perciò quello di aiutare la persona a ricostruirsi, a comprendere il perché del proprio passato, darsi delle risposte, mediare con le vittime, capire i punti di vista altrui e poi riscoprirsi in nuovi ruoli e nuove funzioni nella società. Imparare un lavoro è una strada.

InGalera ovvero un ponte vero con la società

Fiore all’occhiello tra le carceri italiane è sicuramente il penitenziario di Bollate. Nel 2015   ‘InGalera’ ha servito il suo primo piatto, il primo esperimento al mondo di ristorante gestito da detenuti. D’altronde il cibo è conviviale, quando si mangia, si sta insieme e si condivide. «La lasagna mette d’accordo tutti» come dice Davide, lo chef del ristorante, nel documentario girato da Michele Rho. Il documentario uscito il 12 gennaio di quest’anno, totalmente in bianco e nero, racconta la storia della nascita di questo esperimento. Senza troppi fronzoli. I dialoghi in cucina vengono ripresi in modo naturale: discussioni, risate, fatiche. Al cinema Gloria di Milano lunedì 6 maggio era presente alla ventiduesima proiezione anche il giovane regista: «Il cibo è una metafora. Significa preparare qualcosa per gli altri. È un modo per guardare fuori».

InGalera è uno spettacolare ponte con la società. Gli ospiti entrano nel carcere e i detenuti si affacciano fuori dalle sbarre. Nel ristorante può lavorare solo chi gode delle misure alternative (articolo 21), escono dal carcere per lavorare e tornano a dormire. Il percorso offerto a chi passa la selezione per entrare in ‘InGalera’ è una patente per imparare un lavoro che apra qualche porta una volta liberi. «La recidiva in Italia è, in media, del 70 per cento, ma il carcere di Bollate ha un tasso del 17 per cento. È quel 70 per cento a essere una vergogna della società» dice Silvia Polleri, imprenditrice alla base del progetto InGalera nel film.

La maggior parte dei detenuti infatti trova un lavoro, una volta scontata la pena. Anche non nella ristorazione. Lavorare consente non solo di potersi mantenere, ma di poter acquisire quella famosa funzione sociale che fa sentire importanti, che cancella quel marchio del criminale che ti ha segnato finora. Esemplare in questo senso la storia di Said, cameriere in galera, che una volta libero, si è inventato una società di pulizie. Il Gruppo Trasgressione e InGalera sono solo alcune delle storie che aiutano a coltivare la speranza, le opportunità, i ponti.

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.

Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com

  • Comitato scientifico "Lo Strappo. Quattro chiacchiere sul crimine" |

    Grazie a Claudia Radente e alla Redazione di Alley Oop per lo sguardo competente ed attento alle sfide che la giustizia riparativa pone a ciascuno di noi come parte del tessuto sociale in cui viviamo.

  • Gloria DI Rienzo |

    Le carceri vanno riorganizzare e ciò che emerge è solo la punta di un iceberg.Condivido puenamente l’ottimo articolo.L’intera società deve avvalersi di diritti e doveri che oggi sono ormai solo una chance.Si pensa a coltivate il proprio orticello senza sapere che il bene della collettività apporta maggiori frutti, sia per gli emarginati che per le altre persone più fortunate che quelle apicali

  Post Precedente
Post Successivo