In caso di divorzio, le donne possono vedere il loro reddito ridursi di quasi la metà. Nella stessa situazione, per gli uomini questa riduzione sarebbe del 21%. Oltre a eventuali perdite iniziali, dopo la divisione degli asset specifici (solitamente immobili e proprietà), la forbice si ampia nel tempo. Con conseguenze significative negli anni della pensione.
A fare i conti, un recente studio condotto nel Regno Unito dalla società inglese di asset management, Legal & General Investment Management (LGIM). Stando alle evidenze raccolte, nella gran parte dei casi la ragione di tale disparità starebbe nella maggiore propensione delle lavoratrici a rinunciare a parte della pensione (30% contro il 17% dei lavoratori). Rinunce, singole specificità a parte, quasi sempre riconducibili alla maternità.
Le donne possono venire penalizzate economicamente già entrando nel mondo del lavoro, accumulano più spesso “pause” lungo la parabola professionale (se non lasciano del tutto il lavoro) per accudire i figli o genitori anziani e, di conseguenza, mediamente versano contributi inferiori rispetto ai colleghi o compagni di vita. La situazione può diventare particolarmente cupa nel caso in cui, finito l’amore, la coppia si lascia. Questo in parte anche perché, secondo lo studio, solo il 12% dei quasi-ex-partner valutano il reddito pensionistico nella divisione dei beni familiari. Di contro, il 49% considera invece il valore della casa. Oltre Manica, poi, il 7% tra quelli che si stanno separando ha interpellato un consulente finanziario super partes per gestire le legittime divisioni.
Chiarisce Rita Butler-Jones, Head of DC (Distribution) di LGIM, che «i dati mostrano che esiste un divario reale tra il modo in cui valutiamo i beni materiali, come una casa, e quelli finanziari, come una pensione. L’intangibilità di una pensione, ritengo spesso comporti il fatto di non venire presa in considerazione in tali procedure. (Questo) spesso lascia le donne in condizioni peggiori».
Riconoscere il divario
Certo, la partecipazione femminile al mercato del lavoro negli ultimi anni – per quanto con vicende alterne e differenze per aree o competenze – è progredita. Sempre più lavoratrici, poi, chiedono migliori diritti e il pieno rispetto di quelli esistenti, forti, da una parte, di una generale migliore istruzione e, dall’altra, di un’attenzione pubblica sempre più alta e del ricco discorso specifico, tra gli altri, in materia di indipendenza economica. Nonostante tutto, però, resta il fatto che di soldi non tutte sanno sempre parlare con cognizione di causa e prospettiva. Se infatti è chiaro il persistere del divario retributivo di genere, anche grazie alle tante iniziative in atto per contrastarlo, non è ancora completamente a fuoco l’impatto che questo ha sul lungo periodo. Da molte la situazione viene vista come una questione lontana.
«Anche se le donne sono ben consapevoli di essere spesso pagate meno dei loro colleghi maschi, – continua Butler-Jones – non ritengono che ciò abbia un impatto sui loro risparmi nel lungo periodo. Ma considerando che nostri risparmi previdenziali hanno l’opportunità di aumentare nel tempo, qualsiasi discrepanza nella retribuzione iniziale può essere amplificata in modo significativo quando si arriva alla pensione. Detto ciò, il salario è solo uno dei fattori che determinano l’ammontare finale dell’assegno previdenziale. In molte società sono ancora le donne a farsi carico in modo preponderante dell’assistenza, dall’avere e dell’allevare i figli, e del prendersi cura di genitori in età avanzata», assentandosi più spesso dal lavoro. Sempre che non siano costrette a lasciarlo del tutto.
Guardando nello specifico ai casi di divorzio, l’Head of DC di LGIM ricorda qualche numero: «al momento della separazione, le donne avevano risparmiato in media 23.000 sterline nella loro pensione, rispetto alle 60.000 dei loro coniugi uomini, dimostrando una significativa disparità nei potenziali risultati pensionistici. Inoltre, le donne sono molto più propense a rinunciare al diritto alla rendita in caso di separazione (30% delle donne contro 17% degli uomini). Tutto ciò, ovviamente, ha un impatto negativo sulla pensione».
Che fare?
La strada è lunga, ma si dovrebbe affrontare lavorando prima di tutto per una maggiore consapevolezza riguardo al tema soldi. Anche ben prima e a prescindere dai casi di divorzio.
Ancora oggi le donne tendono mediamente a sentirsi meno preparate in materia finanziaria. E comunque partono al momento un passo indietro. Sono le prime (per quanto non le sole) allora a cui servirebbe indirizzare percorsi di educazione economica. Partendo già dalla gestione sul medio-lungo termine dei soldi di cui dispongono oggi. Segnala Butler-Jones: «Un recente rapporto di Boring Money ha rilevato che il divario di genere negli investimenti nel Regno Unito è aumentato: gli uomini hanno più del doppio della quantità di investimenti personali rispetto alle donne. La stessa ricerca ha rilevato anche che le donne hanno maggiori probabilità di essere avverse al rischio e di tenere i propri soldi liquidi piuttosto che investirli, il che può essere un problema in un ambiente più inflazionistico».
Una disparità di disponibilità che segue tutta la parabola della “vita lavorativa” delle donne – anche quelle che non stanno discutendo i dettagli di un divorzio. E che non basta affrontare però solo innalzando il livello di conoscenza e comprensione finanziaria. Sarà infatti cruciale interessarsi anche dell’impatto delle responsabilità di cura, sproporzionatamente sulle spalle delle lavoratrici nonostante i passi avanti sia culturali che politici per un maggiore coinvolgimento degli uomini. Guardare poi con un occhio attento ai risvolti sui risparmi e sulle pensioni. Per esempio serve una più ricca offerta di congedi per i papà (o secondi genitori), migliori programmi di sostegno alla gestione della cura – dagli asili nidi dai costi non proibitivi a una maggiore flessibilità lavorativa.
Oltre alla promozione di una cultura per cui uomini e donne siano parimenti coinvolti nelle necessità della coppia e allo stesso tempo progredire equamente sul lavoro, professionalmente ed economicamente.
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