Impresa etica, creare moda tra Italia e Tanzania

Un edificio dalle pareti gialle spicca nel cuore di Dar es Salaam, città da sette milioni di abitanti nota per essere il principale polo economico della Tanzania. È qui, nella zona di Magomeni, uno dei quartieri centrali della città, che da sette anni a questa parte prende forma un’impresa che ambisce a creare ponti tra Italia e Africa: Endelea. Un brand di tessuti che ha nella commistione tra popoli il suo primo segno particolare.

C’è tanta storia in ogni capo: dall’eredità pesante del colonialismo al desiderio di rivalsa di intere generazioni. Per questo, Francesca De Gottardo, la giovane founder di Endelea, definisce la sua impresa: “coraggiosa”. «Ci sono stati giorni bui, sia fisicamente, per le frequenti interruzioni non programmate dell’elettricità tipiche di un paese in via di sviluppo, che moralmente. Ai primi, ho risposto allenando la pazienza; per secondi, invece, sono ricorsa alla cioccolata» – racconta De Gottardo ricordando i primi passi.

Il passato pesante, tra colonialismo e rivalsa

Tutto ha inizio nel 2018, quando decide di lasciare un lavoro di prestigio a Milano, in una nota casa di moda, per dare una risposta al suo bisogno di “senso”. «Il mio lavoro era apparentemente perfetto, soprattutto per una donna come me alla soglia dei 30 anni, ma non generava quell’impatto che stavo cercando» – ricorda. Così, lancia il cuore oltre l’ostacolo.

Complici una serie di esperienze di volontariato tra Zambia e Tanzania, si innamora dell’autenticità africana e delle infinite possibilità di una terra in divenire. «In Tanzania non esisteva un’industria della moda: ho pensato che quella poteva essere l’opportunità che stavo cercando». Con i primi tre sarti, in un laboratorio piccolissimo (popolato, in compenso, da molte galline), produce la prima collezione. I tessuti wax ne sono protagonisti, portando con loro un’identità che parla di Africa, ma non solo.

“Wax” identifica il metodo utilizzato in Indonesia per produrre i tradizionali batik, poi portato nel West Africa dalla Compagnia olandese delle Indie orientali. Un mondo che oggi molti designer africani rifiutano e che molti altri, invece, valorizzano dando a ogni capo un significato speciale. «I tessuti wax vengono usati come buon auspicio o come dono: possono raffigurare, ad esempio, il volto del politico del luogo o le lettere dell’alfabeto, diamanti o conchiglie, soldi o fiori di loto» – spiega Francesca.

Una storia di comunità

Negli anni le sue collezioni si sono evolute, così come il suo team, oggi composto principalmente da donne. C’è Rose, ragazza tanzaniana laureata in business management, con il sogno di diventare designer, che ha mosso i suoi primi passi in Endelea e grazie alle mentorship attivate dall’azienda con docenti del Politecnico di Milano, oggi ha firmato una sua collezione (portata anche sulle passerelle della Swahili Fashion Week) ed è diventata responsabile della filiale in Tanzania.

E c’è Salha, giovane mamma che in Endelea ha trovato una doppia casa, per le sue ambizioni professionali e per i suoi figli che spesso la accompagnano al lavoro, trovando uno spazio di supporto anche a livello economico e sanitario. Come loro, molte altre donne e uomini che quotidianamente lavorano per avvicinare i due continenti, tra stoffe e culture.

Una delle capsule collection vede coinvolto, infatti, anche il popolo Masaai, tra i più conosciuti in Africa: «l’eleganza dei loro tessuti a quadri ha ispirato molti fashion designer occidentali, ma diverse collezioni sono state tacciate di cultural appropriation e accusate di sfruttare la cultura Maasai senza riconoscerle alcun corrispettivo, né di merito né economico. Noi abbiamo ottenuto il patrocinio della Maasai Intellectual Property Initiative (MIPI) che tutela e protegge la cultura Maasai nel mondo e oltre a pagare un goodwill iniziale, riconosciamo a MIPI il 2% delle revenues lorde ricavate dalla vendita della collezione» – spiega l’imprenditrice.

Costruire futuri etici e sostenibili

A tutto questo si unisce la formazione, con una partnership di cinque anni con l’Università di Dar es Salaam e varie mentorship attivate con Debora Sinibaldi, docente del Politecnico di Milano (sia in presenza che online). Del resto, una delle motivazioni che aveva spinto Francesca ad avviare l’attività, era proprio creare ciò che ancora non esisteva, rafforzando l’ecosistema della moda in Tanzania, a partire dallo sviluppo delle competenze, che sono la prima via per un empowerment reale, anche se spesso lo dimentichiamo.

«Quando mi sono licenziata, la domanda più gettonata in Italia era: “E ora, come farai con la pensione?”. Quando sono atterrata in Tanzania, invece, sono stata travolta dalla sensazione del “tutto si può fare”. Il futuro, in Africa, non è tra 20 o 30 anni, è domani, è oggi. E l’ottimismo è contagioso» – assicura Francesca. Non a caso, in swahili, Endelea significa: “vai avanti senza arrenderti”.

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