Fuggire o combattere. Sono le prime reazioni che l’essere umano tende ad attivare in risposta alla paura o alla perdita di sicurezza. Reazioni che nel mondo del lavoro si traducono in due comportamenti: quite quitting e dimissioni. Per questo, in un’epoca incerta come quella che stiamo vivendo, la sicurezza psicologica diventa centrale per ogni individuo e, di conseguenza, per ogni organizzazione. L’ultima conferma arriva dallo studio di Boston Consulting Group (Bcg) “Psychological Safety Levels the Playing Field for Employees”, basato su un sondaggio che ha coinvolto circa 28.000 dipendenti in 16 paesi, tra cui l’Italia.
Confrontando le risposte degli intervistati, è emerso che per i lavoratori italiani impiegati in ambienti psicologicamente sicuri, la tendenza alle dimissioni si riduce di 2.7 volte in un anno. Ovvero, star bene (anche psicologicamente) sul proprio luogo di lavoro è un incentivo a restare. Di contro, il 6,9% delle persone che vive livelli più bassi di sicurezza psicologica, ha dichiarato di voler lasciare il lavoro entro 12 mesi.
Cosa rende un ambiente “psicologicamente sicuro”?
Già nel 1999, la professoressa Amy Edmondson della Harvard Business School aveva provato a dare una definizione: «La sicurezza psicologica sul lavoro si genera quando una persona ha la certezza di non essere punita o umiliata per aver dato voce a idee, domande, preoccupazioni o errori».
Non solo, il suo studio ‘A Safe Harbor: Social Psychological Factors Effecting Boundary Spanning in Work Teams’ sosteneva che oltre a far sentire bene le persone, la sicurezza psicologica fosse capace di generare impatti positivi sul business. Un aspetto, questo, riconosciuto anche da Bcg: «I costi di turn over si abbassano e la produttività non solo si alza, ma migliora di qualità» – spiega Matteo Radice, Managing Director and Partner della società globale di consulenza.
La ricerca mostra infatti che, negli ambienti psicologicamente sicuri, i lavoratori italiani si sentono 3 volte più capaci di raggiungere il proprio pieno potenziale, ben 2.4 volte più motivati, 2.9 volte più felici del lavoro che fanno e 3.4 volte più valorizzati e rispettati.
Il legame tra sicurezza psicologica e diversity
Alcune categorie sono più sensibili di altre alla sicurezza psicologica: accade in particolare alle donne, alle persone di colore, ai dipendenti LGBTQ+, alle persone con disabilità o provenienti da contesti economicamente svantaggiati. In Italia, in particolare, in assenza di una forte sicurezza psicologica, il rischio di abbandono aumenta di 4.6 volte per le persone con disabilità e dell’8% tra le donne.
Favorire la sicurezza psicologica in un luogo di lavoro, dunque, è un aspetto fondamentale per sostenere l’inclusione delle diversità. Inoltre, è un fattore che favorisce la retention, ovvero fa sì che i lavoratori scelgano di restare in una determinata organizzazione, ma è anche una importante leva di attrazione per i nuovi talenti.
Il ruolo del leader
Secondo la ricerca di Bcg, esiste una relazione diretta e potente tra leadership empatica e sentimenti di sicurezza psicologica nel capitale umano. «La chiave del successo risiede in uno stile di leadership profondamente diverso da quello del passato, per cui dal leader ci si aspettava direzione e controllo» – chiarisce Radice.
Oggi, invece, ai leader si consiglia di essere autentici e aperti, di far sentire i membri del team supportati e compresi, di dedicare momenti specifici alla condivisione e all’apprendimento e di favorire l’interazione innanzitutto come esseri umani. «Quando i leader utilizzano empatia e competenza per costruire ambienti psicologicamente sicuri, le persone si sentono più motivate e abilitate a raggiungere il proprio pieno potenziale, migliorando il senso di inclusione» – conferma Giulia Airaghi, Principal di Bcg.
E attenzione, creare un ambiente “sicuro” con una leadership empatica non significa evitare il conflitto, creare silos di lavoratori simili tra loro per vissuti e sensibilità e non fornire feedback negativi (se necessari). Tutt’altro: è fondamentale far sì che ogni persona sia libera di discutere e condividere il proprio pensiero, ma anche di segnalare errori, imparando da essi. Come ricorda l’esperta, Amy Edmondson, del resto: «La sincerità è difficile, ma la non essere sinceri è anche peggio».
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