L’eco dello stupro di Catania, con vittima una tredicenne non si è ancora spento, ma di stupro in questi giorni si parla molto anche a livello giuridico e politico. I riflettori sono stati puntati sull’accordo, arrivato poi ieri in serata, del Consiglio europeo e del Parlamento Ue sulla direttiva contro la violenza sulle donne. Al centro del braccio di ferro politico la norma (articolo 5, poi stralciato) sul reato di stupro da considerare sesso senza consenso, come richiesto da larga parte della società civile e della politica. La soluzione che è stata trovata appare di compromesso: lo stupro è definito sesso senza consenso, come chiarisce l’articolo 36 della direttiva che obbliga gli Stati membri a sensibilizzare l’opinione pubblica proprio su questo aspetto, ma allo stesso tempo non rientra tra i reati europei, alla stregua dello sfruttamento sessuale di donne e bambini.
Valente: “C’è amarezza ma non molleremo”
La soluzione lascia insoddisfatti partiti politici e associazioni che da mesi conducevano una battaglia per un riconoscimento pieno e puntuale del reato di stupro, inteso come sesso senza consenso, a livello europeo, sul modello spagnolo del “solo sì es sì”” e non solo del “no significa no”. “L’accordo raggiunto da Consiglio e Parlamento europeo sulla direttiva contro la violenza sulle donne – commenta Valeria Valente, senatrice del Pd e componente della commissione bicamerale Femmicidio – rappresenta l’occasione persa di varare un testo davvero attuativo della Convenzione di Istanbul, che avrebbe fatto fare molti passi avanti a tutti gli Stati dell’Ue. Rinunciando al reato di stupro inteso come ogni rapporto sessuale ottenuto senza consenso si è rinunciato al cuore della direttiva. Anche in Italia abbiamo disegni di legge sul consenso e sulle molestie sessuali fermi al palo. È chiara la volontà di alcuni Stati di rallentare la rivoluzione culturale per il pieno rispetto dei diritti delle donne. Come è evidente che per il governo Meloni, che non si è speso, la battaglia contro la violenza maschile è più teorica che concreta. Amarezza, dunque, soprattutto per il grande lavoro fatto dalla Commissione e dal Pe, con la relatrice Picierno, ma anche la certezza che non sia finita qui, non molleremo, la strada della rivoluzione culturale è lunga ma inesorabile”.
Bongiorno: decisione Ue deludente, il consenso è fulcro del reato
Anche Giulia Bongiorno, avvocata, senatrice della Lega e presidente della Commissione giustizia, è insoddisfatta dell’accordo trovato in seno alla Ue. “Reputo deludente la decisione. In molte legislazioni europee il consenso è il fulcro del reato o comunque la giurisprudenza è chiaramente orientata in tal senso, quindi sarebbe stato davvero importante inserirlo nell’accordo. Finché non si avrà il coraggio di mettere al centro il consenso non si faranno passi avanti. Se si vuole combattere la violenza serve coraggio”.
In punto di diritto, spiega Teresa Bene, professoressa ordinaria di diritto processuale penale all’università Federico II di Napoli, “eliminando l’articolo 5, come avvenuto, si elimina lo stupro dai reati riconducibili alla stregua dello sfruttamento sessuale di donne e bambini. Su questo punto alcuni Paesi tra i quali anche Germania e Francia hanno sostenuto che c’è competenza dell’ Unione sul reato di sfruttamento sessuale ma non c’è su quello di stupro e che se si fosse normato in tal senso la legge non avrebbe passato il controllo della Corte di giustizia europea”.
In Italia manca l’elemento del consenso
In Italia la normativa sullo stupro riconosciuto come reato contro la persona e non solo contro la morale è arrivata solo nel 1996. Oggi la legge non prevede esplicitamente l’elemento del consenso, l’articolo 609 bis del codice di procedura penale, relativo allo stupro, recita infatti: “Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione (da sei a dodici anni)”.
All’epoca, sottolinea Bene, si trattava “di una legge di avanguardia. Tuttavia, l’inserimento dell’elemento del consenso potrebbe servire a far capire che se non c’è pieno consenso si è sempre in presenza di violenza sessuale. Risolverebbe molte questioni dubbie. La previsione del consenso all’interno della fattispecie potrebbe orientare in modo univoco anche la giurisprudenza finora piuttosto altalenante nell’interpretazione dei casi”.
Anche Convenzione Istanbul e Cedaw chiedono il consenso
Anche la Convenzione di Istanbul per eliminazione della violenza sulle donne, ratificata dall’Italia nel 2013, pone l’accento sulla dimostrazione del consenso e non su quella del dissenso. Per la Convenzione, infatti, lo stupro è un “rapporto sessuale senza consenso”. Sulla stessa linea è la Cedaw. Il Comitato delle Nazioni Unite, nell’occasione della condanna dell’Italia proprio per un caso di violenza sessuale, ha raccomandato non solo di introdurre programmi specifici di formazione sulla violenza contro le donne per tutti gli operatori della giustizia, ma ha anche intimato al nostro Paese di modificare il reato di violenza sessuale, garantendo la centralità del consenso della vittima “come elemento determinante” del delitto.
Differenza Donna, l’8 marzo manifestazione a Bruxelles
La società civile ha condotto in questi mesi una battaglia a livello nazionale e anche europeo sul reato di stupro e sulla centralità del consenso, battaglia che ha forti connotati culturali. Differenza Donna, ad esempio, ha condotto una lunga campagna organizzando anche una petizione che ha superato le 70mila firme, promossa su Change.org. Ora, la direttiva sulla violenza di genere sulla quale c’è stato l’accordo tra Consiglio Ue e Parlamento, commenta la presidente Elisa Ercoli, non ha “ascoltato la voce dei centri antiviolenza e di decine di migliaia di persone”. L’associazione annuncia quindi, per l’8 marzo, una mobilitazione europea a Bruxelles per i diritti delle donne. “Questa direttiva – prosegue Ercoli – fa arretrare i diritti delle donne e ostacola ancora di più l`accesso alla giustizia per le donne che hanno subito crimini orribili”.
Per Ercoli “nessun cambiamento avverrà se le donne saranno sotto accusa come il patriarcato vuole. Come se non bastasse, la direttiva non fa più riferimento alle molestie sessuali nei luoghi di lavoro e le donne sono lasciate completamente sole. Le donne sono persino chiamate a dover dimostrare danni gravi per poter avere giustizia se subiscono violenze in ambito digitale. La direttiva, infine, non fa alcun riferimento alla formazione di forze dell’ordine e magistratura. Una mancanza imperdonabile”. La presidente di Differenza Donna annuncia quindi: “Non aspetteremo ferme la ratifica del Parlamento europeo prevista per il 19 aprile: continueremo con ancora più determinazione la nostra lotta, chiamando tutti i centri antiviolenza d`Europa, tutte le associazioni femministe, tutte le personalità e le realtà che sostengono i diritti umani, a manifestare a Bruxelles il prossimo 8 marzo proprio dinnanzi al Parlamento Europeo”.
Per D.i.Re la direttiva delude anche su altri aspetti
D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, associazione che rappresenta oltre 100 centri anti violenza, infine, pone la questione non solo per quanto riguarda lo stupro, ma per altri aspetti della direttiva. “Noi restiamo ferme – spiega Elena Biaggioni, avvocata e vicepresidente dell’associazione – nelle posizioni sempre espresse: oltre alla questione sacrosanta sullo stupro basato sull’assenza di consenso, la direttiva ha deluso su altri aspetti, il blando riconoscimento dei servizi specializzati di donne sulla violenza e il livello di tutela per le donne migranti, per esempio. Ricordo che per l’Italia, già il Grevio e il Comitato Cedaw hanno chiesto di adeguare la norma sullo stupro ad un modello basato sul consenso e non sulla violenza o costrizione. Come le tante altre associazioni che si sono attivate in questi mesi, denunciamo compromessi al ribasso”.
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