Bambini piccoli e schermi, il difficile equilibrio tra regole e quotidianità

Smartphone, tablet, televisione di sottofondo, notifiche continue: gli ambienti in cui viviamo sono pieni di suoni e stimoli differenti. Gli studi si stanno concentrando sul comprendere quali sono gli effetti sull’attenzione o sulla capacità di concentrazione degli adulti e su come si stanno modificando le funzioni cognitive, ma molta ricerca si concentra anche sugli effetti a medio e lungo termine di questa inedita esposizione agli schermi per i bambini in età prescolare, perché si tratta di un’età chiave per lo sviluppo cognitivo e comportamentale dei bambini. Non si tratta, va detto, di demonizzare o esaltare strumenti che sono ormai parte integrante del nostro quotidiano, ma conoscerne le potenzialità e i possibili rischi, anche in base ai tempi e modi di utilizzo, soprattutto in una fase di vita delicata come i primissimi anni di vita.

Tra i molti studi, uno pubblicato di recente su JAMA Pediatrics sembra suggerire una correlazione tra esposizione agli schermi nel primo anno di vita e ritardi nello sviluppo. I ricercatori hanno esaminato i dati di un sondaggio su oltre 1.000 bambini di 1 anno e hanno scoperto che i bambini esposti agli schermi – che cioè erano abituati a “guardare la televisione, giocare ai videogiochi e usare telefoni cellulari, tablet e altri dispositivi elettronici” – per più di un’ora al giorno, mostravano maggiori ritardi nello sviluppo della comunicazione, delle capacità motorie e delle capacità di risoluzione dei problemi all’età di 2, 3 o 4 anni. Lo studio non ha fatto distinzioni tra il tempo passato davanti allo schermo per intrattenimento o per scopi educativi e non ha mostrato causa ed effetto, quanto piuttosto una relazione dose-risposta tra tempo passato davanti allo schermo e sviluppo.

“È cruciale comprendere come i dispositivi digitali possano proporre stimoli nettamente diversi rispetto a quelli tradizionalmente incontrati dai bambini. Questa realtà moderna comporta delle implicazioni sostanziali per la maturazione del cervello durante la crescita.“ Ha spiegato ad AlleyOop Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta specializzato in dipendenze tecnologiche e presidente dell’associazione nazionale Di.Te.-Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo. “Ad esempio, interagire con gli schermi spesso, non sollecita la stessa profondità di linguaggio o di interazione sociale che si riscontra nel gioco con coetanei o adulti. Questo potrebbe tradursi in un rallentamento dello sviluppo linguistico e delle competenze sociali. Inoltre, i dispositivi tendono a presentare informazioni in modo rapido e frammentario, incidendo sulla capacità dei bambini di concentrarsi e dedicarsi a compiti più estesi e complessi.”

Regole, permessi e monito degli specialisti
L’American Academy of Pediatrics e l’Organizzazione Mondiale della Sanità riferendosi alle attività fisiche e sedentarie e alle buone abitudini, hanno diffuso una serie di raccomandazioni per i caregivers sul tempo di fruizione dei dispositivi consentito in base all’età. Nessuna esposizione allo schermo, inclusa TV o giochi di vario genere, per i bambini sotto i 2 anni di età, mentre è tollerata un’ora di tempo al giorno per i bambini tra i 2 e i 5 anni, e viene sottolineata la necessità di fare un piano di utilizzo dei media per i bambini sopra i 5 anni. Suggerimenti arrivati all’interno di un quadro che metteva in evidenza, secondo un altro studio su oltre 89.000 bambini in tutto il mondo, che oltre il 75% dei bambini di età inferiore ai 2 anni e il 64% dei bambini tra i 2 e i 5 anni, superano le linee guida raccomandate, ricevendo un’esposizione agli schermi molto oltre le “buone pratiche” suggerite.

Al di là della “regola oraria” per l’accesso ai dispositivi, ciò che mette tutti d’accordo è la necessaria presenza di un adulto e la scelta di programmi di alta qualità. Il consiglio è di non lasciare i bambini soli davanti gli schermi, quanto piuttosto condividere momenti e contenuti fruiti, affinché possano generare discussione e non isolamento, vicinanza e non lontananza.

A quali conseguenze si può andare incontro?
Secondo il primo studio di JAMA Pediatrics citato, i bambini che guardavano la televisione a 12 mesi di età avevano il doppio delle probabilità entro 36 mesi di sperimentare un’ “elaborazione sensoriale atipica” – cioè difficoltà nell’elaborazione degli input sensoriali quotidiani – rispetto ad altri di quell’età. Dopo i 18 mesi di età, ogni ora in più di esposizione allo schermo al giorno è stata associata a un aumento del 20% circa della probabilità di differenze nell’elaborazione sensoriale. Per problemi di elaborazione sensoriale si intende qualsiasi cosa, da un bambino che si sente a disagio nei vestiti, alla gestione di luci intense o rumori forti in modo diverso rispetto ad altri, secondo il Child Mind Institute, un’organizzazione no-profit focalizzata sulla salute mentale dei bambini e sui disturbi dell’apprendimento.

Gli schermi “calmano”: notizia positiva o no?
È sempre più frequente notare in giro, a casa, nei ristoranti, quanto i bambini davanti gli schermi siano concentrati, spesso immobili e totalmente immersi nel mondo che stanno osservando o con cui stanno venendo a contatto. Questa autoregolamentazione potrebbe innescare un legame di dipendenza, portando a un loro crescente uso, sia per il “piacere” del bambino che di quello dei genitori, che possono contare su dei babysitter virtuali che consentano loro di occuparsi di altro.

Il tema dell’autoregolamentazione nei bambini, in relazione all’uso degli schermi, si arricchisce ulteriormente se si considera la gestione della frustrazione. È fondamentale comprendere che “sebbene gli schermi possano offrire una soluzione immediata per calmare i bambini, questo approccio potrebbe impedire loro di affrontare e superare momenti di frustrazione in modi più costruttivi. Imparare a tollerare e gestire la frustrazione è un’abilità cruciale nello sviluppo emotivo dei bambini. Tuttavia, se gli schermi diventano una sorta di “soluzione rapida”, i bambini potrebbero non sviluppare strategie adeguate per affrontare le sfide emotive., spiega lo psicologo Giuseppe Lavenia, che pone l’attenzione sulla delicatezza dei primissimi anni di vita del bambino, un periodo fondamentale per lo sviluppo cerebrale e l’apprendimento. Il bambino, attraverso l’interazione diretta con l’ambiente e le persone, piuttosto che attraverso dispositivi digitali, impara a conoscere tutte le sfumature, compresa la gestione della frustrazione: insostituibile processo che pone le basi per un sano sviluppo psicologico e emotivo.

Fare i conti con la realtà
È innegabile il difficile confine tra un uso sano e non dei device. L’accesso ai dispositivi digitali richiede un approccio equilibrato e ponderato, e se non è realistico negarne l’uso, è essenziale stabilire limiti plausibili e flessibili, adeguati all’età e alle necessità del bambino. “La questione dell’impatto della tecnologia sulla vita dei più piccoli è complessa e non si può ridurre a un semplice gioco di colpe.” – continua Lavenia. “La vera questione al cuore di questo dibattito è la qualità della nostra presenza nella vita dei nostri figli. Essere fisicamente presenti non basta se la nostra attenzione è altrove, magari persa tra le notifiche di uno smartphone. I bambini e gli adolescenti non hanno solo bisogno di noi nelle loro vicinanze; hanno bisogno che noi siamo veramente con loro, disponibili a ascoltare, interagire, e partecipare attivamente alla loro vita.”

Essere presenti attivamente, prima delle regole
Ripensare gli spazi e le attività da fare nei momenti condivisi della quotidianità trascorsa con i propri figli, implica una forte rifocalizzazione dei genitori nel vivere il presente.
“Per rendere possibile questa rifocalizzazione, è utile stabilire delle regole chiare sull’uso della tecnologia in casa, valide tanto per i bambini quanto per gli adulti. Si possono designare momenti della giornata “liberi da schermi”, durante i pasti o prima della buonanotte, per favorire lo scambio e il contatto umano.” aggiunge Lavenia.
Significa meno distrazioni, meno notifiche, meno improrogabili momenti in cui si deve rispondere a una mail o a un messaggio. L’uso della televisione in sottofondo da parte dei genitori, per esempio, distrae dalle interazioni genitore-figlio e dal gioco del bambino. L’uso massiccio di dispositivi mobili da parte dei genitori è associato a un minor numero di interazioni verbali e non verbali tra genitori e figli e può essere associato, nel lungo periodo, a un maggiore conflitto genitore-figlio. Tale interferenza da parte della tecnologia è talmente comune, da aver indotto i ricercatori a coniare il neologismo di “tecnoferenza”.

E poiché l’uso dei media da parte dei genitori è un forte predittore delle abitudini mediatiche dei bambini, la riduzione dell’uso dei media da parte dei genitori e il miglioramento delle interazioni genitore-figlio, possono rappresentare un’importante area di cambiamento comportamentale. “Essere presenti nella vita dei nostri figli in un’epoca dominata dalla tecnologia è sicuramente una sfida – Dottor Lavenia – ma è anche un’opportunità straordinaria per riscoprire il valore dell’interazione umana diretta. Con impegno, dialogo e un pizzico di creatività, possiamo costruire insieme un equilibrio che arricchisca la vita di tutta la famiglia.”

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