Lavoro, i rischi di un futuro insostenibile per le nuove generazioni

“Lo sviluppo sostenibile è quello che consente alle generazioni presenti di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. Così, l’allora presidente della Commissione mondiale su Ambiente e Sviluppo delle Nazioni Unite, Gro Harlem Brundtland, aveva definito lo sviluppo sostenibile. Stiamo seguendo questa direzione?

A giudicare dai numeri, no. L’Italia conta più del 21% di disoccupazione giovanile e i Neet, ovvero i giovani che non studiano e non lavorano, sono quasi il 30%, il dato più alto in Europa. I giovani che lavorano lo fanno accontentandosi di stipendi bassi che limitano fortemente la loro autonomia economica e di posizioni per le quali sono spesso sovra istruiti. Tutto questo è un fatto. Ed evidenzia come il futuro che stiamo costruendo sia, in larga parte, in-sostenibile.

Ma questa è solo una parte del problema. La questione più difficile da identificare con i numeri e al tempo stesso più sentita tra le nuove generazioni è quella valoriale. Assistiamo a una frattura profonda tra le motivazioni, le aspettative e le opportunità reali. Secondo lo psicologo del lavoro Roberto Pinneri, “la Gen Z è spaventata e ha diritto di esserlo. Quando incontro i giovani, la domanda che mi sento fare più spesso è: ‘Come faccio a dire che non ce la faccio?’. Tutto questo è emblematico”.

Parola ai giovani

Parole che trovano conferma in un’indagine che ha visto per protagonisti 1.800 studenti e studentesse tra i 13 e i 24 anni, realizzata da ScuolaZoo, realtà punto di riferimento per la GenZ. Presentata in occasione dell’evento “Mind The Gap – Azienda Z, istruzioni per l’uso” nell’head quarter del gruppo One Day a Milano, l’indagine ha messo in evidenza come oggi i giovani ragionino secondo schemi diversi rispetto a quelli di un tempo.

Il 72% preferisce avere un buon equilibrio tra lavoro e vita personale rispetto a uno stipendio più elevato, 7 su 10 ritengono importante o fondamentale avere la possibilità di lavorare in smart working o con orari flessibili e per il 77% è cruciale che la propria azienda si impegni per tutelare il loro benessere, fisico e psicologico. Il 73%, addirittura, apprezzerebbe se le aziende parlassero concretamente del loro impegno per la salute mentale già durante i colloqui.

Sono richieste che spesso vengono banalizzate, ma che in realtà sono lo specchio della società in cui abitiamo: sempre più connessa e veloce, eppure, al tempo stesso, sempre più instabile e alla ricerca di nuovi equilibri. Non comprendere le radici delle richieste che arrivano dai nuovi lavoratori, porta a polarizzazioni e conflitti all’interno di una stessa organizzazione. Da un lato la Gen Z, alla ricerca di spazio e attenzione, dall’altra i Baby Boomer.

Ritrovare il senso del lavoro

Secondo Paolo De Nadai, fondatore di ScuolaZoo, bisognerebbe ripartire dalla reason why, ovvero chiarire qual è il fine ultimo per cui un’azienda chiede alle sue persone (giovani, ma non solo) di contribuire alla propria missione con energia, competenza, ma soprattutto tempo. “Dobbiamo ridare significato al lavoro, perché non è più una questione di ruolo, quanto piuttosto di scopo – commenta De Nadai – e quando si perde il purpose, ovvero ciò spinge una persona a essere realmente partecipe di un progetto, si crea il punto di non ritorno”. Al contempo, è urgente lavorare su orientamento e formazione: sono aspetti sui quali si concentrano poche risorse ma che oggi più che mai, alla luce dei profondi cambiamenti del mondo del lavoro (vedasi l’Intelligenza Artificiale, per fare solo un esempio), sono cruciali.

In definitiva, le persone devono assumere una nuova centralità. E i giovani, con le loro richieste così disruptive rispetto al passato, lo stanno dicendo chiaramente.