D’improvviso siamo tutte più sole. Nella notte tra il 1° e il 2 dicembre se n’è andata a 102 anni Marisa Cinciari Rodano, partigiana, deputata della prima legislatura, europarlamentare, prima ad assumere l’incarico di vicepresidente della Camera. Faceva parte di quel gruppo di “grandi madri” – della Repubblica, del femminismo, di tutte le donne – che hanno reso l’Italia del dopoguerra più giusta e più libera. Acceleratrici di democrazia.
L’infanzia borghese
Figlia del podestà di Civitavecchia e di un’ebrea colta e impegnata, Marisa Rodano cresce come qualsiasi bambina della buona borghesia romana dell’epoca, tra le sfilate annuali dell’Opera nazionale Balilla, le feste, le vacanze in Austria e nel castello del nonno a Monterado nelle Marche, le lezioni di piano e di pittura impartite da Giacomo Balla e poi da sua figlia Elica. Dopo l’entrata in vigore delle leggi razziali, però, sua madre è costretta a nascondersi in convento e qualcosa si spezza nella sua famiglia. Studentessa del liceo classico Visconti, in piazza del Collegio Romano, la giovane Marisa comincia a meditare sui concetti di libertà e di democrazia e a frequentare i gruppi di cospirazione antifascisti. Figura importante è per lei Paolo Bufalini, militante antifascista e supplente di filosofia.
Sui banchi di scuola conosce Franco Rodano, che nel 1944 diventerà suo marito e il padre dei suoi cinque figli. “Con lui facevo lunghe discussioni nel tratto di strada comune per fare ritorno a casa”, racconterà a giudicedonna.it nel 2017. “Fu l’inizio di battaglie condivise per la libertà e la democrazia che segnarono le nostre vite di ragazzi e che continuammo a combattere durante gli anni universitari e, sia pure in forme diverse, anche dopo la caduta del fascismo“.
Tra i partigiani e i gruppi per le donne
Marisa si interroga sul ruolo della donna, si iscrive a Lettere alla Sapienza e nel 1941 partecipa alla costruzione del Partito cooperativista sinarchico fondato da Franco e da altri cattolici, che poi diventa Partito comunista cristiano per confluire infine nel Pci dopo il quinto congresso del partito. Durante l’occupazione tedesca di Roma fa parte dei Gruppi di difesa della donna (Gdd) che supportavano i partigiani sia con l’assistenza alle famiglie degli antifascisti in carcere sia con la diffusione della stampa clandestina e azioni di sabotaggio. Ma mai usa un’arma, come racconta nel libro edito da Il Saggiatore, “Memorie di una che c’era”.
Nel 1943 viene arrestata insieme a Franco e finisce nel carcere delle Mantellate. “La maggioranza delle detenute femminile – racconterà – era detenuta per violazione del divieto di aborto”. Un altro motivo di riflessione sulla condizione femminile, che si rafforza quando i Gdd nel 1945 confluiscono nell’Udi appena costituita: è nell’Unione, di cui sarà presidente dal 1956 al 1960, che Marisa e le altre elaborano la nuova identità femminile e le istanze che di lì a poco troveranno spazio nell’Italia repubblicana, dal diritto di voto all’uguaglianza sancita nella Costituzione. “Ponemmo alle donne e alla politica questioni concrete, come il diritto al lavoro, la parità di salario, la tutela della lavoratrice madre, la mancanza di servizi sociali”.
Gli anni del Parlamento e della politica
L’8 marzo 1946 propone la mimosa come simbolo della Giornata internazionale della donna, che quell’anno si festeggiava per la prima volta nell’Italia libera dal fascismo. Spiegherà che “il garofano c’era già per il Primo Maggio, l’anemone era troppo costoso, e così la mimosa venne naturale. Nei dintorni di Roma era facilmente reperibile nella bella stagione”. Nel 1946 il Partito comunista la candida alle elezioni comunali di Roma: eletta, manterrà la carica per un decennio. Nel 1948 è candidata dal Pci alla Camera, dove il suo seggio sarà confermato per altre quattro legislature, fino a diventare vicepresidente – prima donna nella storia d’Italia – dal 1963 al 1968.
Quell’anno viene eletta al Senato, poi dal 1972 al 1979 al Consiglio provinciale di Roma e infine al Parlamento europeo, dove resterà sino al 1989 e si occuperà ancora molto di donne e parità e per cui rappresenterà l’Europa alla Conferenza internazionale promossa dall’Onu a Nairobi nel 1985. Dopo lo scioglimento del Pci si iscrive al Partito democratico della sinistra e sino al congresso di Pesaro del 2001 fa parte dei suoi organismi dirigenti. È con il marito Franco tra gli ispiratori del compromesso storico, ossia dell’intesa tra Pci e Dc. Nel 2015 è nominata Cavaliere di Gran Croce dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, su proposta dell’allora premier Matteo Renzi. Dirà di lei Mattarella il giorno della scomparsa: “Ha dedicato la sua esistenza all’attività politica, battendosi per la libertà e, successivamente, per la parità di genere e per i diritti e la giustizia sociale. La sua figura, lucida e appassionata, costituisce un esempio e un riferimento per tutte le italiane e gli italiani che si dedicano all’impegno civile per il bene comune”.
La lotta per la democrazia paritaria con Noi Rete Donne
Nel 2010, assieme a Daniela Carlà, Marisa Rodano fonda Noi Rete Donne, rete nazionale che sostiene la democrazia paritaria perseguendo l’obiettivo di una adeguata partecipazione femminile ai vertici e in generale negli organi decisionali, di natura pubblica e privata, in tutti i settori: dalla cultura alla scienza, dal diritto alla politica all’economia. In un’intervista nel 2019 a NoiDonne legge con sorprendente lucidità la realtà delle donne: “Come Accordo di azione comune per la democrazia paritaria, abbiamo lavorato affinché fossero rimossi gli ostacoli che impediscono alle donne di essere candidate e di entrare nelle assemblee elettive a tutti i livelli: comuni, Regioni, Parlamento. Considero questo obiettivo raggiunto, il punto è che queste donne, una volta elette, hanno adottato un modello maschile e non svolgono la funzione che ci si attendeva da loro, ossia l’indipendenza dagli uomini, l’autonomia nelle scelte e nelle priorità. Rimane quindi aperto il grande tema dell’autonomia delle donne, una questione di grande attualità”.
La strada per tutte
Fino alla fine, Marisa Rodano indica con altrettanta lucidità la debolezza delle battaglie femminili oggi: “È venuta a mancare la consapevolezza dell’agire collettivo quale necessaria modalità e strumento di lotta per raggiungere obiettivi di emancipazione e liberazione della donna”. Più che la possibilità di passi indietro eclatanti, Rodano vede il rischio del sabotaggio, dello svuotamento dei diritti già acquisiti, e della mancanza di mordente sui fronti che lo meriterebbero. “Oggi le donne sono sulla difensiva, il tema della violenza è centrale, ma c’è una difficoltà a individuare grandi temi su cui ritrovarsi unite. Penso che i grandi temi su cui le donne dovrebbero allearsi sono il lavoro, i servizi sociali adeguati alla situazione odierna, normative sull’assistenza alle persone anziane”. La salutiamo per l’ultima volta lunedì 4 dicembre, prima alla camera ardente allestita a Montecitorio e poi nella Chiesa di San Giovanni a Porta Latina, a pochi metri dalla sua casa piena di libri, di memoria, di “sorelle”. Individuare grandi temi su cui ritrovarsi unite è il testamento che dovremmo rispettare. C’è tanto lavoro da fare per dirle grazie, non solo a parole.
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