“Burqa Queen” racconta di Layla, Faruz e Farida. La storia di tre donne che è la storia di tutte le donne afghane dopo la riconquista del potere dei talebani in Afghanistan.
È un libro carico. Carico dei divieti in una vita che non è vita se nasci donna, carico delle ingiustizie e delle “tradizioni”” che vogliono che sia così, carico della violenza verso le donne e della volontà di renderle invisibili, annientando ogni loro diritto.
Loro che per 20 anni si erano rimboccate le maniche per costruire una società civile, ora uccisa, evacuata o nascosta.
Le stesse donne che ora si sentono “pezzi di carta appallottolati che stanno per essere gettati nel cestino”, perché non possono andare a scuola, lavorare o uscire di casa, se non accompagnate da padre, fratello o marito. Donne che sono proprietà degli uomini, prima dei padri, che decidono con chi devono sposarsi e poi dei mariti che non scelgono né conoscono, ma a cui devono rassegnarsi per poter sopravvivere. Donne che se restano vedove sono escluse dalla società e sono destinate a morire di fame. Donne che mettono al mondo figlie con la morte nel cuore, perché sanno che il loro destino è segnato. Donne che vengono guardate con un inspiegabile disprezzo da “quegli occhi vuoti che fanno più paura di qualsiasi fucile”.
Chi è Barbara Schiavulli
L’autrice del libro è corrispondente di guerra e scrittrice che, da oltre vent’anni, si è impegnata personalmente su fronti caldi in Iraq e Afghanistan, Israele, Palestina, Pakistan, Yemen, Sudan. È cofondatrice e direttrice di Radio Bullets e vincitrice di numerosi premi, tra cui il Premio Lucchetta (2007), il Premio Antonio Russo (2008), il Premio Maria Grazia Cutuli (2010) e il Premio Enzo Baldoni (2014).
Le parole come armi
La sua penna è sincera, diretta, senza filtri, delicata e dura allo stesso tempo. Usa le parole come i talebani usano le armi. “Sono una persona che ha usato le parole pensando di poter fare la differenza”, ci racconta. “E se in alcune occasioni ci sono riuscita, è valso per tutte le volte che invece questo mestiere mi ha deluso e mi ha fatto sentire fuori da un certo mondo dove una persona che ama questo mestiere non riesce a farlo dentro alcuni parametri. Volevo fare la giornalista di guerra, perché credo la guerra sia il male assoluto, ma per poterlo dire bisognava che ci entrassi, che lo contrastassi, che mi mettessi tra le persone che soffrono e quelle che fanno soffrire. Dovevo capire, sono sempre stata assetata di giustizia, ho sempre creduto che i diritti fossero di tutti. E l’unica cosa che conosco per oppormi sono le parole”.
Le donne sono vulnerabili ma mai deboli
“‘Burqa Queen’ è nato sull’onda della mia rabbia – ci racconta l’autrice – dopo aver scritto la storia di una ragazza, Aqela, che era stata costretta a sposarsi a 12 anni, picchiata dal marito di 35 anni per tutta la sua adolescenza, stuprata, soffocata, lasciata affamata. Lui ha ucciso il padre di lei e il fratello e, quando è scappata con i tre figli, ha continuato a cercarla per ucciderla. Era un pomeriggio di una calda giornata di Kabul, e io l’ho incontrata in una casa sicura protetta da una Ong italiana con i figli accanto che piangevano insieme a lei per tutto il tempo in cui ha parlato con me. Il suo orrore è diventato il mio. E la storia che si trova su Radio Bullets, “uomini che odiano le donne”, è stata l’innesco”.
Continua Schiavulli: “Dovevo condividere la mia rabbia con tutti, dovevo far sentire alla mia gente quello che lei provava. per questo il libro è diventato narrativa, vorrei che raggiungesse più gente possibile. Dovevo trasformare il suo dolore e la mia rabbia in modo costruttivo, e cosa c’è di meglio di un libro? In che modo più sfacciato potevo raccontare la storia di tre donne di un Paese dove alle donne è vietato studiare, dove le biblioteche sono interdette? Quelle donne che piangono per la loro vita perduta sarebbero diventate qualcosa che i loro carnefici non avrebbero mai voluto: parole. Volevo anche che fosse chiaro che le donne sono vulnerabili ma mai deboli. E avendo raccontato l’Afghanistan per 22 anni, raccolto migliaia di storie, voci, incontrato persone, aiutato a farle fuggire persino, credo che il dono migliore che potessi fare loro fosse farle parlare, urlare se fosse stato necessario. In realtà il libro è stato un regalo anche per me, quando un’amica afghana, in Italia da tanti anni, mi ha detto che sembrava scritto da una di loro e non da un’occidentale.”
Il reporter di guerra e la responsabilità di chi informa
“Credo che questo mestiere sia un privilegio e chi di noi lo fa con passione, onestà e dedizione, è fortunata. Spesso in questi anni non sono arrivata a fine mese, perché ho scelto, o sono stata costretta a lavorare fuori dal giornalismo tradizionale, ma quello che ho visto, assorbito, imparato, non ha prezzo. Forse in un Paese diverso, la mia vita professionale sarebbe stata più serena, ma a conti fatti, rifarei tutto. Certo non qui. L’Italia dove è ancora radicato il fattore conoscenze, non competenza. Ma non importa, nel tempo si è creata una rete di persone che sostiene, conosce, capisce il mio modo di lavorare. Vivo un po’ sul confine: quando sono lì a raccontare i conflitti, sono nel mio elemento, so che sto facendo la cosa giusta; quando sono qui, nel mio Paese invece, mi sembra di combattere. Salvo rare eccezioni, immagino il giornalismo che potremmo avere, e di fatto non lo trovo. E questo mi crea dolore”.
“Ho imparato in fretta – afferma la giornalista – che con la violenza non si fa la pace, che con la guerra non si salvano le persone e che la sofferenza ne trascina altra se non viene curata. Ma ai giornali questo interessa poco. Preferiscono storie di distruzione che di costruzione. Preferiscono intervistare un presidente che la guerra la scatena, senza averla mai veramente vista, invece che una madre che ogni giorno manda i figli a scuola su due autobus diversi, pensando che se uno viene bombardato almeno l’altro si salva. La guerra è nelle piccole storie, non nelle grandi dichiarazioni”.
“Burqa Queen”, per la sua autrice, vuole informare di quelle che sono oggi le condizioni di vita delle donne afghane. “Raccontare un pezzo della loro vita e del tradimento occidentale che hanno subito nel 2021. Non che non si dovesse lasciare l’Afghanistan, ma il modo in cui è stato fatto dagli americani è stato il peggiore in assoluto. Non hanno negoziato un accordo di pace, come ci era stato detto, hanno regalato il Paese ai talebani, che continuano a finanziare tuttora. Per questo motivo ho continuato a tornare anche dopo il loro arrivo: non potevo permettere che fossero lasciate sole, che la loro voce non fosse udita. Ricevo più di quanto vorrei, richieste di aiuto, minacce di suicidio da ragazze che a quell’età dovrebbero essere solo capaci di sognare. In Afghanistan non è più così ed è anche per colpa di chi ci governa, e per me è intollerabile che non si sappia.”
Il potere delle donne
“Burqa Queen” è anche un libro sulla tenacia delle donne, che sanno trasformare la disperazione in volontà di vivere, non di sopravvivere. Che sanno usare i pochi mezzi a loro disposizione per trovare una via di riscatto. “Penso anche – dice Barbara Schiavulli – che le donne debbano cominciare a prendere coscienza di quello che sono e di quello che possono fare. Dobbiamo essere più presenti al posto di comando, non come figlie, madri, mogli del patriarcato, quello non ci cambia niente, ma come donne progressiste, aperte, libere, pronte a difendere il debole, non a schierarsi dalla parte di quello forte”.
“Dobbiamo scegliere da che parte stare, se vedere il mondo che ci scivola accanto in guerra, violenza, distruzione climatica, o se abbiamo voglia di rimboccarci le maniche e fare, essere la differenza. Le donne sono lo scrigno che racchiude il futuro di una generazione, non lo sono gli uomini, al massimo possono esserlo insieme: non è un caso che le donne siano state oppresse in quasi ogni fase della storia, forse è ora di cambiarla. O per lo meno di provarci”.
Ciascuno di noi cosa può fare? “Il punto di partenza è essere informati. Se sai cosa accade, in qualche modo puoi intervenire o consapevolmente decidere di non farlo perché non ti interessa. Credo molto in quel giornalismo votato a informare una società per renderla capace di formarsi un’opinione. Quando si ha la conoscenza, nasce anche la libertà di decidere cosa farne. Nel caso afghano, ma anche in tanti altri, nel nostro piccolo possiamo fare tante cose, a partire dal guardare le persone che vengono da ‘altrove’ in modo diverso, come persone che hanno sofferto, che ci possono arricchire, che sono una risorsa. Possiamo fare pressione sulla nostra politica, possiamo facilitare la vita di chi viene qui e prendere posizione a favore di decisioni positive, costruttive. Proteggere e difendere i diritti umani è un lavoro che spetta a tutti. In un Paese dove quasi una donna muore ogni giorno per la violenza familiare o ex familiari, dobbiamo fare più rete, dobbiamo avere più educazione, dobbiamo vivere più nel mondo che ci circonda, piccolo o grande che sia. Dobbiamo decidere che parte vogliamo avere nella società e, se ci interessa, cambiarla”.
“La mia voce è piccola, ma se le mettiamo tutte insieme, possiamo ruggire”.
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Titolo: “Burqa Queen”
Autrice: Barbara Schiavulli
Editore: Youcanprint, 2023
Prezzo: 15 euro
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