Riformare il calendario scolastico

Settembre, per la maggior parte dei genitori, è stato il mese del conto alla rovescia. Il mese delle tacche sul muro o dei segni sul calendario per contare i giorni che mancavano all’inizio del nido, della materna, delle elementari, delle medie e spesso anche delle superiori. Il momento in cui poter ricominiciare a lavorare senza il pensiero costante di quale attività inventarsi per tenere figlie e figli impegnati; di che parente, amico, baby sitter chiamare per far fronte all’ennesimo all’imprevisto o di quale centro estivo pagare a caro prezzo pur di saperli felici e stimolati.

Genitori equilibristi tra lavoro e spese per i campi estivi

Molti genitori si sono sfogati nella piazza contemporanea: i social. Nella mia bacheca, timeline o come dir si voglia, negli ultimi mesi sono comparsi uno dopo l’altro post di mamme e papà (ma soprattutto mamme, va detto) che raccontavano la fatica, anche economica, e il disagio dovuti alla necessità di dover organizzare i mesi di vacanza  più lunghi d’Europa.

Sì, perché le ferie scolastiche italiane sono quelle che durano di più: 3 mesi, da metà giugno a metà settembre. Un periodo di stop dalla scuola concentrato quasi esclusivamente nel periodo estivo a differenza dei calendari scolastici degli altri Paesi. La ragione? Sembra risieda in una decisione presa a inizio Novecento per permettere di frequentare la scuola anche ai figli dei contadini che in quel periodo dell’anno erano chiamati ad aiutare i genitori con la mietitura del grano. Difficile per le mamme e i papà di oggi accontentarsi di una ragione simile.

La difficoltà a conciliare i tempi di vita e di lavoro in quei 3 mesi, visto che le ferie dei genitori non durano altrettanto, è dunque al centro del dibattito non solo sui social, tanto che sono nate anche petizioni per chiedere che il calendario scolastico del nostro Paese venga rimodulato, quella lanciata da WeWorld e Mammedimerda: “Un’estate piena rasa”). Un problema che come spesso succede finisce per gravare quasi esclusivamente sulle madri costrette a prendersi lunghi periodi di pausa e congedo se lavoratrici dipendenti o a interrompere l’attività lavorativa se libere professioniste.

All’interruzione del lavoro si somma inoltre la notevole spesa economica per pagare centri estivi, campi scuola o baby sitter così da consentire ai propri figli di trascorrere questo lungo periodo nel modo migliore possibile. E questo ovviamente per chi può permetterselo.

I campus estivi non sono per tutti

Le vacanze estive durano 3 mesi però anche per i bambini e i ragazzi i cui genitori non hanno la disponibilità economica per pagare loro attività ricreative, né la possibilità di rimanere a casa a occuparsi di loro. Così, la pausa estiva nelle aree e nei contesti più svantaggiati a livello socioeconomico e culturale si trasforma spesso in un aumento delle disuguaglianze e in un peggioramento delle condizioni di vita per molti ragazzi e ragazze.

Ad Aversa, comune in provincia di Caserta, per esempio, nelle zone marginali della città dove vivono molte famiglie, anche migranti, in condizione di forte povertà economica, sociale e culturale le attività estive sono spesso un miraggio un po’ per i costi e un po’ perché la zona non è coperta da una buona rete di mezzi pubblici con la conseguente impossibilità di spostarsi da una parte all’altra della città. Lo racconta Lucia Cesaro, operatrice di un’associazione di promozione sociale legata alla rete di WeWorld: “Qui d’estate quando va bene i ragazzi vanno al parco, se invece va male stanno a casa tutto il giorno al cellulare o si devono occupare dei fratelli e delle sorelle più piccoli”.

Il risultato di queste lunghe estati è un aumento dell’isolamento sociale e del rischio di dipendenza dai dispositivi elettronici. “Al rientro a settembre – continua Lucia – abbiamo notato che le relazioni tra i ragazzi si erano molto allentate anche perché quelli che avevano trascorso i mesi estivi in casa davanti al cellulare provavano una forte inibizione quando dovevano relazionarsi con gli altri. In queste situazioni il rischio di psicopatologie e altri problemi cognitivi è molto alto”.

Non va meglio a Barona, quartiere della periferia di Milano dove lavora Manuela Augusto, psicologa dello sviluppo che da 10 anni lavora come educatrice nella onlus l’Impronta – legata alla rete di WeWorld – che offre servizi per il contrasto alla dispersione scolastica come centri diurni per minori. Manuela mi racconta che pur offrendo Milano molte valide alternative per il periodo estivo, la differenza la fa il potere economico.

I ragazzi e le ragazze di cui mi occupo io – spiega – hanno possibilità economiche limitate e questo significa che non possono accedere a nulla che sia privato. Le fasce meno coperte sono quelle dell’asilo e delle superiori quando cioè aumenta il rischio di devianze”. Manuela ha osservato anche il fenomeno dei ritorni ai paesi d’origine dei ragazzi di seconda generazione: “Si tratta di rientri lunghi, anche di due mesi, che per alcuni significano un bel momento da trascorrere con i parenti ma per molti altri portano con sé un forte senso di sradicamento”.

In generale, la lontananza e la mancanza di presidio durante l’estate portano molti ragazzi di quest’area a non fare i compiti o, in caso di problemi di apprendimento, a sperimentare la frustrazione di non farcela da soli, con il risultato, come spiega Manuele “che a settembre educatori e insegnanti devono ripartire ogni volta da zero”.

Il punto di vista degli insegnanti

Nella complicata equazione che coinvolge vacanze estive, genitori e figli mancano però gli insegnanti. Sono loro infatti che per uno stipendio molto più basso dei colleghi europei e spesso senza nemmeno i supporti didattici più basilari (come ad esempio la carta per le fotocopie) sono chiamati ad occuparsi dell’educazione di bambine e bambini, ragazze e ragazzi. Che cosa ne pensano loro di questa ipotesi di rimodulazione del calendario scolastico?

Ho parlato con alcuni di loro e quasi tutti sono concordi nel ritenere che ridistribuire i giorni di vacanza potrebbe essere una buona idea. Angela (di cui non scriviamo il cognome per riservatezza), professoressa in una scuola media di Padova, sostiene per esempio che: “fino alle medie tre mesi di vacanza per i ragazzi sono troppi perché si passa poi il primo mese di scuola a rispolverare conoscenze e competenze che hanno perso. Bisognerebbe togliere almeno un mese di vacanza ed eventualmente introdurre una pausa in più durante l’anno che consenta a tutti, sia insegnanti che ragazzi, di arrivare a giugno meno stanchi”. 

Professore e professori concordano però anche su un altro punto: nei mesi estivi non si può proporre la stessa didattica prevista durante l’anno e non si possono tenere i ragazzi e le ragazze dentro gli edifici scolastici che nella quasi totalità dei casi non sono attrezzati né con l’aria condizionata, né con spazi adatti a organizzare attività alternative. Secondo Ilaria che insegna a Bolzano “tenere a scuola i bambini e le bambine non è la soluzione, almeno non in Italia dove gli edifici non sono assolutamente attrezzati. Si dovrebbe pensare a delle attività alternative in luoghi diversi”.

Secondo i docenti un cambiamento di questo tipo richiederebbe inoltre di ripensare completamente la didattica, e il modo di insegnare, prevedendo anche più formazione obbligatoria per tutti gli insegnanti.

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