Sindrome di Williams, nella giornata internazionale si fa il punto sulla ricerca

Matteo ha poco più di 28 anni e da quando è nato fa fronte alle difficoltà derivanti dallaSindrome di Williams, una malattia rara che registra una delezione del cromosoma sette del nostro Dna e che colpisce una persona su 10mila: “Avevo appena un anno e mezzo – racconta – quando sono stato operato al cuore. Intervento necessario per poter sopravvivere“.

Sarah di anni ne ha invece 16 ed è consapevole della sua malattia: “Si tratta – spiega – di una patologia resa evidente dai miei occhi, dal mio naso e dalle mie labbra”.  Consapevolezza che però deve fare spesso, troppo spesso, i conti con il pregiudizio: “É la cosa che mi fa più rabbia – afferma Lara, la mamma di Elisa, una ragazza di 22 anni. – Si dà per scontato che non apprendano, che non capiscano, che non possano raggiungere determinati obiettivi. E invece i nostri ragazzi sono resilienti, sanno sorprendere“.

Dobbiamo sentire la fiducia di tutti – interrompe Lara. – Noi siamo determinati a inseguire i nostri sogni, a vivere il nostro quotidiano, a non essere di troppo“. “Se i genitori capiscono che il proprio figlio ha questa Sindrome – sostiene Beatrice, una ragazza di 12 anni dai modi di fare quanto mai determinati – deve lavorare per garantirgli comunque una vita sociale adeguata”. 

La sindrome di Williams è una malattia genetica rara dello sviluppo neurologico, con un’incidenza di circa un caso ogni 10mila nascite. Si tratta di una patologia non ereditaria, dovuta alla delezione del cromosoma 7 nella regione q11.23. Interessa diverse aree dello sviluppo, tra cui quella cognitiva, comportamentale, del linguaggio e psicomotoria; presenta, inoltre, delle particolari caratteristiche facciali e altri tipi di anomalie.

La Giornata internazionale

La Giornata Internazionale ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema troppo spesso dimenticato. “La patologia di cui oggi ricorre la Giornata internazionale – spiega Paolo Alfieri, neuropsichiatra dell’infanzia e dell’adolescenza presso l’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma – è correlata a disabilità intellettiva, a disturbi del linguaggio e della coordinazione motoria e a problemi di carattere comportamentale. Bisogna proprio per questo motivo riconoscerla in tempo e agire immediatamente, con mirati interventi riabilitativi. Da qui, la necessità di parlarne quanto più possibile e di porre all’attenzione pubblica una patologia spesso dimenticata. Anche per dare a chi ne soffre, soprattutto in età adolescenziale, un’autonomia, diciamo così, di carattere sociale“.

E il nostro compito – aggiunge Paola Risso, presidente di Apw Italia, l’Associazione che riunisce appunto le persone affette da questa malattia rara – è proprio questo: sostenere i pazienti e le loro famiglie. Noi dobbiamo fare rete per superare ostacoli e barriere e per far capire che, oltre alla disabilità, questi ragazzi hanno enormi capacità da esprimere. In loro, vi è una resilienza che definirei innata di cui non si può che essere orgogliosi. La nostra speranza poi è nella ricerca, che sta ottenendo risultati promettenti, che auspichiamo possa migliorare la vita delle persone con la Sindrome di Williams”. 

I passi avanti della ricerca

L’annuncio arriva proprio da un convegno internazionale organizzato dall’Apw Italia, dove il professor Boaz Barak, dell’Università di Tel Aviv, ha illustrato i primi risultati di una sperimentazione condotta, unica al mondo, anche su pazienti italiani.

Il cervello – ha spiegato Barak è composto da tanti neuroni connessi l’uno con l’altro che permettono, sincronizzandosi, di far funzionare alla perfezione l’organo. Sono ricoperti da uno strato di isolamento che si chiama mielina. I nostri studi hanno rivelato che questa sostanza risulta abnorme nelle persone con la sindrome di Williams e abbiamo scoperto una soluzione per migliorare quei livelli così importanti. Stiamo sperimentando la terapia – continua Barak su 30 pazienti, maschi e femmine di età compresa tra i 6 ed i 30 anni, affetti dalla Sindrome di Williams ed i primi risultati sembrano incoraggianti. Si nota un’importante riduzione del deficit cognitivo che ci fa ben sperare per il trattamento futuro della malattia”. 

La sindrome di Williams

Una patologia che si manifesta già nei primi mesi di vita con diversi campanelli d’allarme: lo scarso accrescimento, la difficoltà di alimentazione, il ritardo nello sviluppo motorio e la presenza di malformazioni. Nel corso degli anni, poi, presenta facies caratteristica, cardiopatie (in particolare stenosi sopravalvolare dell’aorta), anomalie cognitive, dello sviluppo e del tessuto connettivo.

“Siamo davvero contenti – afferma Paola Risso, presidente di Apw Italia- che la ricerca stia facendo passi da gigante. Far crescere la speranza fa bene a chi ogni giorno deve combattere con questa patologia, ai pazienti come alle loro famiglie, e noi lavoriamo perché abbiano un supporto costante, perché non siamo mai lasciati soli”.

Conoscere per affrontare. La Sindrome di Williams, di recente scoperta, va dunque sostenuta da un’informazione capillare che possa raggiungere sempre più le famiglie che vivono questo problema. In attesa che la ricerca possa fare il suo corso e migliorare sempre più la vita di queste persone e delle loro famiglie.