Donne e follia, il prezzo amaro di essere libere e geniali

“Da vicino nessuno è normale”: la frase di una canzone di Caetano Veloso è stata scelta dall’ex Ospedale psichiatrico di Trieste (quello dove nacque la rivoluzione della psichiatria di Franco Basaglia) negli anni 80 come slogan, proprio per combattere lo stigma e il pregiudizio che colpisce chi ha un disagio psichico e far sentire meno alieno chi ha un disagio psichico. Molto si riflette, ultimamente, proprio sul concetto di normalità e su come si è declinato nella storia: l’aderenza – o meno – alle regole sociali, l’adeguamento alle norme che la società in quel momento ritiene indispensabili per la convivenza sono certamente le cifra più comune per la definizione di ciò che viene considerato “normale” e ciò che invece dalla normalità esula. Ma è una definizione che fa acqua da molte parti, pensando per esempio a quanto la cultura e il pensiero cambino con il passare del tempo. E allora, chi è normale? Quanto è stretto e quanto è largo questo confine a seconda del tempo e del luogo dove ci troviamo?

Se guardiamo al fil rouge che lega i libri di cui parliamo qui, emerge come per le donne questo confine sia stato spesso uno stretto recinto, uscite dal quale non c’era che da considerarle folli. In alcuni contesti, in alcune fasi storiche (ma non occorre andare troppo indietro, penso per esempio all’Italia degli anni 50), una donna che non sapesse occuparsi della casa e della famiglia in maniera adeguata, che soffrisse la vita domestica e che non riuscisse ad attenersi alle rigide regole che la società le imponeva era facilmente considerata “da curare”, magari con una diagnosi di depressione maggiore. Donne fuori dagli schemi, creative o bizzarre, donne che hanno fatto scelte estreme, inaccettabili in certi tempi e in certi luoghi, donne sofferenti o sole, per le quali l’ascolto non era previsto e la non aderenza allo schema sociale era sufficiente a ritenerle inadatte sono state considerate pazze e come tali trattate, con i metodi e le violente “cure” che ai pazzi (o sospettati tali) si riservavano fino a pochi decenni fa. In una spirale discendente che non poteva che peggiorare irrimediabilmente il loro già doloroso disagio.

La solitudine di Lucia Joyce e Violet Gibson, un’amicizia immaginata

Le chiavi, le sbarre, i sonniferi. In “Bang bang Mussolini” di Anna Vaught, a portare il lettore “a spasso tra le droghe e gli isolamenti e le camicie di forza” dell’ospedale psichiatrico inglese St Andrew’s Hospital è Lucia Joyce, seconda figlia dello scrittore irlandese James Joyce, ballerina talentuosa e tormentata, un’artista riconosciuta con un’anima fragile e delicata, che inizia a combattere col disagio psichico da giovanissima tra relazioni d’amore sofferenti e intense e con un padre presente, amato e incombente.

Lucia Joyce (1907-1982), che passò tre quarti della sua vita in manicomio, visse effettivamente al St Andrew’s Hospital dal 1951 fino alla morte, nel 1982, quando fu colpita da un ictus. Nel libro è lei a raccontare la storia e la vita di un’altra ospite del manicomio: Violet Gibson, che ci arriva nel 1927 e ci muore nel 1956. Le due donne, nella realtà, non furono mai amiche ma entrambe sono sepolte nel cimitero inglese di Northampton. Un’amicizia immaginata, quella con Violet Gibson (1876–1956), la donna che sparò a Mussolini nel 1926, colpendolo di striscio al naso. Poi la pistola si inceppò e lei non riuscì a sparare di nuovo. 

Ribelle e rivoluzionaria, secondo le ricostruzioni recenti che ne riabilitano la figura Gibson sarebbe stata internata senza che ci fossero patologie conclamate, ma per salvare la reputazione e l’onore della famiglia d’origine, dopo il suo gesto violento.  “‘Qualcuno doveva uccidere Mussolini e io ci sono andata vicino più di chiunque altro, non trovi?’. Come ha sottolineato lei, chi era pazzo da legare qui? Perché consideravano lei matta e non lui? Oh, povera, sola lady Gibson”, dice Lucia Joyce nel romanzo, raccontando un’amicizia che, se ci fosse stata, avrebbe forse reso meno drammatiche le loro vite.

L’incomprensione negli occhi degli altri

È invece un racconto in prima persona quello di “Pazze. Tra genio e follia” di Roberta Balestrucci Fancellu con le bellissime illustrazioni, evocative e delicate, firmate Lucrèce, che fanno parte integrante dei venti brevi brani, di cui sono protagoniste artiste geniali, scienziate e studiose.

“Nessun vascello c’è che, come un libro, possa portarci in contrade lontane. Non bisogna condividere quel viaggio con qualcuno per forza. Io sto bene da sola”, dice Emily Dickinson, la prima donna a prendere la parola. Con lei, tra le altre, Virginia Woolf, Sabina Spielrein, Zelda Sayre Fitzgerald, Sylvia Plath, Alda Merini, Yayoi Kusama, Francesca Woodman che si raccontano, descrivendo il tormento dell’incomprensione della società che non le ha capite, che le ha isolate, e raccontano il sollievo cercato nel poter vivere la propria arte, la scrittura, la poesia, la propria passione, la realizzazione di sé. Donne che fanno i conti con la pazzia che la società rimanda loro, con la diversità che rappresentano e con l’impossibilità di sentirsi parte. Restituisce con dolore lo sguardo degli altri la poetessa Antonia Pozzi: “Dicono che sono pazza perché cerco la pace? Ho bisogno di respirare. La mia voce è leggera, fa male vivere. Per troppo tempo ho cercato un fuoco che non mi scalderà più. Le sillabe bruciano la pagina, la vita brucia la mia anima. Dicono che sono pazza, ma ho solo paura del mondo”.

L’Almamatto, ogni giorno un genio

Tornano, nel terzo libro (stavolta non solo al femminile), alcune delle protagoniste degli altri titoli: c’è Lucia Joyce, c’è Antonia Pozzi, ci sono Sylvia Plath, Virginia Woolf. Ma anche Camille Claudel, Marie Curie, Hedy Lamarr, Colette, Sibilla Aleramo. Il tono, nell’“Almamamatto. Un matto al giorno”, punta all’ironia. Un libro calendario che per ogni giorno, al posto del santo o della santa del calendario cristiano, presenta l’uomo o la donna nati quel giorno, personaggi geniali, folli e creativi e il più delle volte sofferenti. La pazzia non è mai l’unica caratteristica di una persona, ma tendiamo a vedere solo quella, che prende il sopravvento. Qui l’obiettivo è quello di vedere la persona, la genialità ma anche la fragilità, con un comune denominatore: l’amore variamente declinato, come mancanza d’amore, insufficienza d’amore, richiesta d’amore, eccesso d’amore e desiderio d’amore. Alda Merini, nel libro al 21 marzo: “Io la vita l’ho goduta tutta […]. Io la vita l’ho goduta perché mi piace anche l’inferno della vita e la vita è spesso un inferno… Per me la vita è stata bella perché l’ho pagata cara”.

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Titolo: “Bang bang, Mussolini”
Autrice: Anna Vaught
Editore: 8TTO Edizioni, 2023
Prezzo: 19 euro

Titolo: “Pazze. Tra genio e follia”
Autrice: Roberta Balestrucci Fancellu
Illustratrice: Lucrèce
Editore: Edizioni Hop!, 2021
Prezzo: 15 euro

Titolo: “Almamatto. Un matto al giorno. 365 tipi strani (+1) che hanno cambiato il mondo”
Autore: autori vari
Editore: Baldini+Castoldi, 2021
Prezzo: 25 euro

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  • angelo.perrino |

    complimenti, partecipo volentieri

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