Più che grida, sono sussurri di protesta quelli che arrivano nel nostro tempo dagli episodi sempre più frequenti di sofferenza da parte dei ragazzi, i nostri ragazzi. Alla generazione dei loro genitori, la generazione X, è mancata la guerra, che invece la generazione precedente ha sfiorato abbastanza da vicino da fare propria la missione di ricostruire. I Baby Boomer, nel bene e nel male, hanno quindi “fatto”: hanno fatto così tanto che oggi faticano a mettersi di lato, e alla generazione X è toccata la sorte del principe Carlo, eternamente in attesa del suo posto nella storia.
Senza un modello
In questo modo, però, i giovani è mancato un modello: chiamiamolo di leadership, se vogliamo, o di guida. Comunque, un modello: qualcosa a cui possano rivolgere gli occhi e avere la possibilità di reagire. Se alzano gli occhi, infatti, i gen Zeta non vedono l’impronta delle scelte dei loro padri, ma la coda lunga di un modello economico costruito dai loro nonni. Il danno, oltre che nel deterioramento del pianeta, è nel limite che questo pone alla loro possibilità di immaginare.
Si cresce sempre per contrapposizione, e i ragazzi oggi non hanno di fronte a sé una generazione che li sfidi davvero a contrapporsi.
Noi, adulti tra i 45 e i 65 anni, che in un Paese come l’Italia abbiamo quasi in esclusiva i titoli per decidere del loro futuro: noi non abbiamo niente da mostrargli. Nella tecnologia, unico vanto onnipresente, illusione di salvezza e di onnipotenza per la generazione X, loro sono cresciuti: la danno per scontata. E poi?
Che cosa vedono i giovani oggi
Avrebbero dovuto imparare dagli adulti che cosa vuol dire ambizione, quali sono le battaglie da combattere, a cosa possono aspirare e contro che cosa si possono schierare. Avrebbero dovuto imparare, vedendoli (perché si impara da quel che le persone fanno, non da quel che dicono) fin dove può spingersi l’immaginazione umana e quante strade nuove e diverse possono essere tracciate.
Li hanno visti invece intrappolati nella velocità di un progresso che appare inesorabile: troppo rapido e tumultuoso per consentire di fare delle scelte.
Li hanno visti – e li vedono ancora, anche dopo un’intera pandemia- prigionieri di un lavoro che li svuota, che non sembra avere più niente della ricostruzione.
Vedono figure di potere che cambiano come figurine, sempre troppo sottili per lasciare il segno. Vedono i tempi sempre più brevi e veloci delle idee, e per trovarne una che resista devono guardare al secolo scorso.
Ma il loro secolo è questo. E’ qui, è oggi, che a loro mancano i modelli: una visione del futuro, ma anche un’interpretazione di senso del presente.
In attesa del futuro?
Da anni viene detto ai giovani che “loro sono il futuro”: più che come una promessa, suona come una minaccia. Ai giovani, infatti, il futuro dice poco: loro sono giovani oggi, ed è oggi che devono fare delle scelte e darsi dei perché. Oggi è il luogo in cui vivono e in cui si sentono smarriti.
Intuiscono che il futuro non esiste davvero: che, nel momento in cui c’è, è sempre e solo presente. E che quindi il loro tempo, proprio come quello dei loro genitori, potrebbe non arrivare mai.
Ma, soprattutto, sembrano aver introiettato il senso di rassegnazione degli adulti che li circondano e che stanno scrivendo la storia che li attende. Per questo nemmeno urlano, ma sussurrano appena: la loro difficile ricerca di senso.
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