Questa è la storia di una madre e di una figlia, in transito. Questo è un viaggio nell’ambivalenza della relazione originaria. Questo è un racconto di ri-generazioni, il percorso doloroso di un doppio parto. “Sono qui, Eva, sono accanto a te. Sono seduta nel corridoio freddo di fianco alla sala operatoria, dove tu sei sdraiata, nuda, per l’ultima volta donna, bambina, femmina”. Comincia così “La madre di Eva”, il primo romanzo della giornalista Silvia Ferreri (Neo Edizioni, 2017), finalista al Premio Strega 2018, a cui è ispirato l’omonimo spettacolo teatrale di e con Stefania Rocca, che ha debuttato a fine febbraio al Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano e che domani e dopodomani sarà in scena al Teatro Parioli di Roma.
Siamo in Serbia, in una clinica privata specializzata in “rettificazione chirurgica del sesso”. Eva, diciotto anni appena compiuti, è in sala operatoria per diventare finalmente Alessandro: il vero sé stesso. Fuori c’è la madre che la aspetta. È lei, senza nome, archetipo e matrice universale, che narra e che ricorda. “Mi trattano come un animale abbandonato, come qualcuno da nutrire perché altrimenti si lascerebbe morire”. Madre e figlia sono reduci da due calvari diversi: la prima ha dovuto accettare lo specchio infranto delle sue aspettative, la seconda ha dovuto lottare sin da piccola per trasformarsi in ciò che sentiva di essere, un maschio. Intorno a loro, il padre, i nonni, maestre e compagni di classe, la psicologa, un giudice, un avvocato. Personaggi che recitano a soggetto: troppo ancora inesplorato, e carico di pregiudizi, lo spazio in cui si muovono.
In esergo, Alda Merini ricorda che “è difficile per tutti sottrarsi all’impero della nascita, e a quello più urgente del dolore”. Che cos’è la maternità se non un atto di potere, una coatta messa al mondo? C’è niente di più arbitrario e sovversivo? Fino a che punto controllo e amore si confondono? Ci sono genitori – riflette la madre di Eva – in cui i figli a vent’anni sono campioni, altri in cui i figli a vent’anni muoiono su una strada. “Ci sono genitori che hanno figli che vanno lontano, figli che si sposano, che divorziano, figli che fanno figli”. Poi ci sono “genitori che hanno figli che cambiano sesso. A diciotto anni. Dopo una vita passata a guardarti con gli occhi sbagliati”.
Ferreri non giudica, lascia srotolare il filo della trama con una prosa senza sbavature, precisa e tagliente come il bisturi di Radovic, il chirurgo demiurgo, il macellaio. Seguiamo la gravidanza, l’attesa, la scoperta che sarà una femmina, il presagio del papà che la sogna maschio. La memoria è scorticata dalla sofferenza di oggi. “Non immaginava che un giorno tu avresti buttato via tutto il mio lavoro, il mio progetto accurato, il mio modello perfetto. Non poteva sapere che avresti distrutto tutto per un corpo nuovo. Che un medico che non aveva idea della fatica che avevo fatto, potesse ricominciare tutto da capo”.
Eccola, la doppia tragedia della madre: non solo lo svanire della figlia “ideale” e idealizzata, non solo il senso di colpa, ma l’assistere al suo rifiuto definitivo e straziante dell’identità assegnata dalla natura. Non può che chiamarsi Eva, come la prima donna, la bambina che respinge il suo nome e il suo corpo, l’adolescente rabbiosa che odia il mestruo e tenta il suicidio. Fino a ostinarsi con la soluzione irreversibile: via il seno, via l’utero, un pene ricostruito che sarà “un lembo di pelle e grasso” con bacchette di silicone. Un bagno di sangue. Il “no” all’essere donna, all’essere come colei che le ha dato vita, al poter dare vita.
Sbaglierebbe chi pensasse di trovarsi tra le mani un romanzo riservato ai bambini e ai ragazzi con disforia di genere e ai loro genitori. “La madre di Eva” parla a tutti e a tutte, perché ci interroga sui fondamentali: la nascita, la morte, il desiderio, la paura, l’illusione, il corpo. Ci obbliga a domandarci fino a che punto siamo disposti a spingerci. Ci costringe a ragionare sui confini dell’educazione e sui limiti della scienza. Dove sta la salvezza per Eva? Nel somministrarle i farmaci bloccanti della pubertà o nel negarglieli? Nel vietarle l’operazione o nell’accompagnarla? I dilemmi di ogni genitore, ma all’ennesima potenza. L’ambivalenza di ogni figlio, però all’estremo. “Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia”, scrisse Pier Paolo Pasolini nella magnifica “Supplica a mia madre”. Silvia Ferreri riesce nel miracolo di restituirle entrambe: la grazia e l’angoscia. Un invito all’indulgenza. E a coltivare il dubbio.
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Titolo: “La madre di Eva”
Autrice: Silvia Ferreri
Editore: Neo Edizioni
Prezzo: 15 euro
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