Basta ‘viaggi della speranza’: diritto alla salute sia uguale per tutti i bambini

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Cinzia Pilo, presidente Debra Italia Onlus e Fondazione Reb, e suo figlio Luca

La migrazione sanitaria pediatrica è un problema che affligge molte famiglie italiane, costrette a compiere veri e propri viaggi della speranza per stare accanto ai figli malati e troppo spesso ospedalizzati fuori regione. Se un bambino malato è costretto a ricevere cure lontano da casa, la famiglia si trova obbligata a dover fare i conti, oltre che con le preoccupazioni per la salute, anche con le difficoltà della distanza: dover lasciare la propria casa, trasferirsi in un’altra città, cercare una sistemazione almeno per tutto il periodo malattia e mettere in standby il proprio lavoro per seguire le cure. Il tutto con ripercussioni spesso molto pesanti anche da un punto di vista finanziario.

Queste famiglie svolgono un ruolo fondamentale nel percorso terapeutico del bambino e molto spesso hanno bisogno di supporto per stare accanto ai figli nel periodo di ospedalizzazione in un’altra città. Si tratta di un puzzle di estrema complessità tra cure da trovare, lavoro da preservare, famiglia che si allontana, stress e tensioni di ogni genere. Accanto a tutto questo c’è la paura di non farcela, di non poter pagare tutto, di fallire anche nel supporto alla guarigione.

“Curarsi in un posto distante centinaia di chilometri dalla città o dal comune in cui si vive non è mai un’esperienza priva di conseguenze, anche per chi dispone di ingenti risorse economiche, non è indolore assentarsi dal lavoro, abbandonare la cerchia stretta dei parenti e degli amici, accettare di rimanere isolati e disorientati nella stanza di una struttura ospedaliera che, per quanto sia efficiente ed accogliente, è comunque un contesto nel quale si acuisce il senso di sradicamento a causa della separazione forzata dai propri affetti e dagli spazi familiari”, osserva Gianluigi De Palo presidente nazionale del Forum delle Famiglie, che mette in evidenza come il fenomeno sia un vero e proprio “dramma” per le famiglie e i bambini che lo vivono.

“Un conto – afferma – è scegliere liberamente il luogo in cui curarsi, optando per le strutture sanitarie d’eccellenza, che garantiscono maggiori opportunità di guarire da una patologia grave. Un altro è essere obbligati a farlo, quando si intraprende il viaggio per salvare magari la vita dei propri figli. Si tratta di un trauma che modifica radicalmente le esistenze delle famiglie, rendendo più fragili tutti i componenti del nucleo familiare”.

Al Sud rischio del 70% più elevato di doversi spostare

La mobilità sanitaria, pur interessando tutte le regioni italiane, è particolarmente rilevante nelle regioni del Mezzogiorno. Secondo uno degli studi più approfonditi in materia pubblicato su Italian Journal of Pediatrics un bambino che vive nel Mezzogiorno ha un rischio del 70% più elevato rispetto a un suo coetaneo del Centro-Nord di dover migrare in altre regioni per curarsi. Percentuale che evidenzia come il diritto alla salute non sia uguale per tutti i bambini, ma dipende in larga parte dalla regione di residenza.

Un fenomeno che è indice di una carenza di assistenza pediatrica, che dovrebbe essere rafforzata attraverso la creazione di servizi, attualmente non equamente distribuiti sul territorio nazionale. I dati hanno, infatti, messo in luce che i bambini residenti nel Mezzogiorno rispetto a quelli residenti nel Centro-Nord sono stati curati più frequentemente in altre regioni (11,9% contro 6,9%), numero che cresce sensibilmente soprattutto quando si considerano i ricoveri ad alta complessità, (21,3% vs 10,5% del Centro-Nord).

Il costo della migrazione sanitaria dal Mezzogiorno, dove risiede circa il 35% di questi bambini verso altre regioni è stato di 103,9 milioni di euro pari al 15,1% della spesa totale dei ricoveri e l’87,1% di questo costo (90,5 milioni) ha riguardato la mobilità verso gli ospedali del Centro-Nord. A causa della migrazione sanitaria, le regioni meridionali si trovano costrette a rimborsare, attraverso il meccanismo della compensazione tra Regioni, le prestazioni mediche a cui si sottopongono i propri abitanti altrove. Costi che potrebbero essere invece investiti in gran parte in strutture e professionalità sul territorio per migliorare la situazione sanitaria generale di queste aree.

Vuoto normativo e ruolo delle associazioni

Poco e nulla è stato fatto a livello di politiche centrali per affrontare questo grave problema. “I decisori pubblici – lamenta De Palo – non hanno ancora messo in agenda questo tema, che viene lasciato un po’ al caso, e che sulla carta, viene usato solo per verificare l’efficienza dei sistemi sanitari regionali, senza tener conto dei risvolti umani e sociali. Come spesso accade, il vuoto normativo viene colmato dalle organizzazioni del Terzo Settore”.

Analizzando le associazioni è possibile compiere una prima distinzione che le colloca in due grandi insiemi. “Nel primo insieme – spiega il presidente del Forum Famiglie – si trovano le associazioni genitoriali fondate da padri e madri a seguito di un’esperienza diretta. Spesso i genitori che hanno vissuto la malattia di un figlio scelgono di aiutare famiglie che affrontano la stessa esperienza mediante la costituzione di un’associazione. Poi ci sono le altre associazioni, che, a loro volta, si suddividono tra quelle che si occupano dell’accoglienza e supporto dei pazienti e delle famiglie sia nel reperimento di alloggi che nei reparti e quelle che si occupano di sensibilizzazione su patologie specifiche (come ad esempio malattie rare o malattie croniche) e raccogliere fondi”.

Fondazione Reb e Debra Italia Onlus

Particolare attenzione va posta ai bambini con malattie croniche e rare, che sono tra i soggetti che di più contribuiscono alla mobilità sanitaria interregionale, perché si tratta di malattie che non sono gestite in maniera multidisciplinare ovunque ma soltanto in alcuni centri specialistici. Cinzia Pilo è una manager con una brillante carriera nel mondo finanziario e internazionale, mamma di un bimbo nato nel 2010 affetto da Epidermolisi Bollosa, una malattia rara caratterizzata da fragilità della pelle e delle mucose che porta alla formazione di lesioni bollose a seguito di sfregamento o pressione.

È una malattia rara e incurabile, molto debilitante, con aspettative di vita molto limitate, 25 anni e nei casi più fortunati 30/35 anni, ma ci si arriva con grandi sofferenze perché la pelle è fragilissima e a forza di peggiorare produce il cancro e situazioni che a volte necessitano anche di amputazioni”, spiega Pilo che da anni ha messo le sue competenze al servizio volontario in ambito sociale, della ricerca scientifica e dell’assistenza ai malati e le loro famiglie.

Cinzia Pilo è presidente dell’associazione Debra Italia Onlus e della Fondazione Reb, il progetto scientifico nato per promuovere la ricerca sulla malattia. Un’iniziativa, la sola in Italia, che cerca di aiutare i bimbi farfalla – chiamati così per la fragilità della loro pelle – a poter scoprire la bellezza di un abbraccio e di una carezza. Dodici anni dopo la nascita del figlio, quest’anno Cinzia Pilo ha deciso di lasciare il lavoro per portare avanti in modo esclusivo il suo impegno sociale.

“Ho deciso di dedicarmi completamente a questa causa e piano piano ho avuto il modo di applicare quello che sapevo fare come professionista in un settore completamente diverso, l’ho applicato al mondo della sanità e dell’assistenza socio-sanitaria – afferma Pilo – ho lasciato il lavoro, sono diventata precaria e ho fondato Fondazione Reb che ha come primo obiettivo la ricerca scientifica grazie alla costituzione di un Comitato Scientifico, mentre l’associazione Debra Italia Onlus ha più uno scopo assistenziale di sostegno alle famiglie”. 

L’Epidermolisi Bollosa, riferisce Pilo, “ha un complesso sistemico di disturbi che richiedono una serie di specialisti: dal pediatra al dermatologo, dal gastroenterologo, all’oculista, al dentista, allo psicologo, al fisioterapista, una serie di specialisti che devono formarsi sulla malattia e anche l’anestesia deve essere fatta in maniera particolare”. Insomma, c’è un insieme di competenze richieste e i centri che se ne occupano sono pochi.

“C’è il Policlinico a Milano, a Roma il Bambin Gesù e a Bari il Policlinico Giovanni XXIII – racconta – questo comporta che le famiglie che sono dislocate su tutto il territorio nazionale debbano viaggiare per essere assistite in questi pochi centri. A seconda del tipo e della gravità della malattia questi viaggi possono essere anche molto frequenti, anche una volta alla settimana e anche per più giornate. Questo vuol dire trovare l’alloggio, fare il viaggio, insomma costi aggiuntivi che hanno un impatto notevole nella vita della famiglia. I genitori devono prendere giornate di lavoro, i bambini devono mancare da scuola, e l’impatto è enorme”.

Per alleggerire quest’impatto, la Fondazione e la onlus si muovono in due direzioni: sostegno economico alle famiglie costrette alla migrazione e sviluppo dell’assistenza domiciliare e la telemedicina.

Il supporto alle famiglie

Per quanto riguarda il supporto alle famiglie, è rivolto in particolare a reperire alloggi a Milano, Roma e Bari. “Facciamo anche delle partnership con delle catene di hotel che per questioni di loro interesse a fare progetti di responsabilità sociale ci mettono a disposizione delle stanze in maniera gratuita per questi malati. Le prenotazioni – dice – avvengono tramite noi ed è tutto controllato. Nel caso in cui le camere non siano disponibili, paghiamo noi stessi le camere, magari con uno sconto o a volte anche a prezzo intero. Paghiamo anche la trasferta (volo treno, benzina). Cerchiamo di sostenere economicamente tutta questa migrazione. È un aggravio sull’associazione che drena importanti risorse economiche sottratte alla ricerca scientifica”.
Per ampliare l’offerta, la presidente riferisce che sono in corso contatti con la Fondazione McDonald’s con l’obiettivo di realizzare una partnership per iniziative comuni a Milano e Roma.

“Insieme per un sorriso” della Fondazione Ronald McDonald Italia

Per far fronte al grave problema degli alloggi si muovono, infatti, molte associazioni e onlus no profit. Di recente si è tenuta a Roma “Insieme per un sorriso” l’iniziativa a favore della Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald Italia, onlus non profit, da anni impegnata ad offrire ospitalità alle famiglie con figli in cura lontano da casa. È stata realizzata un’asta di beneficienza il cui ricavato è stato devoluto interamente alla Fondazione Ronald per manutenzione, utenze e vitto delle Case ‘romane’ di Palidoro e Bellosguardo che ogni anno accolgono migliaia di famiglie e bambini malati e forniscono loro ‘una casa lontano da casa’. “Noi cerchiamo di fare la nostra parte supportando Fondazione Ronald economicamente ed attraverso il volontariato per dare una casa lontano da casa a queste famiglie – osserva Gennaro Bruno, imprenditore McDonalds’s, referente per l’iniziativa – lo facciamo in molte città italiane che ospitano ospedali pediatrici di eccellenza, quelli che sono meta del flusso più importante di piccoli malati come Roma, Firenze, Genova, Milano. Supportiamo fondazione affinché possa mantenere in vita questo sogno: mantenere unite le famiglie colpite dal dramma di un malato pediatrico. Ognuno deve poter fare la propria parte, noi abbiamo trovato questo modo per essere vicino a queste famiglie. Ciò che mi colpisce personalmente – aggiunge – è che un bambino (che sia residente in qualsiasi regione italiana) possa trovarsi nella condizione di essere malato in modo grave e di dover allontanarsi dal proprio mondo affettivo per affrontare una sfida per la propria salute ed a volte per la propria sopravvivenza. Il problema è molto complesso e richiede l’intervento di molti attori istituzionali e non. Noi però non vogliamo nasconderci dietro queste difficoltà e cerchiamo di dare il nostro contributo. Anche un solo bambino, una sola famiglia aiutata è per me un grande successo”.

Dagli alloggi solidali e family room a l’hospitality à la carte

La Fondazione per l’Infanzia Ronald McDonald Italia, spiega Bruno, applica un approccio di pratica assistenziale, quello Family Centered Care, che riconosce la centralità della famiglia nella vita del bambino con patologie, coinvolgendola il più possibile lungo tutto il percorso di cura. “Quando un bambino vive l’esperienza della malattia e della degenza in ospedale, l’amore e il supporto della famiglia – afferma – è importante quanto la migliore medicina. Proprio da questo presupposto sono nate le Case Ronald e Family Room. Le nostre Case Ronald sono alloggi solidali in cui offrire ospitalità e assistenza ai bambini malati e alle loro famiglie quando la cura è lontana da casa. Nati sulla semplice idea che nient’altro dovrebbe gravare sulle famiglie che stanno affrontando la malattia di un figlio: dove possono rimanere e dove consumeranno il loro prossimo pasto o dove poggeranno la testa per riposare un po’. In Italia sono presenti 4 Case Ronald, a Brescia, Firenze, Palidoro e Roma Bellosguardo”. Le Ronald McDonald Family Room, sono spazi all’interno dei padiglioni pediatrici di alcuni tra i più importanti ospedali italiani per dare la possibilità a tante famiglie di ricaricarsi stando comunque vicino al proprio bambino durante il periodo dell’ospedalizzazione. Sono presenti al Policlinico S. Orsola di Bologna, al Presidio Pediatrico Cesare Arrigo Spalto Marengo di Alessandria e un’altra al Presidio Ospedaliero dell’ASST Grande Ospedale metropolitano Niguarda.
Un’altra iniziativa è ‘Hospitality à la carte’, nata con lo scopo di portare il calore e il comfort di una casa ai bambini durante la permanenza in ospedale e alle loro famiglie. “È un carrello mobile – spiega l’imprenditore – grazie al quale i nostri volontari dispensano supporto e beni di prima necessità: snack, bevande, giochi, letture, prodotti per l’igiene”.

Sviluppate l’assistenza domiciliare e la telemedicina

Accanto al sostegno economico alle famiglie c’è un piano molto importante da sviluppare su cui si concentra l’attività anche della Fondazione Reb e di Debra Italia Onlus che sono lo sviluppo dell’assistenza domiciliare e della telemedicina. Secondo Cinzia Pilo ci sono una serie di motivi per i quali lo Stato dovrebbe prendere in seria considerazione le cure domiciliari, non solo per la salute, ma anche per le assenze dal lavoro per i genitori, la scuola dei bambini, il peso degli ospedali, consentendo risparmi da tanti punti di vista, oltre alla possibilità di poter ricevere delle cure.

Lo sviluppo dell’assistenza domiciliare, di cui i nostri ragazzi hanno sempre più bisogno. Nella maggior parte delle regioni d’Italia questo servizio non esiste e questa mancanza può determinare anche che uno dei genitori debba rinunciare a lavorare perché serve un’assistenza continua. Un obiettivo che ci poniamo è aumentare questa tipologia di assistenza, abbinandola alla telemedicina di cui si parla tanto. Puntiamo al fatto che non si debba per forza far riferimento all’ospedale, ma al proprio domicilio, anziché essere il paziente che emigra è l’assistenza che va a casa. Sarebbe la soluzione ideale, perché non si affrontano i viaggi, è meno costosa per le famiglie e lo Stato”.

Ci sono tanti motivi per tutti per sviluppare questo sistema, ma per i bambini farfalla c’è un motivo in più. “Dopo tanti anni – dice Pilo – stanno arrivando delle nuove terapie di tipo genico, sono creme topiche che contengono l’informazione genetica che devono essere somministrate una volta alla settimana. Essendo terapie geniche devono essere somministrate dai medici e per avere la terapia bisognerebbe andare una volta la settimana in un centro per spalmare una crema. Il nostro esempio è chiarissimo a tutti, è un caso che si potrebbe risolvere aumentando le cure domiciliari, facendo in modo che il personale medico o paramedico si rechi al domicilio dei pazienti in modo tale che loro possano somministrare queste cure”.

Pilo propone infatti di utilizzare il caso dei bambini affetti dalla stessa malattia del figlio come ‘caso pilota’ “perché è semplice e facilmente implementabile. Si tratta di spalmare una crema, non c’è richiesta di grandi apparecchiature o cure particolari. Dopo anni e anni e decenni di sofferenze e buio totale, con ragazzi che sono morti o hanno avuto grandi sofferenze con amputazioni, tumori, senza poter correre né mangiare, con difficoltà di tutti i generi finalmente potrebbe arrivare una cura, ma potremmo anche rischiare di non riuscire ad averla perché l’Italia non è attrezzata per le cure domiciliari che potrebbero salvare la vita a tutti questi bambini”.

Anche la telemedicina per questo tipo di malattia della pelle “può tranquillamente essere applicata. Si tratta di tecnologie che si stanno sviluppando che prevede ad esempio anche tramite l’utilizzo dello smartphone di fare delle foto alle zone della pelle interessata dalle lesioni che può essere scambiata con gli specialisti che possono fare una serie di cose e si può interagire con i propri medici a distanza. Sarebbe molto utile e noi ci offriamo come volontari come esperienza pilota per provare a implementare questi sistemi innovativi di assistenza anche remoti”.

Sulla telemedicina, tuttavia, il presidente del Forum Famiglie mette in guardia dal rischio di aumentare i divari. Può rappresentare una valida soluzione, afferma, “se però è sostenuta da un accesso agli strumenti uguale per tutti, altrimenti si rischia di incrementare il divario tra chi si può permettersi i mezzi per la telemedicina (device, connessioni adeguate, ecc..) e chi no”.

La pandemia ha peggiorato la situazione

 Anche la pandemia ha inciso negativamente con ricadute sulla qualità delle cure, il calendario dei controlli e delle prestazioni di recupero e riabilitazione. Il Covid ha catalizzato su di sé tutta l’attenzione (ricerca, donazioni e così via) determinando un enorme rallentamento.

Secondo Pilo “la pandemia ha peggiorato la situazione in due modi: la reclusione e l’isolamento per malattie come la nostra che richiedono professionisti a contatto fisico, la segregazione e l’impossibilità di recarsi in ospedale ha creato delle enormi difficoltà. Abbiamo un accumulo di ritardo e di interventi che dovevano essere fatti. Per fare un esempio, l’Epidermolisi Bollosa comporta la chiusura delle mani a moncherino e richiede interventi di chirurgia. Gli interventi non sono risolutivi, ogni due o tre anni vanni ripetuti, ma intanto si consente ai ragazzi di imparare a scrivere o tenere una forchetta in autonomia. Il ritardo – osserva – ha comportato che molti bambini non hanno potuto ricevere questo intervento e la cosa si è aggravata. Se l’intervento viene effettuato tempestivamente è meno invasivo”.

Opportunità dal Pnrr?

In sostanza, due sono le principali strade per investire in maniera efficiente nel sistema sanitario a tutela dei bambini: rafforzare la medicina territoriale che con la pandemia ha dimostrato di essere il vero anello debole del SSN, rivedendo i percorsi della pediatria generale e completare il processo di informatizzazione del SSN.

Secondo il presidente del Forum Famiglie si può migliorare la medicina territoriale “rafforzando il ruolo degli ospedali, da non considerare solo strutture per erogazione di cure, ma aperti al territorio. Nella maggioranza dei casi è l’URP dell’Ospedale a mettere in contatto le famiglie che ne abbiano necessità con le associazioni preposte all’accoglienza sul territorio. E spesso si tratta di famiglie in difficoltà economica, monoreddito e caratterizzate da una forte precarietà occupazionale. Questo – sostiene – comporta una serie di aiuti extra da parte delle associazioni, le quali spesso fanno riferimento a una rete di solidarietà formatasi spontaneamente sul territorio, soprattutto per quel che concerne l’approvvigionamento degli alimenti e beni di prima necessità, Insomma, si crea un circolo virtuoso che non andrebbe lasciato al caso, ma sistematizzato”.

L’auspicio comune è che si possa sfruttare la straordinaria occasione offerta dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) dove, illustra De Palo, sono previste le case per la Comunità, luoghi fisici di prossimità e facile individuazione dove la comunità può accedere per poter entrare in contatto con il sistema di assistenza sanitaria, sociosanitaria e sociale, che quindi andrebbero a potenziare la medicina territoriale. “Ci auguriamo – sottolinea – che vengano investiti bene questi fondi, anche perché tutto è connesso e anche una sanità efficiente e inclusiva concorre a sostenere la natalità”.
Anche la presidente della Fondazione si appella affinché si concentrino tutti gli sforzi necessari a far sì che i piani terapeutici, con tutte le cure prescritte, vengano effettivamente erogati così come prescritti e tempestivamente.

Serve qualche prescrizione vincolante affinché i Lea vengano effettivamente rispettati e che tutte le Regioni offrano lo stesso diritto a tutti i cittadini italiani. I malati di questa malattia devono avere tutti gli stessi diritti non è accettabile che chi vive in Calabria, Sardegna, nel Lazio con piani di rientro e situazioni diverse debbano avere questo genere di trattamento. Alcune famiglie anche a Roma stanno avendo difficoltà nella consegna dei piani terapeutici così per come dovrebbe essere. In un Paese civile come il nostro che deve garantire il welfare e l’assistenza della salute è assurdo che non venga rispettato”.

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