Curiosità e benessere psicologico: il binomio che non ti aspetti

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È un miracolo che la curiosità sopravviva all’istruzione, diceva Einstein. Progredendo nel proprio percorso scolastico, infatti, vengono sempre più offerte risposte, piuttosto che stimolate domande. Una volta adulti – specialmente a lavoro – questa condizione è il più delle volte cronicizzata. Eppure, la psicologia ci insegna che alimentare una mente curiosa è un vantaggio. Oltre che, vedremo, un ingrediente fondamentale per il proprio benessere. 

Ma cosa significa curiosità? Viene in mente una persona che fa molte domande. Un bambino che chiede “perché?”, un individuo che si informa, legge, conosce. Genericamente, possiamo infatti definirla un atteggiamento esplorativo, di apertura e ricerca attiva. Ciò che permette di potenziare la conoscenza del mondo, delle altre persone e di sé.

Una soft skill strategica – se non essenziale – in molti contesti professionali e organizzativi, che però è spesso poco approfondita nelle sue diverse sfaccettature. Cosa sappiamo – davvero – della curiosità? Grazie al lavoro di alcuni ricercatori, possiamo suddividerla in cinque dimensioni, che aiutano a gettar luce su una competenza spesso fraintesa.

La prima di queste è la sensibilità alla privazione, tipica di chi riconosce una propria lacuna di conoscenza e trova il modo di colmarla. La curiosità intellettuale, rientra a pieno titolo nella categoria. La seconda dimensione è l’esplorazione gioiosa che, fin dall’infanzia, si accompagna allo stupore e spinge a scoprire il mondo intorno a sé. Vi è poi la curiosità sociale, che rimanda alla relazione con l’altro e prende forma attraverso il dialogo, l’ascolto, l’osservazione e il porre domande. La quarta dimensione è quella della tolleranza allo stress, che è anche la meno intuitiva. Fa riferimento alla facilità con cui ci si spinge fuori dalla propria zona di comfort, proprio in virtù di un’efficace gestione dei vissuti di ansia e stress che ne derivano. Infine, la ricerca del brivido, tipica di chi è disposto a correre rischi, che siano fisici, sociali o finanziari. Imprenditorialità, sport estremi, gioco d’azzardo: tutti contesti nei quali l’adrenalina è protagonista.

Alla luce di questa tassonomia, appare evidente come la curiosità non possa essere generalmente intesa e trattata. Questa suddivisione, ci racconta però qualcosa di più: la capacità che questa competenza ha di tutelare e promuovere il benessere psicologico. Come?

La quarta dimensione, quella della tolleranza allo stress, è la più evidente e immediata in tal senso. Eppure, anche l’esplorazione gioiosa o la curiosità sociale sono funzionali allo scopo. Entrambi questi atteggiamenti permettono infatti di sospendere il giudizio e aprirsi al nuovo e al diverso da sé. In questo modo, rendono la persona maggiormente in grado di gestire novità, incertezze e frustrazione che ne possono derivare.

Saper essere curiosi e curiose, permette inoltre di approfondire la consapevolezza di sé e andare oltre il conosciuto, anche quando quest’ultimo è uno stato di malessere psicologico nel quale temporaneamente ci si trova. Garantisce una spinta costante all’azione, alla scoperta e alla ricerca attiva. Aspetti che a loro volta consentono un’efficace e proattiva gestione del cambiamento. Tutti fattori protettivi della propria salute mentale.

Ecco allora che la curiosità andrebbe promossa a tutti i livelli, partendo proprio laddove spesso è una grande assente: le aziende. Una ricerca citata da Harvard Business Review, condotta su campione diversificato di realtà e settori, evidenzia che solo il 24% delle persone riferisce di sentirsi curioso nel proprio lavoro. Un dato che mette in luce quanto è possibile fare proprio a partire dalle organizzazioni. Soprattutto dal momento che il 92% del campione riconosce nella curiosità uno straordinario valore. Le attribuisce infatti il ruolo di catalizzatore sia per quanto riguarda la soddisfazione e la motivazione, sia per l’innovazione e il raggiungimento di alti livelli prestazionali.

Allenare la propria capacità di essere curiosi diventa pertanto strategico. Viaggiare, leggere, sfruttare internet, domandare, mettere in dubbio, esplorare: sono tutte indicazioni valide. Investire in queste attività è funzionale sia a stare bene, che a lavorare bene. Motivo per cui le aziende dovrebbero diventare le prime promotrici di buone prassi in tal senso. A partire da una formazione alla leadership che permetta di stimolare la curiosità e la giusta sicurezza psicologica a sostenerla. Solo così è possibile, tra l’altro, proteggersi da uno dei più grandi pericoli umani e sociali, nemico numero uno della curiosità e potenziale minaccia per le organizzazioni: l’indifferenza.

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