Tra le vittime indirette della pandemia, ci sono coloro che hanno accusato il colpo soprattutto a livello psicologico. In particolare i giovani e gli adolescenti, che per un periodo troppo lungo sono stati privati di quella relazionalità così importante nell’età della formazione. Non è un mistero che la pandemia abbia drasticamente aumentato i casi di disagio psicologico tra gli adolescenti, e sebbene manchino dati contestuali la questione della salute mentale è annosa: secondo i dati raccolti dal Ministero della Salute, sappiamo che i disturbi mentali rappresentano le principali cause di disabilità tra gli adolescenti, e che l’esordio del primo disturbo mentale emerge in un terzo degli individui prima dei 14 anni, in quasi la metà entro i 18 anni e quasi due terzi prima dei 14 anni. Eppure solo il 20-40% degli adolescenti viene diagnosticato dai servizi sanitari e solo il 25% riceve un trattamento adeguato.
“La salute mentale non può essere considerata un tema di serie B”, ha affermato Lamberto Bertolè, assessore al Welfare e alla Salute del Comune di Milano, presentando il nuovo progetto comunale di orientamento psicologico per gli adolescenti. “Accoglimi” è un sistema di accompagnamento per adolescenti, pensato per prevenire la cronicizzazione del disagio e la sua manifestazione in forme più o meno violente. Le ragazze e i ragazzi tra i 14 e i 18 anni sul territorio milanese sono circa 60.000, e a loro e alle loro famiglie si rivolge il progetto, che prevede l’attivazione di un numero verde e di una chat Whatsapp e Telegram, a cui rispondono operatori con competenze diversificate, che possono offrire ascolto e sostegno adatto alle esigenze di ciascuno. Il numero verde è 800 666 315, il numero di cellulare per le chat è 335 1251973, e sono attivi il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 16 alle 19, il sabato dalle 10 alle 12, un calendario pensato per intercettare le disponibilità dei ragazzi fuori dagli orari scolastici.
Sul manifesto di lancio, campeggia un’immagine tratta dal progetto di una fotografa milanese, Zoe Vincenti, intercettata dal Comune che ha ravvisato in queste sue immagini un racconto sincero e sensibile degli adolescenti cittadini, fotografati nei loro ambienti, liberi e senza forzature.
Racconta Vincenti ad Alley Oop: “L’idea di documentare gli adolescenti della Post-pandemic Generation deriva da un’attenzione che ho sempre avuto verso questa fascia d’età, sono interessata a quel momento della vita in cui tutto è possibile e in trasformazione, c’è un’energia magica e tragica. Ho iniziato a chiedermi già durante la pandemia come facessero i ragazzi a gestire questo flusso di energia chiusi nelle loro case, mi chiedevo molto com’era vivere in questa negazione della fisicità in un’età in cui l’esplorazione del corpo, dei sentimenti, della sessualità assume un valore così importante. Così ho iniziato a fare domande ai professionisti che lavorano accanto a loro, e nei loro racconti ho sentito un generale segnale di allarme, che ha fatto scattare in me l’urgenza di raccontare queste vite attraverso il mio lavoro”.
Non è stato facile accedere all’interno delle scuole, nonostante anche la disponibilità e l’entusiasmo verso il progetto da parte di alcuni dirigenti d’istituto. Ma l’aiuto fondamentale è arrivato proprio da parte dei ragazzi stessi, che hanno mostrato complicità nei confronti della fotografa e hanno accolto il suo progetto, agevolando i contatti con i responsabili interni. “Erano i giorni delle occupazioni” racconta Vincenti, “e l’occupazione per loro è una conquista, permette di appropriarsi di un luogo spesso ai loro occhi non entusiasmante e di renderlo più simile a loro, prendendolo in gestione. Organizzano lezioni di materie verso cui hanno interesse e sono più inserite nella contemporaneità: ecologia, sessualità, pratiche spirituali, filosofia. Tutto questo rivendicando il fatto di aver riscoperto lo spazio della collettività a cui non avevano avuto accesso durante la pandemia. L’occupazione è il momento in cui sentono che possono agire e trasformare, anzichè subire passivamente, ed è qualcosa che poi portano nel mondo dell’attivismo: molti di quelli che occupano partecipano alle manifestazioni Fridays for Future, alcuni si iniziano ad affacciare alla politica. Vogliono essere coinvolti, vogliono stare dentro alle cose”.
È questo che emerge quando si sta accanto ai ragazzi e si prova a lasciarli raccontare, esprimersi, raccogliendo con sensibilità e attenzione la loro testimonianza. Zoe Vincenti ha lavorato in passato a raccontare esistenze complicate, in Messico, sulla rotta balcanica, ha documentato la vita delle madri single in Marocco, delle coppie che sfuggono ai matrimoni combinati in India, con il progetto “Rebels of love”. Ha posato sui ragazzi lo stesso sguardo, sinceramente curioso e motivato, per raccogliere il loro testimone: “È stato per me come fare un viaggio verso un mondo nuovo” racconta. “Una cosa che ho imparato sia dalla maternità che dalla pandemia è che non c’è bisogno di andare dall’altra parte del mondo a cercare storie, è un peccato non raccontare quelle che hai intorno a te. E i ragazzi hanno moltissimo da dire, anche i più timidi e sperduti erano desiderosi di raccontarsi, persino nella loro paura di farlo. Hanno una grande consapevolezza, anche del disagio che provano. Sanno fare rete, confrontarsi fra di loro, supportarsi”.
C’è da sperare che questa consapevolezza sia alla base anche della capacità di chiedere aiuto, usufruendo di un servizio per nulla scontato come quello messo a disposizione dal Comune di Milano. AccogliMI è stato realizzato in collaborazione con ATS e “Rete delle scuole che promuovono salute” ed è gestito per conto dell’Amministrazione da alcuni enti del Terzo settore che hanno partecipato anche alla coprogettazione: la Cooperativa sociale Minotauro, CeAS, Nivalis, Zero5, Lotta contro l’emarginazione, Comunità nuova, Diapason e Comin.
Conclude Vincenti: “Per me Post-pandemic Generation è solo all’inizio. Ho lanciato un questionario a cui i ragazzi risponderanno in forma anonima, voglio raccogliere storie più individuali, documentare il carico d’ansia di questa generazione, la loro forza e la loro fragilità. Narrare gli adolescenti italiani ha il significato di narrare noi stessi, la nostra vitalità”.
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