Perché il futuro è delle aziende a prova di trauma

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Si stima che, rispettivamente, sei uomini e cinque donne su dieci subiscano almeno un trauma nella loro esistenza. E che circa il 6% della popolazione mondiale sperimenterà un disturbo da stress post-traumatico nell’arco della propria vita. Le aziende cosa stanno facendo, al riguardo? Tra le tante cose che la pandemia ci ha insegnato, c’è senz’altro il fatto che le organizzazioni non erano – e ancora non sono – preparate ad accogliere e gestire paure, emotività e alti livelli di stress. Soprattutto se questi provengono dall’esterno del proprio ambiente. Seppure, siano tutti vissuti che inevitabilmente le toccano da vicino e che si ripercuotono poi su performance, operatività e risultati.

Prima di analizzare la questione, un doveroso passo indietro. Il tipo di trauma di cui parliamo è psicologico. Ma cosa si intende esattamente? Secondo l’Aisted (Associazione italiana per lo Studio del Trauma e della Dissociazione) può essere descritto come

“La conseguenza di un evento fortemente negativo e minaccioso per la vita, che genera una frattura emotiva nell’individuo e/o nella comunità che lo vive, tale da minare il senso di stabilità, di sicurezza, di identità e di continuità fisica e psichica della persona o delle persone che si sono trovate ad affrontarlo.”

In questo senso, esempi di traumi sono, oltre al già citato Covid: guerre, violenze, molestie, incertezza economica, lutti e così via. Questo non vuol dire che ogni volta che si fa esperienza di uno di questi avvenimenti si sviluppa necessariamente quella frattura emotiva descritta da Aisted, quanto, piuttosto, che questo sia possibile. Esattamente come qualsiasi tipo di stress, infatti, anche il trauma dipende dall’interpretazione che si dà all’evento. Ciò che è traumatico per me, può non esserlo per qualcuno o qualcun’altra. Sono moltissimi i fattori nell’equazione: strategie di coping, background socio-economico, caratteristiche culturali e molto altro.

Le aziende attente al benessere psicologico delle loro persone dovrebbero pertanto includere anche la gestione dei traumi all’interno dei loro programmi di well-being. È facile incontrare realtà che già offrono servizi per l’elaborazione del lutto o il supporto in caso di fragilità o calamità – tutti eventi che possono facilmente innescare vissuti traumatici. Eppure, è necessario costruire una cultura organizzativa che possa abbracciare il trauma come evento normale, piuttosto che eccezionale. Il rischio, altrimenti, è quello di far sentire sbagliate le persone che vivono questo tipo di difficoltà, per non pensare a quelle che sviluppano un vero e proprio disturbo post traumatico da stress.

I pericoli non finiscono però qui. Quando si è in una situazione di crisi, infatti, si guarda al proprio ambiente di riferimento in cerca di sostegno e protezione. Questa funzione può essere svolta dalla famiglia o dalle istituzioni, ma oggi, sempre più persone, si aspettano che anche la propria azienda abbia un ruolo attivo in tal senso. Basti pensare che l’annuale ricerca BVA Doxa-Mindwork relativa al benessere mentale nelle aziende, riporta che 9 lavoratori su 10 vogliono che la propria realtà organizzativa si prenda cura della salute psicologica delle sue persone.

Se, in presenza di questa aspettativa ciò non avviene, può presentarsi quello che la psicologa Jennifer Freyd definisce “tradimento istituzionale”. È il caso in cui un’organizzazione di cui si fa parte – e di cui ci si fida – è manchevole nel prevenire o nel gestire eventi traumatici – o, peggio, porta avanti comportamenti a danno delle persone che ne fanno parte. Questo meccanismo, come si può immaginare, non solo mina la fiducia nei riguardi della propria azienda, ma porta con sé conseguenze che inevitabilmente impattano sulla tenuta organizzativa e la retention.

Al lato opposto del tradimento istituzionale, troviamo la sicurezza psicologica, ossia il sentire di avere la libertà di poter condividere difficoltà, timori, idee e opinioni senza il timore di recriminazioni. La capacità, come scrivevo in un precedente articolo, di essere a proprio agio anche in situazioni che a proprio agio non mettono. Inevitabile, per diffondere questa prassi, passare dalla formazione e dalla sensibilizzazione. Viviamo una realtà sempre più incerta e complessa, dove calamità, pandemie e guerre scuotono ogni giorno la quotidianità di migliaia di persone e l’economia globale. Se le aziende vogliono proiettarsi nel futuro, è necessario che facciano la loro parte. Anche nella gestione dei traumi.

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