“L’archeologia di genere ribalterà i codici”, promette Marylène Patou-Mathis, storica francese specializzata nel comportamento dei Neanderthal. Il motivo per cui c’è bisogno di un’archeologia di genere è presto detto: “Il ruolo della donna, la sua condizione e i suoi comportamenti, così come i manufatti e l’arte preistorica, sono analizzati ricorrendo in maniera sistematica all’essenzialismo, in particolare attraverso la lente dello sguardo maschile”. È quanto scrive nel suo saggio “La preistoria è donna. Una storia dell’invisibilità delle donne”, tradotto da Bérénice Capatti per Giunti, pubblicato in Francia con un titolo un po’ più eloquente e provocatorio: “L’homme prèhistorique est aussi un femme”.
La preistoria raccontata da Patou-Mathis infrange tutta una serie di credenze e certezze, mostrando come siano basate su luoghi comuni, pregiudizi sessisti, che hanno giustificato la presunta inferiorità delle donne con mistificazioni sempre più complesse e financo anatomiche. Basandosi su nuove scoperte archeologiche, e su una rilettura delle stesse alla luce di un pensiero sempre più consapevole, la visione che offre la studiosa racconta che il patriarcato non risale alle origini del mondo, non è nato nelle grotte, dove anzi uomini e donne preistorici condividevano un’idea di comunità tutt’altro che androcentrica. Di fatto, le attività preistoriche di cui siamo a conoscenza grazie ai reperti, dalla caccia alle pitture rupestri, non possono essere attribuite specificamente a uomini o a donne. Il racconto che è stato fatto della preistoria, che vedeva gli uomini forti e abili andare a caccia mentre le donne, più fragili e deboli, restavano nell’orbita della caverna a prendersi cura della prole, è un racconto pseudoscientifico, che non fa che proiettare sui nostri antenati i ruoli della società ottocentesca, culla delle discipline di studio della preistoria.
Oggi, grazie ai nuovi metodi di indagine, i reperti archeologici hanno molto da dire, e talvolta anche da riscrivere. Ad esempio, si racconta di una tomba vichinga del X secolo, scoperta nel 1880, che conteneva uno scheletro sepolto con armi, due cavalli e un tabellone per la strategia di guerra. Fino agli anni 2000 questa scoperta è stata un riferimento per identificare i leader guerrieri. Nel 2017, l’analisi del Dna ha dimostrato che si trattava di una donna, una signora della guerra. “Decostruire gli argomenti sessisti, più ideologici che scientifici, è il compito che si è data l’archeologia di genere”, scrive Patou-Mathis: “La scienza preistorica gioca un ruolo fondamentale in questa lotta, poiché sonda gli abissi del tempo, giungendo laddove il patriarcato troverebbe la sua giustificazione originaria. Ebbene, di giustificazioni non ne fornisce”.
Quando, allora, ha cominciato a diffondersi il pensiero che la donna fosse un essere inferiore, debole, uno strumento utile tutt’al più per sancire alleanze matrimoniali e garantire la continuità dinastica, così come ce l’ha consegnata la storia antica e quella medievale? Le religioni hanno giocato senz’altro un ruolo fondamentale, ed è a partire dal racconto biblico che Chiara Frugoni illustra quale fu la concezione del femminile nel Medioevo dell’Occidente. Nel saggio “Donne medievali. Sole, indomite, avventurose”, pubblicato dal Mulino, la storica racconta di come nella società medievale, in un’epoca in cui predominava il valore della forza fisica e la violenza risolveva ogni tipo di conflitto, le donne erano tenute in disparte, soprattutto se di classe sociale alta, vivevano in condizioni di assoluto analfabetismo, a meno che intraprendessero la vita monastica, ed erano considerate alla stregua di oggetti o animali, vittime di una misoginia che si estendeva dalla Chiesa al mondo laico.
Manca, in questa ricerca di Frugoni, quella pars destruens che abbiamo visto predominare nel saggio di Patou-Mathis, ma, in compenso, c’è un minuzioso intento narrativo che, attraverso la ricerca bibliografica, l’analisi storica, antropologica, agiografica e un corredo godibilissimo di tavole illustrate e miniature, offre una pars costruens in cui le biografie di cinque donne spiccano per l’eccezionalità inaspettata: Redegonda, Matilde di Canossa, la Papessa Giovanna, Christine de Pizan e Margherita Datini. Frugoni è mancata recentemente, lo scorso 10 aprile, ed è imperativo (ri)scoprire la commovente profondità con cui affonda nei documenti e nelle fonti per restituire al discorso storico le vite delle donne che ne sono state estromesse. Un lavoro colmo di dedizione, in senso ampio: dedizione alla materia, ma anche alla soggettività che essa non contempla, alla Storia e alle storie.
Si è fatta strada già da tempo l’idea che l’assenza delle donne dal racconto storico sia dovuta a diversi fattori, ma non costituisca di fatto l’assenza delle donne dalla storia. La marginalizzazione è stata reale e concreta per gran parte della storia, ma è anche stata narrativa: le donne sono state escluse prima dagli scenari dove avveniva l’azione e poi, anche qualora riuscissero ad accedervi, sono state escluse dal racconto dell’azione. I due libri citati sopra sono due esempi di come si possa de-costruire e ri-costruire la presenza femminile nella storia. È importante dunque compiere un passaggio anche all’interno dei luoghi in cui si struttura il pensiero e il nostro modo di guardare la realtà, perchè è qui che il contributo fondamentale del femminile può dare un nuovo slancio alla percezione del mondo.
“Le regine della filosofia”, saggio corale a cura di Rebecca Buxton e Lisa Whiting, edito da Tlon e splendidamente illustrato da Caterina Ferrante, ricostruisce le storie di venti filosofe, di diverse epoche e geografie, raccontate da altrettante studiose. Scrivono le curatrici: “Le intuizioni filosofiche del passato e del presente possono aiutarci a navigare in questo mare di sfide che è il nostro tempo, ma rischiamo di perderne la saggezza se rimaniamo confinati nelle liste di lettura convenzionali che ci vengono affidate tra i banchi di scuola. Ignorare così tante filosofe perché non rientrano nel tipico canone filosofico è una perdita per tutti noi”.
Così, tra i nomi più conosciuti, si incontrano anche storie nuove che allargano e rinfrescano il respiro, come quella di Lalleshwari, o Lalla Arifa, conosciuta semplicemente come Lalla o Lal Ded. Le sue poesie, trasmesse oralmente per oltre seicento anni, hanno lasciato un segno tangibile nel paesaggio religioso e culturale del Kashmir. Lalla sosteneva che il dualismo è una gabbia che organizza in modo divisivo le nostre vite e che soltanto superando le dualità concettuali incorporate si può liberare non solo il pensiero, ma anche il corpo e il nostro intero sistema sociale e comportamentale. Era il XIV secolo.
Fintanto che persisterà dunque il dualismo uomo/donna, con gli evidenti preconcetti che comporta la predominanza maschile, dovremo confrontarci con il fatto che le donne siano storicamente invisibili e che le loro storie vadano portate alla luce con un meticoloso e determinato sforzo di rilettura della storia. E questo non vale solo per la storia antica, ma anche per la più intangibile storia del progresso tecnologico, quella di Internet. “Connessione. Storia femminile di Internet“ è il saggio di Claire L. Evans, edito da Luiss University Press nella traduzione di Gabriella Tonoli, che scava nella storia dell’informatica per raccontare le donne che hanno scritto codici, progettato macchine e creato le interazioni digitali che conosciamo oggi.
Nella prima metà del Ventesimo secolo, il termine “girl” veniva usato in modo intercambiabile per “computer”. All’inizio degli anni Quaranta, si parlò perfino di un’unità di energia, la “kilogirl” che equivaleva approssimativamente a mille ore di calcolo. Il cosiddetto “harem di Pickering” era un pool di calcolatrici (donne che calcolavano) che, pagate la metà della tariffa ordinaria, erano specializzate nel calcolo manuale della posizione di sole, luna, stelle e pianeti. “Queste donne praticamente mapparono il cosmo, ma il loro stipendio era lo stesso di operai non specializzati”, scrive Evans.
Attraverso la ricerca in archivi e documenti, ma anche con preziose interviste eseguite personalmente dall’eclettica autrice, che è anche musicista oltre che appassionata di fantascienza, vengono restituite al lettore le storie delle donne che contribuirono in modo fondamentale allo sviluppo delle Ict. Non solo le storie delle già conosciute Ada Lovelace e Grace Hopper, ma storie come quella di Wendy Hall, creatrice di Microcosm, un sistema di link e ipertesti che precede il World Wide Web; o di Stacy Horn, fondatrice di Echo, una comunità virtuale paragonabile al sistema di scambio dei forum online.
Horn aveva collaborato alla creazione di Well (Whole Earth ‘Letronic Link), comunità virtuale. Si era resa conto, con una tempestività intersezionale, che l’acronimo era ingannevole: non era un luogo rappresentativo di tutta la terra, ma di un privilegiato gruppo di uomini bianchi trentenni. Fu per includere le donne che creò Echo, il forum online e pubblico in cui era possibile confrontarsi con chiunque su qualunque argomento. Nel gruppo di discussione Wit, Women in Telecommunications, si poteva parlare liberamente di mestruazioni, sesso, gravidanze e depilazione.
Le cyber-femministe erano convinte che l’anonimato in Internet avrebbe permesso di superare le gerarchie di genere. Oggi sappiamo che l’esclusione delle donne e la cattiva rappresentazione che storicamente se ne fa non solo hanno reso la tecnologia stessa vittima dei bias di chi la progetta, ma continuano ad alzare barriere per l’accesso femminile alle discipline Stem. Per questo dobbiamo ripartire dall’inizio e raccontare non una nuova storia, ma la stessa storia del genere umano con un nuovo punto di vista. Decostruire e ri-costruire. Altrimenti il futuro continuerà a raccontare una storia che già conosciamo e che, francamente, ci piace sempre meno.
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Titolo: “La preistoria è donna. Una storia dell’invisibilità delle donne”
Autrice: Marylène Patou-Mathis
Traduttrice: Bérénice Capatti
Editore: Giunti 2021
Prezzo: 20 euro
Titolo: “Donne medievali. Sole, indomite, avventurose”
Autrice: Chiara Frugoni
Editore: Il Mulino 2021
Prezzo: 40 euro
Titolo: “Le regine della filosofia. Eredità di donne che hanno fatto la storia del pensiero”
Autrici: Rebecca Buxton e Lisa Whiting (a cura di)
Traduttori: Marco Carassai, Maria Elena Marrocco, Matteo Trevisani
Illustratrice: Caterina Ferrante
Editore: Tlon 2021
Prezzo: 25 euro
Titolo: “Connessione. Storia femminile di Internet”
Autrice: Claire L. Evans
Traduttrice: Gabriella Tonoli
Editore: Luiss 2020
Prezzo: 19, 50 euro
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