Nella chiesa del paese dove vivevano i miei nonni, in alta Valsesia, c’è un dipinto: raffigura la cattura e l’uccisione dell’ultimo lupo. È un quadro di fine Ottocento o inizio Novecento, non ricordo bene. Ricordo che era in fondo, di fianco alla porta di ingresso. E ricordo che mi aveva colpito, tanto da restarmi impresso: un po’ per la fine dell’animale e un po’ per il fascino, misto a paura, che il lupo mi ha sempre suscitato. Non so perché.
Ora il lupo è tornato. Era da tempo che se ne parlava, tanto che sembrava una di quelle leggende tipiche dei paesi di montagna. Invece no, questa volta è proprio vero perché, nonostante le precauzioni – sue, del lupo –, qualcuno lo ha visto. Lo scorso inverno, quello appena terminato, una persona che era uscita di casa per scattare una foto notturna al paesaggio innevato nei pressi di Alagna se lo è trovato davanti, fermo, a poca distanza, gli occhi gialli e luminosi.
Anche al di là delle montagne, sull’altro versante del Monte Rosa, il lupo è tornato. Ha ripreso possesso del suo territorio, silenzioso e furtivo. È capace di percorrere chilometri e chilometri senza che nessuno riesca a vederlo. Un po’ come accade anche tra le pagine dell’ultimo libro di Paolo Cognetti (il primo, “Le otto montagne”, vincitore del Premio Strega nel 2017, è stato un successo clamoroso, letto da più di un milione di persone in 40 Paesi).
Ne “La felicità del lupo” (Einaudi), l’animale cammina tra le pagine a fianco del lettore e dei protagonisti, restando una presenza percepita. Come uno spirito guida. Sai che c’è, anche se non lo vedi. È lì, di nuovo nel suo territorio e osserva tutto. Osserva le vicende degli umani. Quelle di Fausto e di Silvia, di Babette (di cui nessuno ricorda il vero nome) e di Santorso, e di tutti gli altri che occupano il suo regno: un ambiente che sta tornando sempre più selvaggio.
Paolo Cognetti racconta la montagna, quella vera – non quella di Cortina o Courmayeur – quella dove turismo, sci, impianti di risalita ci sono, ma sono una sorta di appendice, di parentesi, restano sullo sfondo. Quello che conta, nel romanzo, è soprattutto altro, a cominciare dalla fatica quotidiana che sta dietro al folkloristico suono dei campanacci, al rumore delle motoseghe, alla raccolta delle patate. Alla neve spalata per liberare le porte delle case e a quella battuta dai gatti affinché gli sciatori la trovino perfetta. Alle salite con lo zaino carico in spalla. Quello che conta sono i profumi, i colori, gli odori non sempre piacevoli, i sentieri di sassi, di neve e di ghiaccio.
“La felicità del lupo” è un romanzo costruito sulle piccole grandi storie di persone comuni che ruotano intorno al paese di Fontana Fredda. Storie che in alcuni casi sono intuite e si è portati a immaginare quasi in una trama parallela. Storie che sono (quasi) tutte anche delle fughe.
La montagna che ne esce fuori è una sorta di Cammino di Santiago in grado di cambiare, probabilmente, le vite dei protagonisti: di Fausto, certamente; di Babette, probabilmente; di Silvia, forse. È una specie di meditazione zen. Un intreccio, o un incrocio, di “storie minime” che ricorda alcuni romanzi di Patrick Modiano.
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Titolo: “La felicità del lupo”
Autore: Paolo Cognetti
Editore: Einaudi
Prezzo: 18 euro
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