Prendere parola, adesso. Un appello degli uomini contro la violenza sulle donne

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Cara Alley,

la violenza sulle donne ci riguarda non solo perché siamo noi maschi a esercitare queste aggressioni – e tutti in qualche modo siamo attraversati dalla cultura patriarcale che produce la violenza – ma perché mettere in discussione questa cultura sarebbe un grande vantaggio per noi stessi e le nostre vite.

La libertà femminile e la critica all’ordine patriarcale che viene dai movimenti lgbtq+ ci chiamano a un cambiamento profondo, che può rendere migliori le relazioni tra uomini e donne come tra noi maschi e in tutti gli scambi vitali tra diverse soggettività sessuali e di genere, eliminando sempre di più nelle nostre società la misoginia, l’omofobia, la transfobia. La negazione delle differenze è un’altra gabbia che ci viene imposta. Liberarci dai razzismi, dal pregiudizio e dall’odio per chi avvertiamo come “diverso” è condizione per la libertà di tutti e tutte.

Questo cambio di civiltà può avvenire se anche il mondo maschile ne diventa convinto protagonista. Negli ultimi tempi si sono moltiplicate le prese di posizioni maschili contro la violenza rivolta alle donne, ci sono state manifestazioni e eventi pubblici, sono nati in tutto il paese numerosi gruppi e associazioni per affrontare e vincere la violenza maschile. Soprattutto stanno mutando i comportamenti degli uomini nella società: cresce a poco a poco il desiderio di vivere in modo più pieno la paternità e l’impegno nelle attività di cura indispensabili per il benessere delle relazioni familiari, amicali, nei luoghi di lavoro, anche se c’è ancora molta strada da fare per raggiungere in questo campo una piena condivisione.

Due anni di pandemia hanno sconvolto le nostre vite, hanno evidenziato ingiustizie e aggravato disuguaglianze: i periodi forzati di convivenza domestica, tra lavoro a distanza e cure familiari durante i lockdown, hanno registrato l’aumento della violenza e pesato molto di più sulla vita delle donne, dei giovani e dei bambini. Ma hanno anche spinto molti uomini a vedere quanto sia ingiusto e insensato separare nettamente il lavoro cosiddetto produttivo dalle attività quotidiane per la messa al mondo e per la cura della vita. Si è quindi aperto un ulteriore spazio per una diversa esperienza maschile nel rapporto con i figli e nelle relazioni di intimità.

Resta vero però che il cambiamento aperto dalle mutate relazioni tra i sessi e dalla rottura di ruoli e modelli di genere stereotipati viene rappresentato come una minaccia per gli uomini: questo alimenta la “nostalgia” di un “ordine” basato su rapporti di potere e reazioni regressive e violente. Sono spinte pericolose e inaccettabili, fatte proprie in diversi paesi da movimenti, partiti politici e governi, contro la libertà femminile, contro il senso libero della propria differenza sessuale, e la possibilità di un arricchimento generale delle nostre vite.

Vediamo con orrore la concezione della donna che torna in Afghanistan con la rivincita dei Talebani, dopo il fallimento di un’occupazione militare giustificata paternalisticamente come un intervento di uomini occidentali “salvatori” delle donne dall’oppressione di altri uomini.

Consideriamo anche nostra la lotta delle donne in tutti i luoghi del mondo in cui la loro autonomia è negata, e per questo ci impegniamo a contrastare quel perverso intreccio tra cultura della violenza e integralismo religioso che continua a produrre vittime anche nel nostro paese. Questo impegno sarà più credibile se crescerà la voce di noi uomini anche contro la mentalità comune nelle nostre società che produce atteggiamenti misogini e maschilisti. Si pensi alle gravi iniziative che in alcuni stati degli Usa e dell’Europa rimettono in discussione la libera scelta delle donne sulla procreazione, limitando in modo inaccettabile la legislazione sull’aborto. Anche in Italia sappiamo che la legge 194 è attuata solo in parte a causa dell’obiezione di coscienza e di ostilità e inerzia da parte delle istituzioni nazionali e regionali.

Per gli uomini, una più profonda consapevolezza dei propri desideri e una maggiore responsabilizzazione nei propri comportamenti sessuali – anche di fronte alla possibilità e al senso del concepimento – porterebbe fra l’altro ad una paternità più matura.

Ugualmente inaccettabile è la tendenza emersa in alcune nazioni europee a rimettere in discussione i principi della Dichiarazione di Istanbul sulla violenza contro le donne. In Italia la Convenzione di Istanbul non è messa in discussione ma, come la legge 194, non è pienamente applicata.

In molte città si sono sviluppate quest’anno – in vista della giornata internazionale del 25 novembre scorso – iniziative di uomini contro la violenza, legate da un filo comune pur salvaguardando la pluralità di forme e di contenuti. Troviamo insieme le parole per dirlo, e definiamo una mappa di tutte le realtà di uomini che si sono attivate contro la violenza e per un nuovo modo di vivere la maschilità. Promuoviamo un racconto pubblico di queste esperienze, spesso fatte di condivisione intensa delle esperienze personali e che appassionano molti di noi. Non limitiamoci alla facile condanna ma facciamone un’occasione di consapevolezza maschile sulla cultura del controllo e del possesso e su quanto questa chiami in causa tutti noi. Si tratta di ripensare desideri, aspettative, immaginario, rappresentazioni dell’amore, della famiglia, della sessualità e della nostra stessa soggettività. Proponiamo di legare questo filo a una prossima iniziativa pubblica che, partendo dagli interrogativi sulle origini della violenza, affronti tutta la ricca realtà delle relazioni tra uomini e donne, tra e con le persone con differenti orientamenti e identità sessuali e di genere.

Oltre il 25 novembre, quindi, invitiamo a costruire insieme questa occasione di confronto e riflessione comune, fatta di scambio personale e culturale , di ricerca e di studio, di creatività artistica: un appuntamento pubblico e una pratica politica permanente per dare un contributo – non solo una volta all’anno – alla creazione di quella nuova cultura delle relazioni che sola può vincere la violenza e aprire un paesaggio sociale nel quale il conflitto – anch’esso indispensabile alla vita – sia riconosciuto e vissuto per modificarsi e riconoscersi, non per negare e uccidere.

Firmatari
Pietro Buscicchio, Conversano
Massimo Casacchia, L’Aquila
Stefano Ciccone, Roma
Marco Deriu, Parma
Vito Di Leo, Milano
Alberto Leiss, Roma
Giacomo Mambriani, Parma
Domenico Matarozzo, Torino
Giovanni Pugliese, Mantova
Gianluca Ricciato, Aradeo (Le)
Massimiliano Sfregola, Genova
Mario Simoncini, Modena
Fabrizio Bonfiglio, Bologna

Marco Aguzzi, Senigallia
Angelo Albero, Lucca
Daniele Barbieri, Imola
Federico Battistutta, Piacenza
Mauro Benati, Imola
Daniele Bouchard, Pisa
Francesco Cagnola, Lucca
Francesco Caliri, Imola
Maurizio Cardillo, Bologna
Sandro Casanova, Bologna
Mario Castiglioni, Monza
Marco Cazzaniga, Spinea
Umberto Cherubini, Lucca
Rocco Cimmino, Siena
Francesco Cricorian, Lucca
Enrico Del Bianco, Pisa
Simone del Prete, Castel S.Pietro Terme
Filippo Franchi, Siena
Marco Frigerio – Bergamo
Mario Gritti, Brescia
Riccardo Guercio, Pisa
Antonio La Sala, Lucca
Stefano Lastrucci, Colle val d’Elsa
Vittorio Lega, Imola
Massimo Lo Giudice, Pisa
Alessio Miceli, Milano
Ivan Morini, Ravenna
Valeriano Palermo, Imola
Simone Pallavicini, Pisa
Beppe Pavan, Pinerolo
Emanuele Perelli, Lucca
Paolo Piazza, Perugia
Michele Poli, Ferrara
Ermanno Porro, Monza
Antonio Romeo, Montebelluna (TV)
Antonio Ronco, Lucca
Francesco Seminara, Palermo
Franco Tagliaferri, Sesto San Giovanni
Claudio Tognonato, Roma
Tiziano Tosarelli, Castel S.Pietro Terme
Edoardo Vaccaro, Pisa
Marco Vanelli, Lucca
Danilo Villa, Varese

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  • ezio |

    Condivido le riflessioni di Paolucci e mi associo all’invito di uscire dagli stereotipi generalizzanti, costruiti intorno al tema della violenza sulle donne, da combattere e prevenire, ma non su falsi e discutibili presupposti che non portano a nulla, anzi accentuano le incomprensioni e le distanze di genere.
    Un minimo di analisi sociologica dal dopoguerra, ci evidenzia che nel nostro paese sono avvenuti cambiamenti ed evuluzioni significative verso una parità ed un rispetto reciproco dovuto a culture, quella socialista operaia e quella prevalente democratica-cattolica cristiana, che di maschilismo, patriarcato e misoginia non rimangono che tracce in quelle frange nostalgiche di estremismo della destra violenta.
    Poi molto spesso, a scatenare violenze verso la parte debole della coppia, sono situazioni alienanti dove c’é povertà estrema come segnala Paolucci, conflitti di proprietà dei figli minori, esilio forzato del patner maschile dal nucleo famigliare e non ultimi disturbi psicologici della personalità, non trattati ne riconosciuti in entrambi i sessi.

  • Paolo Paolucci |

    Riguardo alla frase “Proponiamo di legare questo filo a una prossima iniziativa pubblica che, partendo dagli interrogativi sulle origini della violenza,”, ma an che ad altre che appellano l’identificativo di “maschio violento”: non sono completamente daccordo con questa visione. Le origini della violenza non sono sempre da stereotipare nella nostra “cronica mancanza” e nelle nostre radici culturarli di maschilismo. Non e’ un buon messaggio (e questo nonostante la disgrazia dei femminicidi raccontata dai numeri) cavalcare queste terminologie: “uomo violento”, “maschilista” perche’ e’ molto inesatto e non efficace nel prevenire le violenze. Le origini della violenza vanno anche cercate nelle dinamiche di difficolta’ economica, di difficolta’ in generale che la coppia si trova ad affrontare: il maschio non nasce violento a prescincere o perche’ “lo ha plasmato cosi’ la cultura del maschilismo”. I presupposti che fanno crescere la spirale delle violenze nascono anche nei problemi che accadono nella vita e come si reagisce ad essi, non solo dallo stampo di educazione dall’infanzia (nessun bambino e’ maschilista). Senza tralasciare che alle volte il maschio si trova nelle difficolta’ di subìre angherie e ricatti dall’altra parte (senza per questo giustificare mai alcun tipo di reazione violenta verso la donna). Ma l’opinione comune questo non lo dice: si preferisce disegnare il maschio in “difetto cronico” di cuiltura, maturita’, educazione, senso dei rapporti verso la Donna.

  • Gloria |

    Condivido puenamente le idee espresse in questo bello e significativo articolo.Una trasformazione culturale e una innovazione ha bisogno di tempo per produrre i cambiamenti ma se gia ci sono le incubazioni è già un passo avanti. La presenza anche degli Uomini ben venga, riduce l’estremismo di genere

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