Le disuguaglianze hanno un impatto sulla salute psicologica di chi le subisce.
Secondo una stima dell’OMS, la quasi totalità delle persone che soffre di disturbi mentali nei paesi a medio-basso reddito non ha accesso ai servizi di cui avrebbe bisogno. E nelle nazioni più ricche, la situazione non migliora di molto.
Appena trascorsa la Giornata Mondiale della Salute Mentale, è doveroso ricordare che la disuguaglianza non è però solamente economica. Lo stigma che ancora colpisce le persone che convivono con un disturbo mentale, influenza anche le opportunità lavorative ed educative. E arriva a coinvolgere la famiglia e gli affetti.
Occuparsi di inclusione non può pertanto prescindere dal interrogarsi sul ruolo che la psiche ha nella gestione della diversità. La salute mentale non ha colore, genere o età. Non ha nemmeno confini netti: non esiste malattia da una parte e benessere dall’altro. È uno spettro nel quale, ad un certo punto, può trovarsi, o meno, una diagnosi.
Sempre l’OMS, ci dice che quasi un miliardo di persone vive con un disturbo mentale. In particolare, si stima che il 3,8% della popolazione globale (280 milioni) soffra di depressione. Malattia che, si prevede, sarà la più diffusa nel 2030. Più delle patologie cardiache e del cancro. Eppure, viene taciuta e nascosta e se ne prendono spesso le distanze. Esattamente come accade con bipolarismo, schizofrenia o disturbi d’ansia.
La tendenza è quella di negare la fragilità psichica. Anche laddove questa interessi momenti di difficoltà o malessere legato a fasi di vita o circostanze. È infatti comune – e umano – non stare bene da un punto di vista psicologico. Mal di testa, mal di schiena, dolori articolari, sono frequenti e tipici in ogni persona. Allo stesso modo, lo sono vissuti emotivi, ansie e difficoltà psichiche. Dei primi si parla, i secondi si tacciono.
Il tutto si complica ulteriormente quando sono accompagnati da una disuguaglianza economica. L’accesso al supporto psicologico o alla psicoterapia è infatti molto spesso vincolato al potere d’acquisto della persona che ne ha bisogno. Lodevole, da questo punto di vista, la recente iniziativa della Francia, che rimborserà le spese delle sedute di psicoterapia a tutti i cittadini, a partire dall’età di tre anni. In maniera simile, si è mossa da tempo la Gran Bretagna, con il programma IAPT (“Improving Access to Psycholological Therapies”). Inaugurata nel 2008, l’iniziativa punta a raggiungere 1,9 milioni di cittadini britannici entro il 2024.
In Italia, manca invece una presenza capillare della psicologia nelle cure primarie e il Sistema Sanitario Nazionale non è attrezzato per far fronte alle esigenze della popolazione. Almeno in questa fase, la salute psicologica resta un diritto di pochi.
In questo contesto diventa importante il ruolo di quelle aziende che si stanno muovendo per offrire servizi di consulenza psicologica alle proprie persone.
I dati emersi nella recente indagine BVA-Doxa sul benessere mentale nelle aziende italiane confermano questa necessità. La ricerca evidenzia infatti che 9 persone su 10 ritiene importante che l’azienda si occupi attivamente della salute psicologica dei propri dipendenti. Un’evidenza coerente con quanto si delinea, ad esempio, negli Stati Uniti. L’ultimo Mind Share Partners’ 2021 Mental Health at Work Report in partnership con Qualtrics and ServiceNow, ci dice che è il 91% a volerlo.
Tornando in Italia, non sorprende dunque che, laddove non presente, il 75% degli intervistati valuti positivamente la messa a disposizione di un servizio di supporto psicologico sul proprio luogo di lavoro. Stare bene psicologicamente, che sia in azienda o al di fuori di essa, è infatti un diritto di tutti. In un mondo diseguale, è pertanto essenziale l’apporto di quelle imprese che supportano le loro persone, dando atto di un preciso impegno verso l’inclusione.