Gli ultimi dati Istat sull’occupazione dicono due cose: 1) nel secondo trimestre del 2021 torna a salire il numero degli occupati (benché quasi tutti a termine, 2) il divario occupazionale di genere non risulta ancora in alcun modo scalfito. Non si registrano infatti sostanziali variazioni rispetto al drammatico crollo dell’occupazione femminile registrato alla fine del 2020 quando sul totale dei posti di lavoro persi il 99% risultarono posti di lavoro persi da donne.
Tutto questo nonostante l’importante scelta di Governo e Parlamento di inserire nel Pnrr una clausola di condizionalità che lega gli investimenti pubblici a una quota di assunzioni tra le donne. D’altra parte i carichi familiari restano al primo posto per le donne (e all’ultimo per gli uomini) tra i motivi della mancata ricerca di lavoro. Un dato che dimostra come la non condivisione delle responsabilità di cura, l’assenza di efficaci ed effettivi investimenti sull’economia della cura, continua ad essere tra le cause fondamentali del gap occupazionale tra donne e uomini. Sembra tuttavia oggi smarrita dal dibattito pubblico e dalle azioni del governo la questione, su cui nei mesi scorsi si sono spese forze politiche, sindacali, associative, reti di donne, della centralità dell’aumento dell’occupazione femminile per la ripresa e il rilancio della crescita sostenibile e innovativa di tutto il Paese. E questo nonostante il peso degli effetti della pandemia che hanno colpito più le donne che gli uomini; nonostante i continui casi di violenza di genere che sono l’estrema manifestazione della disparità che si registra anche sul lavoro, nelle possibilità di carriera, nei salari. Una disparità che incide negativamente sull’indipendenza economica delle donne e quindi sulla possibilità di sottrarsi alla violenza.
Cosa serve allora? Serve ottemperare agli impegni assunti anche a livello internazionale per accrescere l’empowerment femminile, serve promuovere la formazione, la partecipazione e la piena condivisione delle responsabilità tra donne e uomini nella famiglia, come in politica e nelle imprese e serve rilanciare una visione politica di sistema e di lungo periodo che ponga l’aumento dell’occupazione femminile come obiettivo trasversale di tutti gli investimenti e delle azioni pubbliche. Una visione e un piano concreto di azioni che devono essere sottoposte a una valutazione costante ex ante ed ex post delle scelte e dei risultati. Solo così si possono superare stereotipi, cambiare il modello culturale che sta alla base delle diverse forme di discriminazione di genere, aumentare la ricchezza economica del Paese, costruire una società più paritaria e più coesa a partire proprio dagli interventi previsti nel ddl Nannicini-Fedeli per l’equità di genere nel tempo dedicato al lavoro e alla cura dei figli attraverso congedi obbligatori e facoltativi perfettamente egualitari, part-time di coppia agevolato, sgravi contributivi per sostituzioni di maternità e paternità e sostegno alle imprese per ripensare l’organizzazione del lavoro.