Lisette Model e Horst P. Horst, due visioni a confronto

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Lisette Model, Fashion Show, Hotel Pierre, New York, 1940-1946, Courtesy mc2 Gallery © 2020 Estate of Lisette Model, National Gallery of Canada, Ottawa

Lisette Model e Horst P. Horst: è un incrocio affascinante fra due star della fotografia del ‘900 quello che va in scena a Camera, il Centro Italiano per la fotografia di Torino, fino al prossimo 18 luglio (ma si parla di una proroga).

Lingua e cultura tedesca, soggiorno di formazione a Parigi e infine nuova vita americana accomunano Lisette e Horst, eppure resta difficile trovare due personalità artistiche più distanti, la cui eterogeneità di stili e visioni del mondo rappresenta in modo plastico l’inesauribile ricchezza della fotografia, strumento di indagine e ri-creazione del mondo.

Nata a Vienna nel 1901 da padre austriaco di origine ebraica e madre francese, Lisette Model (nata Élise Stern: Model è il cognome del marito, pittore russo conosciuto a Parigi) cresce in una famiglia agiata, coltivando come interesse principale la musica, che studia con Arnold Schönberg. A seguito della morte del padre la famiglia si trasferisce in Francia, Lisette studia arte e, a inizio anni ’30, decide di dedicarsi alla fotografia: la sua maestra a Parigi è la fotografa ungherese Rogi André, prima moglie del grande Kertész.

Durante un soggiorno a Nizza nel ‘34 presso la madre e la sorella, inizia la serie che segna il suo ingresso da protagonista nella fotografia: le immagini di Promenade des Anglais, il celebre lungomare nizzardo, raccontano i dorati soggiorni dell’oziosa borghesia francese che sverna al sole della Costa Azzurra, guardando con annoiata alterigia questa giovane bizzarra armata di una Rolleiflex. Il servizio, pubblicato sulla rivista comunista “Regards” e qualche anno dopo sull’americana “PM’s Weekly”, rivela l’inconfondibile sguardo della Model: nervoso, soggettivo, idiosincratico, attento a cogliere le smorfie, gli ammicchi, i difetti fisici, le scompostezze di un’umanità non in posa. È il genere della street photography cui si manterrà sempre fedele, perché “la fotocamera è un mezzo di rilevamento: non mostra solo ciò che già sappiamo, ma consente di esplorare nuovi aspetti di un mondo in continua evoluzione.

Nubi di guerra si addensano sull’Europa: lasciata da tempo un’Austria irrespirabile, Lisette e il marito Evsa nel 1938 partono per New York, pellegrini di quella grande diaspora che ha dissanguato il vecchio continente, spostando il baricentro della cultura mondiale dall’Europa agli Stati Uniti. Le difficoltà d’integrazione e i problemi economici non offuscano l’inconfondibile sguardo della Model, che non si limita a osservare con piglio irriverente e caricaturale i cittadini della grande metropoli, ma magistralmente intuisce e mette in scena la modernità della metropoli statunitense.

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Lisette Model, Reflections, New York, c.1939-1945, Courtesy mc2 Gallery © 2020 Estate of Lisette Model, National Gallery of Canada, Ottawa

Due splendide serie fotografiche costituiscono infatti veri ritratti di New York: le rivoluzionarie foto di Reflections hanno per protagonista il riflettersi caotico, multiforme e incessante di grattacieli, passanti, abiti, autobus, merci, scritte pubblicitarie nelle vetrine dei negozi e locali, che diventano specchi e fantasmagorie visive, abolendo il confine tra interno ed esterno, tra realtà e immagine, rivelando la natura mediatica e ridondante della metropoli moderna. Non credo di esagerare nel dire che queste immagini anticipano la pop art che si affermerà dagli anni ’50. La seconda serie, Runnings Legs, osserva la città dal livello, appunto, delle gambe: la vita newyorchese è corsa, il suo ritmo frenetico non permette di soffermarsi e osservare con attenzione, la realtà si lascia cogliere a frammenti, con la coda dell’occhio, nel rapido sbattere delle palpebre.

Lisette coltiva comunque la sua inconfondibile espressività antiglamour, con una fotografia profondamente teatrale nel fitto incrocio di sguardi con cui cattura dei suoi soggetti le pose caricate e scomposte, la fisicità ingombrante, il sottile fastidio di chi non si sente a proprio agio: la vita è imperfezione, che la lente fotografica mette impietosamente a nudo. Non a caso Lisette non sopporta le stampe troppo perfette: le sue sono contrastate, con particolari sfocati, spesso da lei ritagliate e ingrandite in camera oscura per esasperare la focalizzazione sulle persone, quasi imprigionate dai bordi dell’inquadratura, come dovessero fuoriuscirne e caderci addosso, perché chi osserva le foto di Lisette non deve sentirsi mai al sicuro, ma sempre parte in causa.

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Lisette Model, Woman with veil, San Francisco, 1949, Collezione Ettore Molinario / Courtesy mc2 Gallery © 2020 Estate of Lisette Model, National Gallery of Canada, Ottawa

Negli anni americani la Model si dedica in modo via via più intenso all’insegnamento, trascurando la sua ricerca fotografica (numerosi progetti avviati non sono portati a compimento), infatti mai confluita, lei viva, in una pubblicazione riassuntiva. Tra i suoi numerosi allievi basti ricordare un solo nome: Diane Arbus, da lei molto amata.

Nemmeno le numerosissime foto dedicate a uno dei suoi grandi amori, quintessenza dell’anima americana, il jazz sfoceranno nel libro che aveva in animo; ciò nonostante le istantanee riprese nei fumosi locali che Lisette frequentava con il marito, immersa tra un’umanità variopinta e ricca di contrasti, formano il dissonante racconto di un anarchico spettacolo popolare, nel quale colto e plebeo, musica e vita si impastano con il sudore e il fumo delle sigarette e pare di sentire risuonare davvero la tromba di Louis Armstrong o i fraseggi armonici di Ella Fitzgerald.

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Lisette Model, Louis Armstrong, c.1948-1949, Courtesy Galerie Baudoin Lebon © 2020 Estate of Lisette Model, National Gallery of Canada, Ottawa

Horst P. Horst nasce in Sassonia nel 1906 in una benestante famiglia, frequenta ottime scuole, ma ben presto l’ambiente familiare si rivela soffocante: alla fine degli anni ’20 taglia i ponti con la famiglia e si trasferisce a Parigi, immergendosi nell’ambiente della bohème artistica della capitale. Qui incontra il suo mentore, l’aristocratico russo George Hoyningen-Huene, capo fotografo di “Vogue” Francia: la storia tra i due apre al nostro le porte dei circoli più esclusivi e lo introduce ai segreti della fotografia di moda.

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Horst P. Horst. Coco Chanel, Paris, 1937, Courtesy Paci contemporary gallery. © Horst Estate/ Condé Nast

Il giovane Horst rivela da subito il suo talento, imparando a governare da grande regista tutti gli elementi presenti sul complesso set della fotografia di moda: scenografia, arredi, posa ed espressione delle modelle e, ovviamente, lo strumento principe, la luce. Coco Chanel e Marlene Dietrich, Bette Davis ed Elsa Schiaparelli, Salvador Dalì e Jean Cocteau, aristocratici, politici, facoltose ereditiere come Gloria Vanderbilt e affascinanti modelle come Lisa Fonssagrives (il prototipo delle supermodelle) passano davanti al suo obiettivo. Quando nel 1935 Hoyningen-Heune rompe i rapporti con “Vogue”, Horst prende il suo posto, affermandosi come una delle grandi star della fashion photography grazie a immagini in cui la genialità dell’invenzione si sposa a un innato senso della composizione, sul filo di un equilibrio sottile e ammaliante, dove suggestioni dell’arte classica e motivi orientali convivono con le atmosfere sospese e stranianti del Surrealismo, ma, dote che contraddistingue solo i grandi autori, ogni foto è inconfondibilmente Horst.

Basti come esempio una delle immagini più celebri della storia della fotografia, la modella con il corsetto Mainbocher: una foto perfetta, un contrappunto musicale tra la luce intensa sul bianco di stoffa, parapetto ed epidermide di Madame Bernon e le ombre avvolgenti che scolpiscono come un torso classico la schiena della protagonista e riempiono il fondo e la parte bassa della composizione, pervasa da una malinconia insinuante che promana dalla geniale invenzione del nastro abbandonato e dal volto nascosto.

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Horst P. Horst. Madame Bernon, corset by Detolle for Mainbocher, Paris, 1939, Courtesy Paci contemporary gallery © Horst Estate/ Condé Nast

Horst racconterà che il velo di tristezza della foto, datata 1939, è dovuto all’imminente abbandono dell’amata Parigi: anche Horst, come la Model, riparerà in America, dove prenderà la cittadinanza statunitense e assumerà il nome di Horst P. Horst, abbandonando il cognome familiare Bohrmann, quasi identico a quello del gerarca nazista Martin Bormann.

Negli Stati Uniti Horst e un altro transfuga europeo, Erwin Blumenfeld, attraverso i servizi e le copertine rispettivamente di “Vogue” e “Harper’s Bazaar” imporrano il proprio gusto, dominando nel corso degli anni ‘40 e ‘50 la fotografia di moda internazionale. Horst inizia a lavorare con la fotografia a colori, portandola a un livello di qualità prima sconosciuto; sul piano personale, nel 1947 incomincia una relazione con il diplomatico inglese Valentine Lawford: i due convivranno per tutto il resto della vita nella famosa casa di Horst a Oyster Bay, realizzando assieme diversi reportage di viaggio.

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Horst P. Horst. Andy Warhol in his “Factory”, NYC, 1983, Courtesy Horst Estate © Horst Estate/ Condé Nast

Particolarmente con l’avvento a “Vogue” della leggendaria fashion editor Diana Vreeland (1963), Horst si dedicherà infatti sempre più spesso a servizi in giro per il mondo, raccontando la vita e le dimore dei protagonisti del jet set internazionale e inizierà la collaborazione con un’altra celebre rivista dello stesso editore Condé Nast “House and Garden”. I nuovi soggetti determinano una profonda evoluzione nel linguaggio: Horst accetta, a più di 50 anni, di rimettersi in gioco, esce dallo studio di posa dove controllava ogni dettaglio, e impara a sfruttare magistralmente la luce naturale per raffigurare le persone nel loro ambiente, soffermandosi come i grandi pittori barocchi sugli interni delle case – stanze, dettagli d’arredo, decori, suppellettili, quadri, tappeti, fiori – i giardini e i parchi, raccontando vita e abitudini degli happy few, celebrati dalle grandi riviste dell’epoca come prototipi di stile ed eleganza per il nuovo pubblico della società di massa.

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Horst P. Horst. Round the clock, 1987, Courtesy Paci contemporary gallery © Horst Estate/ Condé Nast

A conferma di un’inesausta creatività, la mostra di Camera si chiude con alcune foto, nuovamente in bianco e nero, del 1987, nel quale un ottantenne Horst sembra tornare sulle orme della propria giovinezza, con una qualità e modernità di sguardo da lasciare stupefatti.

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