Due milioni di euro. Anzi, per la precisione 2.056.600 di euro (di cui 834.100 euro la quota fissa e 1.222.500 la quota variabile). Si tratta dello stipendio medio di un top manager delle big dell’industria e dei servizi italiane quotate sul Ftse Mib nel 2020. Naturalmente lordi. Il dato emerge dall’analisi dell’area studi di Mediobanca, secondo la quale il monte compensi delle figure apicali delle 27 società considerate nel report è calato del 17% (da 123,8 a 102,5 milioni di euro) rispetto all’anno precedente. D’altra parte lo scorso anno le stesse aziende hanno dovuto registrare una perdita netta di quasi 1,5 miliardi di euro rispetto all’utile di 12,8 miliardi di euro del 2019, a fronte di ricavi scesi del 18,6% (vale a dire di oltre 75 miliardi di euro). E’ anche vero però che dall’indagine sono escluse banche, assicurazioni e società di servizi finanziari.
Ma torniamo allo stipendio dei manager. Mediobanca sottolinea che lo stipendio medio di un top manager è “oltre 36 volte il costo medio del lavoro (56.900 euro)” e occorrono quindi “36 anni a un lavoratore medio per guadagnare quanto un suo apicale nel 2020“.
Un dato che, comunque, non sorprende. Basti pensare che secondo uno studio apparso dell’Economic Policy Institute dal 1978 al 2019 le remunerazioni dei ceo risultano cresciute del 940% contro un ben più modesto +12% dei salari dei lavoratori nello stesso arco di tempo. In quel caso la retribuzione media degli amministratori delegati delle prime 350 aziende quotate negli Stati Uniti nel 2018 era stata di 17,2 milioni di dollari (o 14 milioni di dollari utilizzando una misura più conservativa della parte rappresentata dalle stock option). La tendenza al divario fra retribuzione dei ceo e dei lavoratori era già emersa nell’arco di tempo tra il 1965 e il 1989, quando si era passati da 20 a 58 volte, per poi arrivare a 121 volte nel 1995 e toccare il picco di 368 volte nel 2000. L’ulytima rilevazione dello studio è del 2018 e dà una stima di 278 volte.
Il compenso medio delle figure di comando cresce comunque con la capitalizzazione delle società gestite: vale a dire che più grande è il valore della società e più alta è la remunerazione dei suoi manager. Si va da un minimo di 1,22 miliardi per gli apicali di società con capitalizzazione inferiore ai 5 miliardi fino ai 5,1 milioni di remunerazione per gli apicali di società con capitalizzazione maggiore di 20 miliardi di euro.
Chi siede nei cda?
Che i borad non siano un posto per giovani in Italia non è una novità e i dati di Mediobanca confermano il trend storico. Nel 2021 è di sessant’anni l’età media degli apicali nei cda delle 27 società esaminate. Restano pochi gli stranieri “in campo”: solo il 14% delle posizioni di comando è infatti ricoperto da manager di altre nazionalità.
Se si guarda alla componente femminile dei board, la media di età si abbassa a 54,9 anni, ma le loro posizioni chiave sono solo 10% del totale. Poche e meno retribuite, si potrebbe riassumere così dal momento che in quanto a “stipendi” anche a livelli apicali permane una disparità di genere. Se, infatti, a ricoprire la carica di presidente è una donne, la remunerazione media è inferiore del 16,8% a quella di un presidente.
In questo caso il trend non viene confermato con quel che succede all’estero. In particolare uno studio di Hill, Upadhyay e Beekun aveva messo in luce come le poche donne ceo alla guida di società quotate americane guadagnassero in media più dei colleghi. Il calcolo aveva sottolineato che la differenza era del 6% circa. Studio che però nel 2018 venne contestato da una pubblicazione dell’Harvard Law School Forum on Corporate Governance, che metteva in evidenza altri fattori.
Resta il fatto che in Italia che si sia dipendenti, manager o libere professioniste il gap salariale di genere è purtroppo una realtà.