Disabilità, nasce la Palestra dei fighters. Anche lo sport online deve essere per tutti

Ph. Credits: Charles Ommanney

Ph. Credits: Charles Ommanney

Muoversi è autonomia e vita, lo è tanto di più per chi alla nascita ha ascoltato una sentenza senza scampo ‘signora mia, questo bambino sarà un vegetale, non camminerà mai’. Praticare uno sport adattato quando si ha un impedimento motorio vuol dire anche riabilitarsi, vuol dire ridurre le barriere che rappresentano il disequilibrio tra la persona con disabilità e l’ambiente”. Eccolo, raccontato da una delle promotrici Francesca Fedeli, il punto di partenza per il progetto della Palestra dei fighters, un canale di allenamento online disegnato da FTS in collaborazione con i fondatori di Fightthestroke, e da una rete di famiglie e professionisti che conoscono e vivono tutti i giorni le esigenze delle persone con disabilità.

Si tratta di una palestra virtuale per tutte le persone con disabilità permanente o temporanea, di ogni età che coglie i trend emergenti della ‘Digital-enabled fitness’ e delle comunità online che si ritrovano per allenarsi da casa e che mette in pratica le evidenze scientifiche sull’esercizio motorio per le persone con disabilità: un trattamento individualizzato ed adattato può rappresentare un’alternativa valida e complementare alle attività sul territorio, di cui spesso non si riesce a usufruire.

Insomma, se il Covid ci lascia una buona eredità è sicuramente quella di servizi online altamente qualificati, che nella nuova normalità si alterneranno a quelli in presenza. Il progetto mette al centro l’importanza dell’attività sportiva: secondo l’Istat solo l’8,5% delle persone con disabilità in Italia pratica un’attività sportiva in maniera continuativa e l’emergenza Covid non ha alterato le abitudini di vita quotidiana o le ha peggiorate, a causa dell’interruzione forzata di molti servizi, che sono stati considerati differibili.

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Arjola Trimi

Arjola Trimi: lo sport è inclusività, fondamentale che sia accessibile

E quello della pandemia è un pesante passo indietro che andrà recuperato e non solo perché fare sport fa bene al corpo. Arjola Trimi, campionessa italiana di nuoto paralimpico, è reduce proprio in questi giorni da due nuovi record europei, nei 50 e nei 100 stile libero, ma trova sempre il tempo di parlare dello sport e dell’importanza che sia accessibile a tutti.  “Lo sport è innanzi tutto uno strumento di inclusività e il fatto che tutti possano accedere in modo uguale è fondamentale“, ci dice al telefono.

Per la campionessa mondiale, 9 volte campionessa europea, lo sport è una scuola a tutto tondo: “Praticare sport dà la possibilità di superare le difficoltà in un modo che poche altre cose insegnano. Per me è stata una grande fortuna fin da piccola: lo sport insegna a mettersi in gioco sempre, a rialzarsi sempre, a comprendere i tuoi limiti che è l’unico modo per andare oltre, a maggior ragione quando hai una disabilità. Lo sport ti aiuta a capirlo e questa esperienza la porti nella vita di tutti i giorni“.

Un’esperienza che va fatta soprattutto nei primi annidi vita, con i bambini della scuola dell’infanzia e delle elementari, perché è lì che si educa al valore delle differenze: “Una insegnante che aveva in classe un bimbo disabile mi raccontava che ha insegnato a tutti a giocare a sitting volley e per loro è stata una bellissima esperienza da poter fare tutti insieme: muovendosi in modo diverso, adattando, si può fare lo stesso sport. Le differenze vissute, soprattutto nei primi anni di vita, diventano qualcosa di prezioso e non da giudicare come negativo. Ognuno di noi è diverso a modo suo, ma la diversità non è una malattia“, dice Arjola Trimi.

Da campionessa, Arjola sottolinea che ancora non si parla abbastanza di sport paralimpico: “Tanti paesi affiancano al campione olimpico quello paralimpico, per far capire che c’è uguaglianza nell’impegno, negli sforzi e nella fatica, nonostante le differenze fisiche. E questo serve moltissimo, perché si possa capire che dietro a un problema, certo con la sofferenza, il dolore e la fatica che non ci dobbiamo nascondere, ci può essere anche una grande soddisfazione“. Il messaggio è che conoscendo i limiti che la disabilità ci pone davanti, possiamo comunque trovare la nostra strada da percorrere, una strada che ci piaccia e ci dia soddisfazioni. “Non è tutto bello e facile, questo no – dice con forza la campionessa – ma c’è una normalita anche nella disabilità, è la nostra normalità e può portare a grandissime soddisfazioni“. Certo, mancano le strutture, l’assistenza, molto c’è da fare: “Sarebbe importante – dice ancora – che ci fosse un’assistenza, un accompagnamento per esempio dopo un incidente già nelle prime fasi, subito, in ospedale. Insieme al percorso riabilitativo dovrebbe essere sempre previsto il percorso sportivo: questo aiuterebbe a mostrare la strada da seguire“.

Ph. Credits: Charles Ommanney

Ph. Credits: Charles Ommanney

Ecco perché ci vuole la palestra online

“Che peccato che ci abbiano dato solo due ore di fisioterapia alla settimana nel momento in cui ne avremmo più bisogno“, “Che peccato non poter partecipare a quel corso di avviamento allo sport paralimpico perché troppo lontano da casa“: sono queste le frasi che ha sentito risuonare troppo spesso nei suoi 10 anni nel mondo della riabilitazione per le persone con disabilità Francesca Fedeli, co-fondatrice insieme a Roberto D’Angelo di FightTheStroke.org, che supporta la causa dei giovani sopravvissuti all’ictus e con paralisi cerebrale infantile, come il loro piccolo Mario.

Abbiamo voluto riunire in uno stesso ambiente virtuale le competenze che abbiamo visto crescere negli anni delle attività della Fondazione Fightthestroke sul campo – racconta Francesca Fedeli – in un circolo virtuoso in cui tutti guadagnano: le famiglie che hanno tariffe democratiche e accesso a competenze specialistiche al di là delle barriere geografiche, le persone con disabilità che hanno maggiore confidenza d’uso con le tecnologie abilitanti, le professioniste imprenditrici che vedono il loro lavoro remunerato”.

Il team, infatti, è tutto al femminile: “In Italia c’è una forte prevalenza della forza lavoro femminile nel mondo della cura alle persone, in una struttura ancora troppo spesso piramidale, in cui il responsabile dell’equipe è un medico uomo, le opportunità di crescita verticale sono rare e l’emergenza covid-19 ha fatto riemergere il fenomeno del precariato”, dice Francesca Fedeli. Alla luce di questo e del momento attuale, la scelta è stata quella di “selezionare le eccellenze di ogni professione per offrire un esempio di nuovo modello di business da imitare: imprenditoria femminile e occupazione giovanile, ma anche innovazione nella fruizione del servizio e nell’introduzione di discipline poco note (come il para-taekwondo), costi di avviamento limitati e sostenibilità ricercata sul mercato“.

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  • gloria |

    Dirigente Psicologa, bellissimo articolo lo condivido pienamente , la cultura del disabile da avere vergogna e da nascondere , che ancora persiste, deve cedere il passo ad una concenzione con la tecnologia che abbiamo a disposizione. Il cambiamento culturale e sociale è il sostrato dell’innovazione e apporta concenzioni e approcci diversi in questo sistema sanitario che a volte appare ancora arretrato.

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