Che cosa c’è dentro a un CV? E’ un bel paradosso che si chiami curriculum vitae, letteralmente “carriera della vita”, quando sembra avere spazio solo per il nostro lavoro e non certo per la nostra vita. Lo dimostra la sua più potente traduzione online: Linkedin. Linkedin ospita 766 milioni di curriculum vitae, ma fino ad oggi sembra aver considerato gli eventi della vita come una mancanza, un “vuoto”. Non è infatti possibile qualificare nel proprio profilo Linkedin un’esperienza che non sia collegata a un’azienda o comunque a un aspetto lavorativo: il meglio che il menu a tendina delle professioni mette a disposizione è “casalinga”, proprio come il più antiquato sportello comunale.
Se però l’assenza dal mondo del lavoro è prodotta da qualcosa di diverso dalla casalinghitudine, su Linkedin resti letteralmente senza parole: per alcuni anni risulti indefinibile. E’ stato così fino all’annuncio di questa settimana: nell’ambito di uno sforzo ben più ampio per cercare di restare attuale nel definire mestieri in continuo cambiamento, Linkedin raccoglie la sfida di un passato ancora molto presente e inaugura la stagione degli “iato”. Metterà quindi a disposizione dei suoi utenti ben dieci definizioni tra cui scegliere per qualificare i periodi di… assenza, vuoto, interruzione? Insomma, eventi come una maternità, una malattia, un sabbatico, un lutto, un congedo familiare. Anomalie, imprevisti, incursioni della vita nel flusso lineare di una carriera, “salti” che restano inqualificabili a livello narrativo perché afferiscono a un universo che si vorrebbe parallelo, e che invece inevitabilmente interseca e si intreccia con quello lavorativo, perché separare le nostre identità non è più possibile da molto prima che diventassero visibili attraverso il monitor di una riunione via Zoom.
Quello passato è stato un anno di condanna alla continuità, generata dalla difficoltà di determinare un “altro” rispetto al lavoro – alzi la mano chi non si è sentito almeno una volta come un criceto sulla ruota: mi alzo, mi collego, lavoro, mangio, vado a dormire, mi alzo, mi collego, lavoro… – ed è successo proprio perché non abbiamo avuto la possibilità della discontinuità, delle linee di confine tra lavoro e vita definite dagli spazi, le distanze, le alternative. Abbiamo avuto quindi un eccesso di “pieno”, e forse per la prima volta guardiamo anche al vuoto in modo diverso: l’evento di non esserci, di essere altrove, di fare (o subire) altre scelte e continuare comunque a “esserci”, pur producendo qualcosa di meno misurabile, forse, di meno standard, ma comunque di economico, di funzionale alla sopravvivenza “della casa” (ricordiamoci che economia vuol dire “organizzazione della casa”).
Esistiamo, dunque, anche al di fuori delle definizioni di un CV? E di conseguenza, come dice nel suo articolo su BetterMarketing Heather Bolen, la madre che su Linkedin si definisce “Chief of Operations” della sua famiglia e che ha dato il via alla piccola rivoluzione linkediniana, siamo costretti a fare delle gran giravolte per continuare a definirci, a sentirci rappresentati, anche quando apparteniamo a quella maggioranza di persone che per certi standard del vecchio ventesimo secolo sono ancora anomale? Tipo le madri, i caregiver, le persone con patologie, i padri che prendono un congedo, chi sceglie semplicemente di ripensarsi o di fare del volontariato, chi dedica del tempo a non frequentare una scuola, un corso, un’azienda, una professione precisa?
La chiamiamo pausa, ma da cosa? Il tempo anche per queste persone continua a scorrere: le esperienze si accumulano, le competenze si sviluppano, la vita progredisce e si arricchisce di dimensioni. Proprio un’utente di Linkedin, Masia Maria Gisa, qualche giorno fa lo ha chiamato “buco nel CV”. Ha detto, nel suo post che ha ricevuto in un batter d’occhio quasi 10.000 like e 400 commenti:
Ho un buco nel cv.
All’inizio della pandemia sono stata licenziata negli ultimi tre giorni del periodo di prova. Avevo investito molto in quella che sembrava un’occasione unica e che mi ha portato a rifiutare altri lavori e trasferirmi in un’altra città.
Un problema ancora più grave era scoppiato, mio fratello si era gravemente ammalato.
In una settimana ho richiuso i pacchi aperti sei mesi prima, lasciato casa, caricato la macchina di preghiere e oggetti e l’ho raggiunto mentre l’Italia si chiudeva. Ho passato otto mesi a gestire una situazione molto dolorosa con la consapevolezza che forse quel tempo “non lavorativo” sarebbe stato molto prezioso perché purtroppo irripetibile. Tra le mille visite, le corse agli ospedali, le paure e molto altro, non ho mai smesso di cercare lavoro. Nei pochi – dato il momento- colloqui non ho mai raccontato la mia storia nonostante le competenze che stavo sviluppando fossero tante. La flessibilità, la capacità di gestire le emozioni, lo studio incessante per trovare la soluzione migliore.
Ho un buco nel cv.
E’ un buco che viene interrogato con sospetto e pregiudizio e che racconto solo ora che ho ritrovato lavoro affinché voi, che vi trovate davanti ad un buco, possiate guardarci dentro senza troppa paura di scegliere il candidato “sbagliato”.
Nei commenti al post di Maria ci sono altre 400 storie: tutti i nostri “buchi”, tutta l’essenza delle nostre vite. Tutti i momenti e gli eventi che il menu a tendina di un CV non riuscirà mai a classificare, che poi sono quelli che ci fanno crescere, dubitare, imparare e scegliere ancora, magari in modo diverso, oppure rafforzando le scelte già fatte. Fuori dal nostro CV, fino ad oggi, era rimasta la vita. La potenza di una scelta come quella di Linkedin sta proprio nel mettere a disposizione una nuova forma per una sostanza che era già lì, facendo evolvere in un colpo solo la percezione di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo. Mai come oggi, infatti, la sostanza non può cambiare se prima non cambia la forma che la contiene e la racconta, permettendole di esistere.
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