Bambini e adolescenti online, i segnali di disagio e gli interventi necessari

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Negli ultimi anni, il rapporto dei bambini e degli adolescenti con smartphone, pc, tablet e videogiochi è stato indagato estensivamente: abbiamo raccolto dati, li abbiamo interrogati in lungo e in largo, domandandoci da quale età, per quanto tempo, per quale utilizzo queste tecnologie fossero appropriate in età evolutiva.

Accanto alle innumerevoli potenzialità, le ricerche si sono concentrate sui rischi di tipo psicopatologico (come dipendenze e hikikomori) o riconducibili a specifiche situazioni online (tra le altre, cyberbullismo, sexting, adescamento, pedofilia). E’ stato anche studiato l’impatto che un utilizzo eccessivo degli smartphone da parte dei genitori possa avere sulla crescita dei figli, in particolare, sullo sviluppo di capacità di comprensione della mente dell’altro ed empatia.

Con il COVID-19, le tecnologie hanno invaso le nostre vite, come una valanga inarrestabile, mentre le possibilità della vita “offline” si assottigliavano, restringendosi drammaticamente. Nell’epoca dominata dalla parola “distanziamento”, grazie a pc, smartphone e tablet abbiamo potuto lavorare e studiare, socializzare, coltivare amicizie e amori, scoprire interessi, sviluppare nuove abilità e giocare. Sono aumentate, anche nei bambini, la confidenza con lo strumento, le capacità di gestione, la diversificazione degli utilizzi. Tutte cose belle. Accelerazioni utili.

Sappiamo però che l’online – un certo stare online – tende ad essere buco nero che avvolge e ingloba, imprigionando in un gioco di rimandi e scrolling infiniti. I social sono programmati per catturare la nostra attenzione, proprio come una slot machine, trattenendoci ben oltre il necessario. Soprattutto i bambini non hanno un “sistema immunitario” sufficientemente forte per difendersi da questi ambienti, dalle sollecitazioni e dalle ricompense che offrono, agendo sul sistema dopaminergico.

Quale effetto sta avendo e potrà avere dunque questo aumento del tempo trascorso online nei bambini e negli adolescenti in questo periodo di pandemia? I primi studi dalla Cina mostrano un’associazione tra maggiore esposizione ai social media e difficoltà psicologiche quali ansia e depressione.

Un recente documento della Kaiser Family Foundation ha sottolineato come, a causa della pandemia, gli adolescenti siano maggiormente esposti ai rischi dell’isolamento e possano essere meno presenti e coinvolti in ciò che li circonda. Un’interazione prolungata con le tecnologie può rinforzare l’utilizzo di strategie di gestione delle emozioni basate sull’evitamento e sulla disconnessione da ciò che sento e che provo (ad esempio, dalla noia). Crescono disattenzione, demotivazione e sedentarietà. Alcuni adolescenti, limitati nella possibilità di sperimentare la propria autonomia e avvicinare gli altri anche attraverso il corpo, possono sentirsi demotivati e privi di energie. Altri possono manifestare disinteresse per lo studio: per molti studenti, l’aula, la presenza fisica dell’insegnante e del suo sguardo, l’interazione con i compagni, favoriscono il coinvolgimento e la partecipazione, creano un terreno fertile per la concentrazione e l’apprendimento, non solo in età infantile o durante il primo anno di un ciclo scolastico.

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Altri ancora possono disabituarsi alla presenza fisica dell’altro e all’incontro. Alcune famiglie si trovano oggi ad affrontare ansie e difficoltà dei figli a riprendere con la scuola in presenza dopo mesi di DAD: paura delle interrogazioni davanti agli insegnanti e del giudizio dei compagni, timore di ammalarsi e rabbia verso chi non rispetta le misure di sicurezza. Con il ritorno alle consuete occasioni di socializzazione, molti bambini e adolescenti saranno entusiasti, ma possiamo aspettarci che alcuni sviluppino sintomi di ansia sociale.

Cosa possono fare gli adulti in questo momento? Finalmente usciti dalla sterile domanda di un tempo (“Tecnologie sì, tecnologie no?”) e da cicliche ondate di panico, oggi è opportuno chiedersi come possiamo valorizzare ciò che le tecnologie fanno per noi, arginando i possibili rischi.

Innanzitutto è indispensabile osservare. Cosa cattura e a volte imprigiona l’attenzione dei ragazzi? Quale app o gioco usano? Si tratta di una fruizione passiva o attiva? Sono soli o con qualcuno? Ascoltano musica, giocano, mantengono vive le relazioni, fanno i compiti insieme, seguono un podcast, fanno ricerche? O scrollano tutto il tempo sui social per combattere la noia, muovendosi in direzioni che non hanno scelto? Dobbiamo dunque mettere da parte la domanda “per quanto tempo” e concentrarci su “cosa” fanno online.

E come stanno? Non riescono a staccarsi, sono demotivati, sembra che nulla li interessi, sono irritabili, hanno difficoltà nel sonno, ansia di riprendere la scuola o di incontrare gli altri? La situazione merita comprensione: non punizioni o rimproveri, e neppure semplicistiche accuse rivolte alle tecnologie o drastiche decisioni. Questo periodo si affronta osservando e concedendosi del tempo per capire.

Laddove l’utilizzo di smartphone, tablet e console sia prolungato, per lo più passivo e con poche interazioni, è indispensabile aiutare bambini e adolescenti a fare delle pause per essere attivi, mantenendo obiettivi di connessione e socializzazione al di là degli schermi. Sebbene solitudine e depressione siano particolarmente frequenti negli adolescenti che trascorrono un tempo maggiore sui social media, la frequentazione di amici, le attività in famiglia e il movimento fisico contribuiscono ad un maggiore benessere.

Non dobbiamo credere, comunque, che gli adolescenti siano sempre impreparati o naif nell’approccio alle tecnologie: molti, infatti, non solo sono reattivi di fronte a fenomeni quali hate speech o cyberbullismo, ma hanno anche sviluppato buone strategie per gestire il tempo e il proprio benessere, introducendo delle pause, modificando le impostazioni dello smartphone, o evitando determinate piattaforme/app. Piuttosto, può essere utile aiutarli a mentalizzare, come direbbe Peter Fonagy, ossia a guardare dalla giusta distanza quanto accade online, a non farsi travolgere dalla pressione a rispondere immediatamente ad ogni messaggio ricevuto, o dall’angoscia se un post non raggiunge un elevato numero di like.

Rispetto agli anni precedenti, sembra inoltre essere cresciuto un utilizzo positivo dei social media, per esprimere emozioni, condividere, incontrarsi, cercare supporto in caso di difficoltà psicologiche.

Da quanto stiamo dicendo risulta evidente come l’impatto delle tecnologie non possa mai essere valutato in astratto ma in base alla vulnerabilità del soggetto in questione, al contesto in cui vive, al particolare momento della crescita che sta attraversando. In uno studio appena pubblicato su Nature un uso passivo dei social si associa ad effetti dannosi a livello emotivo nel 10% degli adolescenti; un altro studio mostra invece come i social abbiano aiutato molti adolescenti in quarantena ad affrontare ansia e solitudine. L’età, preesistenti problematiche psicologiche, ma anche caratteristiche del contesto familiare e difficoltà incontrate durante questo periodo di pandemia, influenzano il tipo di utilizzo e l’impatto delle tecnologie sul benessere mentale. Difficile isolare questo impatto, separandolo dalla moltitudine di stress legati al Covid-19, dai lutti alla crisi economica. Negli studi di psicoterapia si incontrano dunque sia studenti che con l’introduzione della DAD e grazie ad un maggior tempo trascorso in famiglia hanno potuto osservare miglioramenti nei propri livelli di ansia, sia adolescenti che di fronte a situazioni domestiche problematiche si sono ripiegati sullo schermo dello smartphone, in fuga dalla realtà circostante.

Venendo al tema della sicurezza online, resta valida la regola di sempre: attenersi alla norma ed evitare di consentire ad un bambino l’accesso a social pensati per maggiori di 14 anni, utilizzando con leggerezza l’account e l’indirizzo mail di un adulto. Il maggior utilizzo delle tecnologie si è tradotto infatti in un imponente aumento dei reati online: Nunzia Ciardi, direttore della Polizia postale, ha comunicato nei giorni scorsi che il numero di persone indagate per reati contro i minori nel 2020 ha visto una crescita del 93% rispetto al 2019. Nello stesso anno, adescamento e pedopornografia sono cresciuti del 132%.

In conclusione, il benessere di bambini e adolescenti nel rapporto con le tecnologie non dipende solo da quanto avviene online, né può essere affidato unicamente alla consapevolezza degli adolescenti o alle strategie di controllo dei genitori. La sfida che famiglia, scuola, governi, aziende tecnologiche hanno di fronte è duplice: da un lato, rendere il web un luogo più sicuro e favorire l’accesso di bambini e adolescenti alle migliori possibilità per socializzare, esprimersi, apprendere ed essere creativi online (occasioni che possono essere sviluppate solo se l’attenzione per la salute psicologica entrerà davvero nella riflessione sulle tecnologie, non a valle ma a monte). Dall’altro, soprattutto in questo periodo storico, garantire a bambini e adolescenti un migliore equilibrio tra tempo davanti allo schermo e occasioni per rimettere i corpi in movimento: a scuola, nei luoghi di socializzazione, nei contesti sportivi, culturali e all’aria aperta. Perché, parafrasando Emil Cioran, di nessuno come di bambini e adolescenti si può dire che “il corpo è il loro pensiero, il pensiero è il loro corpo“.

  • gloria |

    ciao sono una dirigente Psicologa mi complimento per il valido approccio con cui si è parlato delle tecnlogie , un pò di tempo fa anche l’illustre Psicologa Anna olivero Ferraris quando si parlava della televisione babysitter invece di schierarsi sulla diatriba televisione si televisione no con il patrocinio del comune di Roma elaborò un manualetto in cui si evidenziavano i rischi e i benefici della televisione appunto , come ha ben fatto lei adottando un approccio critico all’uso della tecnologia
    cordiali Saluti

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