Da Citigroup a Bnl-Bnp Paribas. Il settore bancario a livello internazionale inizia a dare segni di diversity anche fra i ceo e l’Italia batte un colpo. Lo fa con la controllata italiana del gruppo francese Bnp Paribas, da sempre impegnato nei temi di diversità di genere ad ogni livello. Con la prossima assemblea per l’approvazione del bilancio a fine aprile, Andrea Munari, attuale amministratore delegato, verrà designato presidente mentre Elena Patrizia Goitini sarà indicata per il ruolo di ceo di Bnl.
In Italia non sono mancati esempi di presidenti al femminile: da Letizia Moratti a Ubi Banca a Stefania Bariatti a Banca Mps; dall’attuale presidente di Mps Patrizia Grieco a Chiara Mio di Friuladria (gruppo Credit Agricole); da Anna Fasano presidente di Banca Etica a Rosalba Casiraghi di Illimity Bank. Ma in quanto a ceo non ci sovviene alcun nome fra le banche a maggiore capitalizzazione.
Un quadro della situazione era stato dipinto nel luglio scorso dalla Uilca: su 330 istituti di credito/gruppi bancari per 660 posizioni di comando ai vertici si trovano 632 uomini e 28 donne (pari al 4,2%), secondo la ricerca effettuata dal Centro Studi Uilca Orietta Guerra. Se restringiamo il campo ai 57 gruppi bancari censiti dalla Banca d’Italia solo il 10,5% dei presidenti è costituito da donne, mentre nessuna donna ricopre la carica di amministratore delegato o direttore generale.
Se si allarga il campo dell’indagine alle 253 banche di credito cooperativo, le donne presidenti sono 7 e 12 le ceo, mentre fra le 20 banche popolari, su un totale di 40 posizioni, ci sono 2 donne presidente e una ceo. Eppure le donne ormai sono circa il 50% dei dipendenti degli istituti di credito italiani, ma faticano a fare carriera anche se il trend è positivo: le donne hanno triplicato la propria presenza nella categoria dei quadri direttivi. Resta il fatto, però, che il 50,2% degli uomini sia inquadrato come quadro direttivo contro solo il 31,2% delle donne. Eppure nella C-suite solo il 15% è donna fra i riporti diretti degli amministratori delegati, secondo i dati raccolti da Il Sole 24 Ore direttamente dalle banche.
Certo un bel segnale è arrivato da Banca d’Italia dove Alessandra Perrazzelli, prima una carriera in Intesa San Paolo e poi anni come country manager di Barclays Italia, è oggi vicedirettrice. E proprio Banca d’Italia è impegnata in progetti che migliorino le conoscenze finanziarie delle donne in generale.
Non è meglio all’estero
Alla fine dello scorso anno era stata salutata con entusiasmo la nomina di Jane Fraser a ceo di Citigroup (in carica proprio dal febbraio 2021), ma la strada da fare resta ancora molta. L’industria bancaria al mondo conta solo 32 ceo donne su un totale di 763 istituti quotati. Una percentuale ferma al 4%, secondo i dati di S&P Global Market Intelligence. Se si guarda agli executive committee la percentuale di donne è ferma al 20%, secondo Oliver Wyman.
Ma non si tratta solo delle banche. In generale l’industria finanziaria in generale ha questi numeri. Se si prendono, ad esempio, le società del comparto degli investimenti alternativi (hedge fund, private equity, venture capital, etc) le donne ceo sono solo il 13%, secondo il report di Kpmg “The call to act”. Un dato molto composito, perché si passa dal 7% delle società di private equity al 27% dei fondi di venture capital. Più costante la percentuale di donne nel ruolo di chief investment officer, che si aggira tra il 12 e il 15%. Nello spaccato per aree geografiche l’Europa supera l’America in quanto a ceo (17% contro il 12%), mentre stenta ancora per i responsabili degli investimenti (7% contro il 14%).
C’è tanta strada da fare, ma vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno. Il cambiamento è in atto e le donne stanno facendo la loro parte.