Forse nel 2021 torneremo ad abbracciarci. A sfiorarci per la strada, a toccare le stesse cose, a respirare la stessa aria senza averne paura. Ma non sarà la stessa cosa.
Ogni gesto che all’inizio del 2020 ci sembrava scontato non lo sarà più. Durante quest’anno abbiamo dovuto scegliere, e abbiamo scelto, a chi e a che cosa circoscrivere l’area del rischio tollerato: chi tenere vicino a noi con il suo portato di vita, a che cosa insomma non eravamo proprio disposti a rinunciare. Ogni relazione si è ridisegnata intorno a nuovi confini: niente più di superficiale ci è stato consentito, in ogni situazione il sì e il no sono stati pronunciati in modo forte e consapevole, seppure implicito.
Torneremo a salire sui treni, a mangiare gelati per strada, a visitare Paesi stranieri. Un po’ alla volta, ritroveremo gesti e desideri che in un anno si sono fatti antichi: non succede anche a voi di domandarvi come mai nei film si tocchino così liberamente e non indossino le mascherine? Si tratta di adattabilità, la caratteristica che fa della specie umana la più resiliente del pianeta e che ci fa acquisire velocemente nuove abitudini, ci fa risistemare in contesti stravolti, ci fa ritrovare sempre e comunque ciò che ci serve per sopravvivere: la nostra zona di confort, un’area in cui ci sentiamo al sicuro.
E’ successo dopo il primo lock-down, quello più radicale ma forse anche più poetico, perché forte era la dimensione di sacrificio condiviso per il bene di tutti, lo spirito di comunità che lo ha animato: è successo che uscirne è stato per molti un trauma, come lasciare un rifugio sicuro – perché il limite è anche sicurezza. Adesso è peggio: adesso è la nostra immaginazione a essersi accomodata in una realtà in cui l’emergenza è sempre al primo posto, e quindi avere una visione non è richiesto, non è “possibile”.
Non è possibile, ma è necessario tornare ad abbracciarci. Nel contatto fisico sigliamo un patto di fiducia senza cui non sapremmo vivere. Non lo sapevamo prima, ma adesso sì. Il dono di ciò che abbiamo perso sta proprio nell’averci regalato tutta questa consapevolezza.
Non c’è più niente di scontato, niente di ovvio, per gli umani del terzo millennio. Né una stretta di mano, né il progetto di un viaggio, né un respiro libero dalla paura.
I ricchi e i potenti dovrebbero aver capito che neanche loro possono essere felici, se il mondo si ferma e non c’è più un posto dove andare. E allora forse è arrivato per loro il momento di occuparsi di quel che non funziona, smettendo di considerarlo un banale effetto collaterale con un impatto limitato sul loro benessere. Non c’è più molto tempo, in un mondo così veloce, per riparare alle faglie che si stanno allargando sotto alla nostra condizione di prosperità.
Il vaccino lo sta dimostrando: noi possiamo risolvere ciò che ci interessa davvero. Insieme siamo una specie unica, capace dell’impossibile. Una meraviglia. Una meraviglia che per qualche strano motivo ha scelto di agire di concerto solo nelle assolute emergenze, e per il resto di fare per sé. Ben sapendo che il “per sé”, beh, come finisce lo abbiamo visto adesso.
Il 2020 ci ha ricordato che siamo insieme, nel bene e nel male. Ce lo ha ricordato, paradossalmente, rendendo impossibile proprio lo stare insieme: negandoci la vita sociale e la vicinanza con gli altri. Ci ha separati come grano e zizzania, mettendo tra ognuno di noi e tutti gli altri regole, divieti e distanze. Facendolo, ci ha messi tutti definitivamente sulla stessa barca, senza via d’uscita.
Non c’è stato aereo, quest’anno, che potesse portarci via dalla condizione di tutti gli altri. Non un Paese neutrale o a tassazione agevolata dove scappare dalla realtà di quel che siamo e che abbiamo fatto. Eccoci di fronte alla nostra responsabilità, una responsabilità che nasce dalle nostre infinite possibilità. Possiamo tutto, ma da soli non possiamo niente, e forse serve una nuova forma di pensiero per conciliare la comprensione di quel che è successo con le ideologie che guidano le nostre culture. Per metterli insieme in un universo di senso. Per usare questa straordinaria capacità di pensiero in direzione del futuro.
Il 2021 non sarà come il 2020. Il 2020 ha cambiato la storia umana e, se non siamo pazzi, l’ha cambiata per sempre. Non so se gli antichi Romani si siano accorti quando il loro Sacro Impero si andava sgretolando per il troppo benessere, non so se e quali pensatori, artisti o politici abbiano percepito con chiarezza la fine di un’era mentre avveniva, o se sia sempre stato più normale registrarlo a cose fatte, con lo sguardo degli storici. Ma noi adesso sappiamo, e non possiamo fingere di non sapere. Nessuno prima di noi è mai stato così veloce, così informato, così interconnesso – perciò questa era prenderà il nome di Antropocene: l’era geologica in cui “all’essere umano e alla sua attività sono attribuite le cause principali delle modifiche territoriali, strutturali e climatiche”.
Non abbiamo scuse, il 2021 che inizia è l’anno in cui possiamo dimostrare di aver imparato:
1) a non dare più niente, niente per scontato: neanche un abbraccio;
2) che siamo uniti in un destino comune che ci lega tutti – lontani e vicini, poveri, e ricchi – indissolubilmente e inevitabilmente, nel tempo e nello spazio;
3) che possiamo far succedere qualsiasi cosa, volontariamente o involontariamente.
E adesso la scelta sta a noi.