Caro 2020, tra i sassi abbiamo trovato i semi che coltiveremo

sasso

Caro 2020,
non sei stato un semplice anno, sei stato una prova di resistenza, un campo di battaglia, un varco attraverso il quale abbiamo cercato di passare senza ferirci troppo. Ti abbiamo festeggiato, sai? Come per tutti gli altri anni che ti hanno preceduto, abbiamo brindato al tuo arrivo, abbiamo coltivato le speranze che ognuno di noi ha, ad ogni nuovo inizio.

Non è mai stato un giorno semplice il primo dell’anno. Tempo di bilanci, di nostalgia per le cose perdute, per quello che poteva essere e non è stato; e poi ci sono le paure per l’ignoto, quel futuro che tutti immaginiamo ma di cui temiamo le sorprese, quello che non ci aspettiamo. E il futuro, si sa, non è mai come lo avevamo immaginato.

Ma questa volta, caro 2020, hai superato ogni pronostico. Chi poteva immaginare un futuro senza contatto fisico, senza abbracci, senza sorrisi? Ci hai catapultati in una dimensione surreale, da marzo in poi, da quando niente è stato più come prima. Il mondo, per come lo abbiamo conosciuto e vissuto, si è fermato all’improvviso, senza darci il tempo di comprendere, di capire, di prepararci.

Abbiamo visto i nostri cari attraverso un monitor, ci siamo salutati dai balconi delle nostre case, i ragazzi e le ragazze hanno smesso di uscire, di andare a scuola, di praticare sport. Le città sono diventate contenitori di solitudini, di strade deserte, di serrande abbassate, di luci spente.

Abbiamo provato la paura, quella che accartoccia lo stomaco, quella che ti fa sentire piccolo piccolo. Come quando avevamo paura del buio e desideravamo l’abbraccio della mamma e del papà. Solo che a questo giro, gli abbracci non c’erano più e dovevi trovarla da solo la forza di abbracciare te stesso, di dirti che ce l’avresti fatta, nonostante tutto. Si, ci hai tolto anche la possibilità di piangere insieme, di soffrire insieme, di stringerci di fronte alle difficoltà.

Ci siamo guardati, in fila ad un supermercato, schermati dalla mascherina e abbiamo riconosciuto nell’altro le nostre stesse difficoltà, il nostro disagio, le nostre perdite. Ho visto i miei occhi riflessi in altre decine di sguardi. Ci siamo compresi così, a distanza.

Le perdite. Per queste, non hai avuto pietà. Tante, tantissime. Troppe da sopportare. Il fardello che ci lasci, lo stiamo trascinando stanchi e stremati, arrabbiati, disperati. Ma stiamo andando avanti, passo dopo passo, giorno dopo giorno, ognuno col suo bagaglio pesantissimo. Lavoro, soldi, certezze, persone. Ognuno di noi ha storie di vissuto da raccontare, ognuno di noi ha perso un pezzo di vita, che vale ben più di un solo anno. Cosa hai combinato? Cosa hai voluto dirci? E soprattutto, cosa ci porteremo dietro?

Nella valigia che stiamo per chiudere, hai lasciato molti sassi. Io cerco nella mia, per trovare qualcosa che possa somigliare ad un fiore, ad un seme, ad un pensiero che possa essere piantato e germogliare in primavera e in tutte le primavere che verranno. Perché, caro 2020, sarà la mia professione, sarà che i bambini hanno bisogno di speranza, ma io voglio trovarlo questo piccolo seme che anche tu devi aver sparso da qualche parte.

Da cosa possiamo ripartire? Se scavo a fondo, nel bagaglio che hai lasciato, riesco a vedere la capacità di organizzare le giornate, la resilienza e la pazienza di saper aspettare. Forse ho compreso meglio il peso delle piccole cose. Il caffè con un’amica, l’abbraccio fraterno, la stretta di mano sincera. Accarezzare un bambino o una bambina. Il microcosmo, tanto scontato prima, ha ripreso ad avere un valore inestimabile.

Probabilmente abbiamo imparato, nostro malgrado, ad attingere ad altri modi comunicativi. Abbiamo creato una scuola a distanza, che nemmeno nelle più fervide fantasie sarebbe esistita. Abbiamo creato luoghi virtuali dove incontrare colleghi, amici, familiari. Siamo riusciti a raggiungere chi volevamo raggiungere, certo non come volevamo. Ma la nostra capacità di immaginazione e creatività ha triplicato la sua forza. Spero che tu abbia trasmesso il messaggio che, nella vita, esistono priorità che non possono più essere trascurate, per nessun motivo al mondo: la salute e l’istruzione. E che tutti i servizi che attingono a questi diritti, debbano avere una corsia preferenziale, in uno Stato civile.

Sicuramente ci hai lasciato indietro. Noi donne, dico. Ancora una volta, ancora di più. E questa è un’altra lezione imparata sulla pelle, che speriamo sortisca effetti sul welfare e sulla capacità che ha una società di dare pari opportunità, a prescindere dal genere. Caro 2020, ci hai lasciato un’eredità immensa. Quella più pesante da sostenere. La vita di tantissimi uomini e donne, che ci hanno lasciato per sempre. La loro solitudine è un peso che nessuno deve dimenticare. Perché se la malattia è già di per sé insostenibile, la solitudine con cui la si affronta, è disumana e inaccettabile.

Il valore di un addio. Anche questo ci lasci. Quanto vale un addio? Questa domanda a cui migliaia di famiglie non sanno rispondere, perché si sono trovate, per la prima volta, ad affrontare una separazione definitiva, senza poter piangere insieme.

Ci hai lasciato, però, la solidarietà. Delle associazioni, dei volontari, di tutte le persone che si sono prese cura dei più deboli, senza pretendere nulla in cambio. Nel bagaglio ho trovato voglia di riscatto, di ripresa, di ricostruzione, di ripartenza. Vedi? Anche tra i sassi, qualche germoglio, sei riuscito a piantare. Ci sono milioni di donne e uomini che continuano ad andare avanti, a lavorare, ad aiutare, a sostenere e sostenersi, nonostante tutto, nonostante te.

pexels-willsantt-2026960

Dove andrai adesso? Dove pensi di andare? Sarai un anno segnato, scritto per sempre sui libri di storia, raccontato in centinaia di libri che leggeremo, che leggeranno i nostri figli, i nostri nipoti. Ci chiederemo sempre come abbiamo fatto a superare la tempesta.

E noi risponderemo sempre che tra i sassi, abbiamo trovato i semi. Li abbiamo piantati e sono germogliati i fiori. Quindi addio, noi ci siamo e andremo avanti, abbiamo un mondo da far rifiorire.