Negli ultimi anni in tema di sviluppo e di crescita professionale si è spesso parlato di meta-apprendimento e della capacità di imparare ad imparare. Ma quanto spazio abbiamo per poter continuare a imparare? E’ forse necessario anche capire come “disimparare” per poter continuare ad apprendere? Cosa vuol veramente dire “disimparare”?
Il primo dei miei quattro figli è un appassionato di sport e un giocatore di pallanuoto. Ha iniziato come attaccante e nonostante i risultati apparissero buoni e i suoi progressi fossero evidenti, ha perso interesse per il ruolo decidendo che la sua strada era quella del portiere. Difendere la “porta” prevede movimenti fisici che, sebbene in superficie possano sembrare simili a quelli dell’attaccante, in realtà sono molto diversi.
La sua allenatrice del tempo (la campionessa olimpionica di Atene 2004 Manuela Zanchi) è stata da subito molto chiara con lui: “Sui rilanci e sulle uscite possiamo già lavorare, sulla posizione in porta, invece, dobbiamo farti perdere i movimenti sbagliati delle braccia e delle gambe per poi costruirne dei nuovi più efficaci!” Non è possibile impostare la crescita di un atleta partendo da un movimento diventato “sbagliato”.
Ritrovarsi vincenti in un ruolo o un contesto mutato, passa necessariamente per la predisposizione che ognuno ha di crescere disimparando qualcosa che in passato è stato efficace. Bisogna disapprendere ciò che è diventato obsoleto, trasformando il “vecchio” in qualcosa di diverso che potrà essere efficace nell’ambiente nuovo.
Apprendere a disapprendere può sembrare controverso, contraddittorio, ma come un bicchiere d’acqua non si può riempire all’infinito, così le persone non sono contenitori di conoscenza illimitata. Risulta pertanto importante poter acquisire qualcosa di nuovo disimparando ciò che non è più utile e mettendolo in discussione. In un contesto dove tutto cambia con una rapidità impensabile fino a qualche decennio addietro, la sfida è quella di poter mantenere le proprie competenze al passo con i tempi. Per riuscirci appare necessario accantonare ciò che è superfluo o ciò che non è più rispondente all’ambiente attuale, organizzando in modo nuovo l’approccio alla crescita ed allo sviluppo delle competenze.
Zygmunt Bauman, sociologo, filosofo ed accademico polacco, tratta molto spesso questo argomento. La capacità di “apprendere a disapprendere” viene da lui definita come “un elemento centrale e indispensabile dell’equipaggiamento della vita” (la società individualizzata-2002) e sempre Bauman ci ricorda come “il problema degli uomini post moderni dipende dalla velocità con cui riescono a sbarazzarsi di vecchie abitudini piuttosto che da quella con cui ne acquisiscono di nuove”. Questi concetti, con il trascorrere degli anni, si stanno dimostrando sempre più al passo con i tempi e pertinenti.
Guardando positivamente al contesto post pandemico e a come le persone si stanno muovendo per affrontare i nuovi ed imprevisti scenari odierni, appare importante anche il messaggio lanciato dal sociologo nel suo “Conversazioni sull’educazione” dove dichiara in modo esplicito che le persone “non devono affezionarsi alle informazioni che hanno acquisito in passato e per nessun motivo devono sviluppare l’abitudine di comportarsi per sempre nel modo che quelle informazioni hanno in quel momento suggerito. Tutte le informazioni … invecchiano rapidamente e, al mutar del contesto, invece di fornire una guida affidabile possono condurre fuori strada”.
Questa riflessione non deve essere intesa come una critica all’esperienza fatta, ma come una visione dell’apprendimento che consenta di porsi in maniera efficace di fronte a situazioni incerte. Disimparare non significa dimenticare, perché nessuna conoscenza nasce dal nulla. “Basi consolidate sullo scibile preesistente facilitano un rapido apprendimento “(Gian Carlo Cocco, Time To Mind – 2020) e permettono l’individuazione degli aspetti non più prioritari e che possono esser rinnovati. La predisposizione ad imparare non rimane vincolata al passato, ma, partendo da solide basi, definisce le priorità attuali e guarda al futuro riuscendo distinguere gli spunti da immagazzinare per affrontare il nuovo contesto dalle competenze che ci hanno sostenuto fino a ieri che, però, oggi appaiono obsolete.
L’attitudine a disapprendere ricorda la capacità di “camminare sulle sabbie mobili” o su un terreno privo di punti di riferimento permanenti. Per non sprofondare o non perdere la via, è necessario poter rinnovare continuamente il proprio sapere ed il proprio saper fare, sviluppando le proprie conoscenze verso ambiti nuovi e con “regole” differenti da quelli passati.
Ma quanto può essere difficile apprendere a disimparare? Ad un primo sguardo potrebbe non sembrare così immediato superare le certezze che fino ad oggi hanno sostenuto il nostro percorso, ma il tentativo potrebbe risultare molto interessante. Di sicuro per partire appare essenziale mantenere attiva la nostra propensione alla novità ed evitare la naturale tendenza a rifugiarsi nel proprio contesto di riferimento. È possibile quindi cercare il contatto e il confronto con persone che abbiano vissuti personali o culturali differenti dai propri; potrebbe risultare interessante spaziare, mediante il proprio desiderio di sapere, uscendo dalle abituali zone di comfort; sarebbe utile provare ad esplorare nuovi temi e coltivare passioni non prese in considerazione fino ad oggi… così facendo si potrebbe scoprire che la curiosità verso queste nuove opportunità traina e coinvolge maggiormente di tantissime esperienze passate!