L’incapacità di intendere e volere, il “totale vizio di mente” dovuto a un “delirio di gelosia”. Sarebbero queste le motivazioni alla base dell’assoluzione di un uomo che ha ucciso sua moglie nel sonno, un anno fa, a Brescia. Il condizionale è d’obbligo, in attesa di leggere per intero le motivazioni della sentenza pronunciata dalla Corte d’assise di Brescia su cui il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede avrebbe chiesto all’Ispettorato accertamenti. Ma la sensazione di frustrazione, ancora una volta, è forte. Ancora una volta la gelosia, ancora una volta a “spiegare” un femminicidio. Sono molte, troppe le cose che non tornano: a partire dal fatto che il messaggio che questa sentenza manda è totalmente sbagliato, fuorviante e pericoloso.
Le parole fanno la differenza, anche nelle sentenze
“In questi casi – sottolinea il giudice Fabio Roia, presidente vicario del Tribunale di Milano – che sono di grande interesse pubblico per la sensibilità dei temi trattati, andrebbe adottata una informazione provvisoria sul ragionamento che ha portato i giudici alla decisione. E’ un metodo che viene già adottato dalla Corte Costituzionale e da quella di Cassazione e che serve molto a far capire all’opinione pubblica la decisione”. Una comunicazione migliore, dunque. Perché il messaggio non sia così fuorviante, perché non si dica, ancora una volta, che se un uomo è geloso e uccide sua moglie può restare impunito. Per Teresa Bene, professoressa ordinaria di Procedura Penale il tema del linguaggio usato dalla giustizia è centrale: “Una notizia come questa – sottolinea – sbaraglia tutti. Un femminicidio viene raccontato in questo modo e questo modo fa passare attraverso il sistema giudiziario l’idea che se tu sei un marito colpito da un attacco di gelosia, da un delirio psicotico di gelosia, nei confronti di tua moglie, allora vieni assolto”.
Il femminicidio non è pazzia: ha a che fare con un modello culturale
E qui veniamo alla pazzia, alla follia. Al “delirio di gelosia”, come viene riportato. “Leggendo le poche notizie – dice il giudice Roia – sembra che l’uomo sia stato dichiarato incapace di intendere e volere perché i consulenti della difesa hanno riscontrato un vizio totale di mente”. Va detto, però, questo “vizio totale di mente certamente non può risiedere negli stati emotivi e passionali (e la gelosia ne è il classico esempio) che per legge (art. 90 c.p.) non possono incidere sulla imputabilità“. Proprio questo, sottolinea Roia, fa emergere delle perplessità di fondo. “Quando c’è un femminicidio – afferma il giudice – si tenta sempre di percorrere la strada dell’assenza dell’imputabilità trasformando un movente culturale (uccido perché non accetto di perdere la cosa-donna) in un delirio di follia con una pericolosa medicalizzazione del processo che tende a trasferire la decisione a consulenti di parte – come sembrerebbe in questo caso- o a periti d’ufficio”. Certo, l’incapacità di intendere e di volere è prevista dall’ordinamento, ma “in assenza di prove certe di un disturbo psichiatrico preesistente il ricorso ad indagini sulla imputabilità dovrebbe essere visto come un fatto eccezionale e non già come una normalità del processo”. Questo accade perché nei casi come questo, di violenze dentro la famiglia, ci troviamo di fronte a un “gesto percepito come fortemente anormale e brutale, allora ci si aggrappa alla labile categoria della follia con conseguenze sul piano culturale e della giustizia a volte irrazionali”.
Come si passa da una richiesta di ergastolo all’assoluzione?
Il caso di Brescia, che andrà rivisto e approfondito una volta uscite le motivazioni della sentenza che ha portato all’assoluzione di Antonio Gozzini, porta alla luce ancora altre riflessioni. “Da quello che possiamo leggere – mette in evidenza la professoressa Bene – colpisce molto che la pubblica accusa avesse chiesto l’ergastolo, mentre la Corte d’assise decide per l’assoluzione. In questo vediamo una frattura del sistema giudiziario, con un salto impegnativo tra ergastolo e assoluzione. Una frattura comune a molte vicende”, ma che certo in casi così delicati richiede una spiegazione dettagliata. Una frattura, spiega ancora la professoressa Bene, che “mette in evidenza in maniera tragica il ritorno dell’idea di tolleranza sociale di fatti come questo che, in questo caso passa, all’interno del processo, all’interno del procedimento giudiziario”. Il giudice Roia aggiunge anche un ulteriore elemento di rilievo: il ruolo dei consulenti tecnici e dei periti. In quella che diventa una sorta di “medicalizzazione” del processo di decisione, sottolinea Roia, il rischio è di andare verso una “delega della decisione”, che mette da parte il ruolo centrale e le responsabilità del giudice.
Da Bologna a Brescia, le “sentenze delle emozioni”
La decisione della Corte d’assise di Brescia, come abbiamo detto più volte, andrà considerata con maggiore attenzione sulla base delle motivazioni, quando saranno rese disponibili. Tuttavia, le prime notizie hanno riportato subito alla mente il caso di Bologna, di un anno fa. In quel caso, invece del “delirio di gelosia”, fu la “soverchiante tempesta emotiva” alla base della decisione della Corte d’appello di Bologna di dimezzare da 30 a 16 anni la pena comminata a Michele Castaldo, 57 anni, omicida reo confesso di Olga Matei, con cui aveva una relazione da un mese. La decisione, però, è stata ribaltata dopo il ricorso della Procura Generale, l’annullamento da parte della Cassazione e la nuova decisione della Corte di assise di appello di Bologna, nel nuovo processo di secondo grado che ha confermato i 30 anni di condanna. In quel caso, l’omicida era stato dichiarato in grado di intendere e di volere.
Aggiornato il 12 dicembre alle ore 9,00 – Successivamente alla pubblicazione di questo post, il Tribunale di Brescia, su richiesta del presidente della Corte di Appello e del Presidente del Tribunale di Brescia, ha rilasciato una nota esplicativa (qui sotto) in cui si sottolinea che il delirio di gelosia è contenuto nel DSM V, il manuale di disturbi diagnostici, e va distinto dalla mera gelosia, in quanto patologia. Inoltre, per l’uxoricida – seppur assolto – è stata disposta la misura della sicurezza della restrizione in una Rems (Residenza di esecuzione delle misure di sicurezza). Questo secondo elemento appare di rilievo: l’uxoricida è stato dunque giudicato socialmente pericoloso. Restano in piedi però le considerazioni qui sopra: l’accostamento tra la violenza in famiglia e la gelosia appare molto scivoloso, se legato a una patologia (e qui si aprirebbe il lungo capitolo delle patologie inserite nel DSM V) va spiegato all’opinione pubblica con cura e per questo andranno lette le perizie dei consulenti. Così come il fatto che la perizia del PM, che aveva chiesto l’ergastolo, non sia stata acquisita. Le parole, soprattutto nella giustizia, contano.