“Il contrario della solitudine” è un testo importante uscito a luglio di quest’anno per edizioni effequ. Il libro svela all’Italia il lavoro di Marcia Tiburi, “Manifesto per un femminismo in comune”.
La filosofa e scrittrice brasiliana, nota al vasto pubblico per “Cómo conversar con un fascista” (Record, Rio de Janeiro, 2015) e per la sua esperienza politica alle elezioni del 2018, vive oggi in esilio volontario in Francia. L’opera, la cui traduzione in italiano è di Eloisa Del Giudice, va ad impreziosire Saggi Pop, una collana già ricca di perle. Spicca tra queste “Femminili singolari” di Vera Gheno. La studiosa fa dell’uso non sessista della lingua una vera e propria battaglia, targata 2020. Siamo nel solco tracciato, molti decenni fa, da Alma Sabatini.
Motivo di grandi polemiche è stato l’intento della casa editrice toscana di accogliere il suggerimento della sociolinguista e farne linea editoriale, intervenendo su un fronte caldissimo. Effequ sperimenterà una pratica innovativa che – va detto – si pone al di fuori del nostro sistema lingua: utilizzare un genere neutro attraverso una codificazione differente. Nello specifico sarà lo “schwa” (ə) a sostituire il maschile generico perché tutt’altro che inclusivo. Alley Oop aveva già rivolto all’iniziativa la propria attenzione.
Le critiche e l’ilarità levatesi all’indomani dell’annuncio, danno – è chiaro – il senso di quanto il linguaggio resti, in questo Paese, un vero e proprio nervo scoperto. E il Buongiorno di Mattia Feltri su La Stampa vale quanto “L’italiano androgino” di Pietro Citati sul Corriere della sera. Nel 2020 come nel 1987, insomma, ironia e sberleffo rimangono le reazioni sguaiatamente ostentate. Il tema però è di quelli che in fondo dovrebbero interessarci tutti e tutte, perché è di parità che si tratta.
Effequ ad ogni modo mantiene fede all’impegno preso. E lo fa proprio con “Il contrario della solitudine” che si rivela un vero manifesto: “Possiamo definire il femminismo come desiderio di democrazia radicale, votato alla lotta per i diritti di tuttə coloro che sono costrettə a subire ingiustizie armate sistematicamente dal patriarcato. Perché il patriarcato, contrariamente a quanto si possa pensare, non è un processo che colpisce esclusivamente la sfera femminile; coinvolge invece tutti gli esseri il cui corpo viene definito attraverso l’uso che se ne fa”.
È incontestabile come il tema sia centrale e sempre controverso, perciò stesso attualissimo. Ma non solo. Marcia Tiburi ne fa, giustamente, una questione non più differibile. Così, in apertura, il volume detta l’agenda: “Ritirare il femminismo dal campo delle polemiche senza fine e approcciarlo in qualità di potenza trasformatrice, ecco cos’è urgente. E in questo momento è determinante affrontare quest’urgenza”. Scosso da impulsi di segno contrastante esso cioè va pensato, analizzato e potenziato nella pratica. La struttura del libro è caratterizzata da numerosi contributi. Se ne contano 17, ma sono testi snelli e in grado di andare dritti al punto. Gli argomenti toccati sono del resto davvero cruciali.
Un’indagine sul femminismo condotta da molteplici punti di vista, anche binari, questo è il lavoro che Marcia Tiburi ci consegna. La filosofa tiene ben ferma la rotta, segnata dal pensiero critico. Identità, ma anche misoginia, quindi politica, poi narrazione e ascolto, solitudine e comunione, violenza e dialogo. Si tratta di temi che scorrono tra le pagine in un viaggio che sembra inabissarsi nelle viscere del tempo, dove continua a combattersi una battaglia mai sopita.
“Non possiamo pensare al femminismo senza pensare al lavoro”, è quello un vero problema di genere. Da lì bisogna partire per riguardare e poi ridisegnare il mondo. La spinta che arriva da questo scritto è una sollecitazione forte e va in una direzione precisa che parte da una severa autocritica. Cos’è per noi il femminismo, perché lo amiamo, perché lo odiamo. Ma soprattutto dobbiamo domandarci se ne abbiamo davvero bisogno. Ci viene chiesto di ripensarlo, al di là della paura e oltre la moda.
A condurre a termine l’esercizio che la filosofa ci suggerisce, arriveremo a scoprire forse ciò che di autentico c’è nel profondo di noi. Perché il femminismo è un’eredità che promana dalle nostre mamme e dalle nostre nonne, ma è anche un’utopia; dal passato al futuro si muove lungo una verticale fatta di istanze ancora incompiute. L’ultimo capitolo svela la strada, “Pensare insieme: per un femminismo in comune”. Qui il messaggio che Tiburi rivolge al mondo è cristallino. Ed ha certamente una portata politica.
“Il libro è davvero un antidoto alla solitudine, perché fa capire che il femminismo può essere una pratica da applicare a tutti, o come dice Marcia nel sottotitolo della versione originale a todas (a tutte), a todes (a tuttə), a todos (a tutti)”. Se la prefazione di Igiaba Scego – ricercatrice esperta di colonialismi e postcolonialismi – rende perfettamente il senso di quel lavoro, sarà inevitabile concludere insieme a lei che questo è “un libro che apre la testa, apre il modo, apre gli occhi”. E lo fa perché, semplicemente, Marcia Tiburi parla alla moltitudine.
Titolo: “Il contrario della solitudine. Manifesto per un femminismo in comune”
Autore: Marcia Tiburi
Traduzione: Eloisa Del Giudice
Editore: effequ
Collana: Saggi Pop
Prezzo: 15 euro