Un uomo commette reato contro una maestra d’asilo e lei perde il lavoro

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Anzitutto, prima di scendere nei dettagli della vicenda, va detta a chiare lettere una cosa: nei fatti che stiamo per raccontare è stato commesso un reato. La legge conosciuta come Codice rosso ha introdotto l’articolo 612-ter del Codice penale, sul delitto di «diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti» (ne abbiamo parlato qui e qui). La norma punisce «chiunque, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate». Per far scattare il reato basta che il colpevole compia consapevolmente una delle condotte punite, a prescindere dal suo effettivo intento. Io non volevo, io non pensavo, io non credevo, non sono giustificazioni plausibili. È reato, e basta.

Al di là della legge, scendendo nei sottolivelli delle colpe socialmente attribuite, non abbiamo un codice che ci aiuti a definire chiaramente chi siano i colpevoli, ma sembra che il codice attualmente diffuso tra i più abbia delle serie lacune e contraddizioni e sarebbe ora che tutti ci impegnassimo a riscriverlo, questo codice.

Veniamo ai fatti: risalgono al 2018, quando una giovane donna, di poco più di vent’anni, comincia a frequentare un uomo. Lei gli invia alcune fotografie senza vestiti e un video con contenuti erotici a lui destinati. Lui li diffonde in un gruppo su Whatsapp composto da amici. Il materiale esce dalla chat in questione, fino ad arrivare a un uomo che riconosce nella donna la maestra d’asilo di sua figlia. L’uomo mostra le foto alla moglie, la quale a sua volta le invia ad alcune amiche mamme, dello stesso istituto. Da questo punto in poi le versioni sui fatti sono contrastanti: le uniche certezze sono che la donna ha perso il lavoro per questo motivo e le vicende giudiziarie sono tutt’ora in corso. L’ex fidanzato si sarebbe pentito, ha risarcito la giovane, e ha ottenuto il beneficio della messa alla prova, ovvero un anno di servizi sociali. La direttrice dell’asilo e la mamma coinvolta affronteranno il dibattimento: alla prima viene imputato di aver obbligato la ragazza alle dimissioni e di averla diffamata raccontando ai genitori dei bambini il motivo delle stesse; alla seconda di aver diffuso le immagini. Il marito di quest’ultima e la collega di lavoro della vittima, invece, hanno scelto riti alternativi.

La legge ci dice dunque chiaramente dove cercare le colpe in questa vicenda. Perché invece sembra che la società le collochi altrove?

Non esiste alcuna legge che imponga a un direttore di istituto di licenziare un docente che abbia inviato in forma strettamente privata dei video erotici a una persona che sta frequentando. L’allontanamento della maestra è stata una libera scelta della direttrice in questione, dettata da cosa? La volontà di salvaguardare il buon nome dell’istituto?
In che modo questo sarebbe stato leso da un atto privato? Ricordiamo che non è la maestra ad aver commesso un reato, lei è la vittima di un reato. Doppiamente vittima a questo punto, perché paga le conseguenze di una violenza che le è stata inflitta. Una violenza, sì.

E a questo punto occorre specificare un’altra cosa: non possiamo continuare a chiamare “video hard” il materiale prodotto in un contesto privato. Tale dicitura rimanda inevitabilmente a un mondo legato alla pornografia, a un contesto cioè di realizzazione consenziente di materiale erotico a scopi commerciali. Qui parliamo di un contesto totalmente privato, dove dovrebbe essere garantita una relazione di fiducia e rispetto tra le parti. Quando la fiducia viene tradita e il rispetto viene a mancare, di nuovo la colpa non è della vittima. Mai, in nessun modo.

Il padre che ha riconosciuto per primo la maestra, raggiunto da un giornalista, avrebbe dichiarato: “Se si inviano certi video, si deve mettere in conto che qualcuno li divulghi”. Che poi sarebbe come dire “Se vai in giro col portafogli pieno di soldi devi aspettarti che qualcuno te lo rubi”. No, è reato, non me lo aspetto, non lo desidero, anzi, spero vivamente che non accada. Perché dovrebbe essere diverso con la violenza sessuale?

Sarà forse alla base di questo ragionamento il sempreverde giudizio sulla donna che vive la propria sessualità liberamente, e allora qualunque evento brutto le accada in fondo “se l’è cercato”? Non possiamo scriverlo nella Costituzione, ma la morale comune dovrebbe a un certo momento avere chiari alcuni punti: se una donna beve a una festa, si aspetta un hangover, non una violenza. Se una donna si apparta con un uomo, si aspetta compagnia, magari anche di fare sesso consenziente, non una violenza. Se una donna va a letto con un uomo appena conosciuto, si aspetta di fare sesso, non una violenza. Se una donna condivide del materiale erotico visivo privato, si aspetta di stabilire una relazione fatta di gioco, complicità e fiducia, non una violenza. Tutto questo, vale anche per gli uomini, sia chiaro. Solo che è meno urgente ribadirlo, perché questo tipo di violenze sono ancora parte di un retaggio fatto di privilegi e distorsioni patriarcali che, come abbiamo visto bene in questa vicenda, attraversano trasversalmente la società tutta, uomini, donne, padri, madri, istituzioni.

Nell’intervista, il padre avrebbe anche dichiarato: “Non potevo credere che una maestra facesse certe cose”. Questa farebbe anche sorridere, se non suonasse come un pretesto per giustificare il reato. Si potrebbe rispondere a quell’uomo che noi non possiamo credere che un padre di famiglia frequenti gente che gli manda in chat i video intimi e privati delle proprie fidanzate. Ma non vorremmo mai sentirci rispondere che tutti gli uomini lo fanno, anche perché, francamente, sappiamo che non è vero. Resta il fatto che , tra i due, chi ha commesso un reato non è la maestra.

A lei, questa giovane donna che sta portando avanti le sue battaglie giudiziarie, dovremmo rivolgere il nostro augurio che la giustizia faccia il suo corso. E nel frattempo, continuare a interrogarci su tutti i modi in cui quei pregiudizi e giudizi che stanno alla base di questa vicenda risiedano nei nostri pensieri e nel nostro linguaggio, per dedicarci a cambiarli, una volta per tutte. Non possiamo continuare a dire alle donne di comportarsi bene e avere paura.

  • ezio |

    Condivido la vera osservazione di Alessandra, che rimarca anche il messaggio di Chiara Ferragni riportato in modo troppo sintetico in questo blog e con questa importante parte mancante.
    In merito alla morale maschilista imperante, ne condivido la parte che riguarda la società in genere, a partire dal mondo del lavoro, ma non concordo l’ambito famigliare che fatta esclusione per i compagni/padri padroni, il resto è prevalentemente matriarcale per tradizione italiana in genere e per le consuetudini delle sentenze di separazioni-divorzi con affidamenti relativi dei minori.

  • ezio |

    “Non possiamo continuare a dire alle donne di comportarsi bene e avere paura.”

    Mi collego a questa ultima conclusione, per rivolgere a tutte le donne presenti una semplicissima domanda e relativo quesito per riflettere:
    A quale età pensate che inizia a valere questo principio libero e liberatorio dei comportamenti sessuali delle le vostre figlie/figli adolescenti? Non avvertite alcuna pericolosità possibile per quei personaggi in corso di formazione adolescenziale che definiamo solitamente capi branco, sia maschili che femminili?

  • Alessandra |

    Il problema è che la morale è sempre maschilista e ciò che fa rabbrividire è che sia sposata e utilizzata dalle donne, mai solidali con altre donne e sempre pronte a stigmatizzarne le condotte, salvo poi invocare a gran voce la parita’ dei sessi!

  • Daniela |

    Bellissimo e lucidissimo articolo. E ho nostalgia dei cortei in cui le donne urlavano la loro voglia di libertà. Dove sono le streghe che minacciavano il ritorno?

  • Mario G. |

    Un articolo bellissimo, che sarebbe stato ancor più bello se a scriverlo fosse stato un uomo!!! Ci vorrà ancora del tempo, ma mi auguro che ci arriveremo quanto prima. Brava Letizia; non ti conoscevo prima, ma mi stai già simpatica

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