Scuola, nidi, cura, lavoro: basta bonus, servono politiche integrate

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Basta con i recinti delle “politiche settoriali per le donne“. Largo invece a “politiche strutturali e integrate” in tre settori, abbandonando le azioni per compartimenti stagni e cogliendo la straordinaria opportunità del Recovery Fund: l’allargamento dell’offerta sulla prima infanzia, a partire da nidi e tempo pieno, e del supporto alla cura familiare di anziani e non autosufficienti, anche con una spinta alla condivisione; il rilancio dell’occupazione femminile, pure attraverso il sostegno fiscale; l’eliminazione del gender pay gap.

Nel giorno in cui gran parte dell’Italia riapre le scuole, le donne della società civile che durante la pandemia si sono attivate – il movimento Dateci Voce, che ha chiesto e ottenuto un riequilibrio delle task force per garantire una più equa rappresentanza femminile, MammadiMerda, Le Contemporanee, Noi Rete Donne, Gammadonna e la componente italiana di #halfofit – scrivono una lettera aperta al governo e al premier Giuseppe Conte e la offrono a tutte le organizzazioni che vorranno sottoscriverla.

In questi mesi la voce delle donne, individuale e collettiva, si è via via fatta più forte e autorevole, con una visione lucida unita alla preoccupazione dei problemi sopravvenuti, ma si è distinta anche per la qualità della proposta, per l’approccio divergente e insieme trasversale sui problemi sollevati, e per lo sguardo ampio“, si legge nella missiva. Spiega Mila Spicola, insegnante e consulente indipendente della Ong “Room to read”, che ha contribuito a scriverla: “La nostra è una proposta di metodo, oltre che di merito: chiediamo attenzione alla qualità dei processi decisionali e alla trasversalità dei progetti, un salto rispetto a quanto avvenuto finora”. In sintesi: evitare di trasformare i progetti per il piano italiano di ripresa e resilienza in elenchi della spesa, dettati “non da strategia ma da questioni legate al consenso facile“.

Azioni strategiche, dunque, non misure residuali con scarsi investimenti, scarsa qualità e scarsa attrazione e gestione. Perché tutto si tiene e si parla: il sistema dell’istruzione e la rete del welfare, la piaga dell’occupazione femminile scesa di nuovo sotto il 50%, il divario salariale mai sanato tra donne e uomini. “Anche in presenza di offerta di lavoro o di possesso di competenze spendibili e aggiornate, entrambi settori su cui si deve comunque agire – recita la lettera – le donne segnalano in molte indagini una loro assenza dal lavoro per l’assenza di servizi a supporto dell’infanzia (nidi e tempo pieno) in troppe parti del territorio nazionale o di supporto alla cura“. In alcune aree emerge, nei numeri dell’inattività, la prova di una “tradizionale rassegnazione“.

Tutto questo “finisce con l’agire negativamente sia sull’offerta educativa presente sia sui numeri dell’occupazione femminile e, in una prospettiva più ampia, sulla ricchezza prodotta nel Paese e quindi sul benessere di tutte e tutti: smette di essere un problema personale per diventare un tema collettivo“. Come tale – è il messaggio – va affrontato: “Serve un riequilibrio dei compiti nelle attività di cura, coinvolgendo anche gli uomini. Servono politiche integrate, provvedimenti plurisettoriali, approccio trasversale: sulla scuola, sul lavoro, sulla fiscalità, sui diritti, sul welfare“.

Qui arriva la richiesta netta al governo: “Per portarle avanti chiediamo convergenza ai ministri competenti, auspichiamo riforme strutturali e non bonus o interventi frammentati e discontinui, il coinvolgimento di attori e attrici sociali e il ridisegno del welfare“. Un’azione strutturale ad ampio raggio su educazione e cura della prima infanzia, incentivazione del lavoro femminile, superamento della discriminazione di genere su funzioni, salario e riconoscimenti sarebbe “tale da ripagare gli investimenti“. Moltiplicatori, perché come ormai dimostra tutta la letteratura sul tema, comportano “guadagni sociali, economici, culturali e demografici“.

Ora che il cantiere Recovery Plan è aperto, una riflessione a 360 gradi è doverosa. “Le donne ci sono e chiedono alla politica un salto di qualità nel merito e nel metodo”, sottolinea Spicola. “Non ci possiamo permettere di sprecare soldi senza raggiungere l’obiettivo”. Che poi è quello con cui la lettera si chiude: “Ridisegnare un Paese più equo, più giusto, più sano”.


Aggiunta del 7 ottobre:

La lettera-appello al governo è pubblicata integralmente sul sito Il giusto mezzo, presentato ufficialmente alla Camera venerdì 2 ottobre dalle  promotrici Alexandra Geese, Costanza Hermanin, Azzurra Rinaldi, Mila Spicola e Cristina Sivieri Tagliabue, con il supporto di Daniela Poggio. Ha partecipato anche il sottosegretario allo Sviluppo economico, Gian Paolo Manzella, ricordando che l’attenzione al lavoro e all’impresa femminile “non è più una misura sociale, ma è una misura economica. C’è un potenziale di ricchezza nascosto che non possiamo più permetterci di lasciare inutilizzato”. In appena tre giorni la lettera ha raccolto oltre 22mila sottoscrizioni.

  • Ana Maria Salmon Maher |

    Sono anni che combatto per avere giustizia, per essere difesa, i processi penali sono lenti, non abbiamo diritti, peggio ancora quando ci sono i figli di mezzo.
    Abbiamo ancora una mentalità retrograda. Sposarsi per costruire una famiglia è il sogno di tutti se va male diventa un incubo costoso tra avvocati, Servizi sociali che non aiutano.
    Più porti le prove meno ti ascoltano. Questo deve cambiare.

  • cecilia Brighi |

    molto interessata alle strategie per attuare correttamente dal punto di vista di genere il recovery plan

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